E’ stata, quella di quest’anno al Colosseo, una Via Crucis particolarmente intensa e significativa. Intensa per i contenuti offerti alla mente e al cuore della gran folla presente e di quella immensa collegata via tv, radio, internet. Significativa perché ha simboleggiato nel migliore dei modi l’ideale trapasso di testimone tra Benedetto XVI e Francesco.
L’idea di affidare la redazione del testo delle meditazioni ad un gruppo di giovani libanesi – sotto la guida del patriarca maronita Béchara Boutros Raï – è nata infatti nel settembre scorso, durante il riuscitissimo viaggio apostolico di papa Ratzinger nel Paese dei Cedri. L’ha ricordato anche papa Francesco nel breve discorso conclusivo della Via Crucis, ringraziando i “nostri fratelli del Libano”, che “hanno composto queste belle meditazioni e preghiere” per “la testimonianza che ci danno”: una testimonianza che “abbiamo visto quando papa Benedetto è andato in Libano: abbiamo visto la bellezza e la forza della comunione dei cristiani di quella terra e dell’amicizia di tanti fratelli musulmani e di molti altri”. Un vero e proprio “segno per il Medio Oriente e per il mondo intero: un segno di speranza”.
E’ stata dunque un’occasione di continuità legata a precise circostanze storiche. Non solo: la continuità è emersa anche dai contenuti delle meditazioni, che hanno evidenziato temi molto cari a Benedetto XVI e certo condivisi da Francesco. Con parole semplici e nel contempo grandiose nella loro forza di verità, i giovani libanesi hanno denunciato i “Pilato” del mondo contemporaneo, che “fanno uso del loro potere al servizio dei più forti” e hanno stimolato alla conversione soprattutto “coloro che, deboli e vili davanti a queste correnti di potere, impegnano la loro autorità al servizio dell’ingiustizia e calpestano la dignità dell’uomo e il suo diritto alla vita”. La conseguenza è che “anche oggi il mondo si piega sotto realtà che cercano di espellere Dio dalla vita dell’uomo, come il laicismo cieco che soffoca i valori della fede e della morale in nome di una presunta difesa dell’uomo; o il fondamentalismo violento che prende a pretesto la difesa dei valori religiosi”. Ancora: “Non permettere, Signore Gesù, che la ragione umana, che tu hai creato per te, si accontenti delle verità parziali della scienza e della tecnologia senza cercare di porre le domande fondamentali del senso e dell’esistenza”. Perciò “preghiamo perché tutti coloro che promuovono l’aborto prendano coscienza che l’amore non può essere che sorgente di vita”; e “pensiamo anche ai difensori dell’eutanasia e a coloro che incoraggiano tecniche e procedimenti che mettono in pericolo la vita umana”.
Non sono mancati contenuti relativi alla famiglia, anche questi drammaticamente attuali: “Signore Gesù, nelle nostre famiglie proviamo anche noi le sofferenze causate ai figli dai loro genitori e ai genitori dai loro figli. Signore, fa’ che in questi tempi difficili le nostre famiglie siano luoghi della tua presenza, affinché le nostre sofferenze si tramutino in gioia”. Legata anche a tante di queste situazioni la condizione di non pochi giovani: “Noi ti preghiamo per tutti i giovani che sono oppressi dalla disperazione, per i giovani vittime della droga, delle sette e delle perversioni. Liberali dalla loro schiavitù”. Nelle meditazioni anche un richiamo doloroso alle donne che soffrono: “Madri afflitte, donne ferite nella loro dignità, violentate dalle discriminazioni, dall’ingiustizia e dalla sofferenza”. Un pensiero che sconvolge, ma pervaso di speranza, anche ai malati nel fisico e nello spirito: “La malattia può inchiodare alla sedia, ma non impedire di sognare; oscurare lo sguardo, ma non colpire la coscienza; rendere sorde le orecchie, ma non impedire di ascoltare; legare la lingua, ma non sopprimere la sete di verità; appesantire l’anima, ma non derubare della libertà”.
Grande continuità di contenuti per quanto riguarda le divisioni tra i cristiani: “La Chiesa è oppressa sotto la croce delle divisioni che allontana i cristiani gli uni dagli altri e dall’unità che tu, Signore Gesù, hai voluto per loro. (…) Questa croce grava con tutto il suo peso sulla loro vita e sulla loro comune testimonianza”. Perciò “concedici, Signore, la saggezza e l’umiltà, per rialzarci e avanzare sulla via dell’unità, nella verità e nell’amore, senza soccombere alla tentazione del ricorso ai soli criteri degli interessi personali o settari, davanti alle divisioni nelle quali ci imbattiamo”. In relazione al dialogo interreligioso, poi, tra le tante nostre situazioni che sembrano senza via d’uscita” quelle “derivanti dai pregiudizi e dall’odio, che induriscono i nostri cuori e conducono ai conflitti religiosi”. Allora, “Signore Gesù, illumina le nostre coscienze affinché riconoscano, nonostante le divergenze umane e religiose, che un raggio di verità illumina tutti gli uomini, chiamati a camminare insieme – nel rispetto della libertà religiosa – verso la verità che è in Dio solo”.
La situazione mediorientale, richiamata più volte, non poteva non avere un posto privilegiato in questa Via Crucis. E’ così che nelle meditazioni si chiede alla Spirito Santo di “consolare e fortificare i cristiani, in particolare quelli del Medio Oriente, affinché uniti a Cristo siano, su una terra lacerata dall’ingiustizia e dai conflitti, i testimoni del suo amore universale”. Essi, “i figli delle Chiese orientali – spogliati da varie difficoltà, a volte perfino dalla persecuzione e indeboliti dall’emigrazione”, ricevano “il coraggio di restare nei loro Paesi per annunciarela Buona Novella”.
Le meditazioni, quest’anno una sorta di vero e proprio Magnificat dolente e possente, si sono concluse con un passo che indica un obiettivo fondamentale, che fa tremare le vene e i polsi, per tutti: “Abbiamo ricevuto la libertà di figli di Dio per non ritornare alla schiavitù; la vita ci è stata data in abbondanza, per non accontentarci più di una vita priva di bellezza e di significato”.
Molto significativo anche l’elenco delle persone che hanno portato la Croce: ha incominciato e ha chiuso il cardinale Vicario Agostino Vallini. In mezzo due famiglie, una italiana e una indiana (dove l’accento va su ‘famiglie’, ma anche sull’accostamento tra Italia e India in un momento in cui dall’attualità emerge il caso dei due marò), una disabile, un barelliere e due sorelle dell’Unitalsi, i due giovani cinesi Giuseppe e Pietro, i due frati di Terrasanta (un italiano e un siriano), due suore nigeriane e due libanesi, due giovani brasiliani per ricordare la prossima GMG di Rio de Janeiro.
(Il testo è stato pubblicato sul sito www.rossoporpora.org)