Noi cristiani dovremmo interrogarci spesso su quanto un grande mistero, come la resurrezione di Cristo, che ha cambiato l’andamento della storia dell’umanità, intervenga oggi sul nostro modo di essere uomini del nostro tempo. Non vorrei che ci limitassimo, in modo magari sofisticato e tecnologico, ad imitare a distanza i sapienti del Sinedrio che tendevano, persino, a dettare “l’agenda di Dio”, come si trattasse magari di un qualsiasi governante di quel loro territorio. La politica anche oggi è molto distante da una cornice evangelica, in grado di rivoluzionare l’attuale corso di crisi perenne, legato al cancro dell’insipienza umana. Una condizione, purtroppo reale, che tutto trascina nell’immoralità e quindi nel baratro di ogni debole sovrastruttura umana, utilizzata dalla società in cui viviamo, per tentare di rinascere in una economia più sana ed in una nuova dimensione etica. Proprio nei Vangeli troviamo alcune notizie che necessariamente devono interrogare la nostra coscienza. Pietro e Giovanni, dopo aver constatato la risurrezione di Gesù se ne tornano di nuovo a casa. Per loro questo evento che ha sconvolto il cielo e la terra, che ha dato all’intera creazione una nuova forma di essere, una nuova natura, non smuove il loro cuore, perché non lo risuscita ad una dimensione nuova, spirituale, incorruttibile, ad una dimensione celeste e non più terrena. È bene qui ricordare che con la resurrezione del Figlio dell’uomo la natura corporea è stata trasformata in natura spirituale, di luce, come Dio è spirito e luce. Ma in quel momento, tutto questo, nei due discepoli, non diventa conseguenza storica.
Cerchiamo di trasferire tale dimensione di accaduto evangelico nella nostra vita quotidiana. Quante volte, fino ad oggi, molti di noi si sono recati all’altare del Dio vivente? Quante volte abbiamo celebrato il mistero della morte e della risurrezione di Gesù? In quante circostanze ci siamo nutriti del suo Corpo e del suo Sangue? E poi cosa è successo? Come è cambiata la nostra esistenza sociale e spirituale? Come Pietro e Giovanni, anche noi, ce ne siamo ritornati alle nostre case, così come eravamo usciti per andare a vivere il mistero, prima della croce e poi dello stesso Signore risorto. Si legge in Matteo: “Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti. I discepoli perciò se ne tornarono di nuovo a casa”. È chiaro che, nonostante la nostra professione di fede, qualcosa, ripetutamente, continua ad incepparsi, a non funzionare e l’evento Cristo non si trasforma in evento personale. Certo la via di Damasco appare lontana ai nostri occhi, mentre ci comportiamo come se, ogni qualvolta che ci immergiamo nell’Eucarestia, mangiassimo della paglia secca!
Una risposta a tutto questo c’è. Con il nostro comportamento, legato ad una ritualità di tradizione concorriamo, per la nostra parte, a far sì che mille, diecimila, centomila, un milione, un miliardo di Eucaristie al giorno, diventino come acqua versata sul marmo. Dobbiamo riflettere e meditare. Dobbiamo interrogare il nostro cuore. Non possiamo lasciare che tutto vada come finora è andato. Siamo responsabili di un così grande mistero. È chiaro che noi ci accostiamo alla risurrezione di Gesù senza fede, senza speranza, senza carità. La riceviamo da delusi, distratti, tristi, stanchi, oberati, affannati. La riceviamo solo con il corpo. Il nostro cuore è distante, perché viaggia in tutt’altra direzione. Fuori dal mistero c’è anche la nostra mente, perché insufficiente delle più essenziali verità su di esso. È poi assente in noi, nonostante i nostri teoremi sulla fede, anche il minimo desiderio di essere tramutati in Cristo Gesù, nel suo mistero di santità e verità, di servizio e obbedienza. Conformarsi in ogni cosa a Cristo Gesù: è questa la vocazione che necessita alla società odierna. Un vero cristiano dovrebbe avere tale santo obiettivo universale e vivere con serenità per raggiungerlo. Cosa fare? Mons. Costantino Di Bruno, con gli occhi al crocefisso, ci invita a: “Divenire come Lui. Amare come Lui. Servire come Lui. Essere obbedienti come Lui. Morire come Lui. Risorgere come Lui. Entrare nella beatitudine eterna come Lui”. Lui è il vero modello, non solo per sacerdoti o religiosi, ma anche per noi laici. Dobbiamo essere capaci di ammantare, di tutto questo, i gesti del ruolo assunto nella comunità di appartenenza, senza isolarci dal mondo. Difficile? Se la comunità degli uomini contemporanei farà fatica ad intendere tale “chiamata” permanente e non si lascerà guidare dalla legge di Dio, il suo futuro sarà sempre compromesso. Non potrà, di riflesso, mai risorgere in una nuova dimensione terrena e spirituale. Basta guardarsi intorno!
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