Gli istituti sono stati chiusi ma migliaia di bambini in Italia non hanno trovato una famiglia. Lo denuncia la Comunità Papa Giovanni XXIII che ieri pomeriggio è stata ricevuta in audizione dalla Commissione parlamentare per l’Infanzia e successivamente dal Sottosegretario al lavoro e alle politiche sociali Franca Biondelli.
In un report presentato ai rappresentanti di Parlamento e Governo l’associazione evidenzia il fatto che, a distanza di 8 anni dal superamento del ricovero di minori in istituto, realizzatosi nel 2006 grazie alla legge 149/2001, «sono ancora migliaia i bambini ed i ragazzi che vivono in un contesto etero familiare attuato in strutture di accoglienza che non sono familiari, dove sono presenti operatori validi dal punto professionale, ma che non rispondono ai bisogni di “relazioni familiari” di cui necessitano molti bambini e ragazzi allontanati dalle loro famiglie.
Il problema, secondo l’associazione, è che la legge 184/83, poi modificata dalla legge 149/01, «definisce impropriamente tutte le comunità quali comunità di tipo familiare» non distinguendo tra quelle che sono davvero strutturate come una famiglia, con un papà e una mamma presenti a tempo pieno, e le comunità gestite da educatori a turno.
Il risultato di questa ambiguità legislativa, secondo la Comunità Papa Giovanni XXIII, è che quei bambini anche molto piccoli che sono stati collocati in comunità – oltre 1000 da 0 a 2 anni, 2100 se si arriva fino a 5 anni, secondo i dati del Ministero del lavoro e politiche sociali al 31/12/2011 – potrebbero essere «privati delle relazioni familiari fondamentali in questa fase del loro sviluppo».
Per questo l’associazione chiede a Parlamento e Governo di attivarsi per modificare la legge 184/83, eliminando l’impropria definizione di Comunità di tipo familiare e distinguendo con chiarezza le varie tipologie di comunità.
La nuova norma dovrebbe quindi prevedere che i minori allontanati dalla famiglia di origine possano essere collocati in una famiglia affidataria o in una struttura familiare gestita da una coppia di coniugi o comunque da una figura paterna e materna presenti a tempo pieno, come avviene nelle comunità familiari e nelle case famiglia multiutenza, e solo quando questo non sia possibile si ricorra alle comunità educative.
Misure ancora più precise, secondo l’associazione, andrebbero previste per i più piccoli: «Per l’accoglienza dei bambini sotto i sei anni va disposto che questa possa avvenire solo nelle famiglie affidatarie o Case Famiglia o nelle Comunità Familiari, vietando l’inserimento nelle Comunità Educative».
Dall’incontro con la Sottosegretaria Franca Biondelli è emersa la disponibilità da parte del Ministero del Welfare a predisporre entro il 2015 delle Linee di indirizzo nazionali sull’accoglienza nelle Comunità che recepisca e definisca le diverse tipologie delle Comunità.