Aumenta la violenza nei videogame

Timori per la nuova generazione di giochi elettronici

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LOS ANGELES, sabato, 11 giugno 2005 (ZENIT.org).- Da una recente esposizione di giochi elettronici a Los Angeles sono emersi nuovi dettagli relativi alla futura generazione di videogiochi. L’industria dei videogame ha allargato la sua portata, con vendite di software per videogiochi e giochi al computer che nei soli Stati Uniti sono arrivate alla somma di 7,3 miliardi di dollari (6 miliardi di euro) lo scorso anno, secondo il Washington Post del 18 maggio.

La maggiore potenza dei processori e la grafica sempre più avanzata delle nuove console ha indotto alcune persone a preoccuparsi per la violenza, contenuta in alcuni giochi anche molto diffusi, che è diventata sempre più realistica e… attraente.

Il 28 maggio, lo Stato dell’Illinois ha approvato un divieto alla vendita ai minori di videogiochi con contenuti violenti o sessualmente espliciti, secondo l’ Associated Press del 1° giugno. Il Governatore dello Stato, Rod Blagojevich, ha avanzato l’anno scorso la proposta del divieto, dopo aver appreso di un videogioco che pone il giocatore nei panni dell’assassino del presidente John Kennedy. Tuttavia simili divieti, in altri Stati, sono stati annullati dai tribunali federali, per violazione del Primo Emendamento, ha osservato l’ AP.

Qualche mese fa il quotidiano spagnolo El País ha riportato due studi in cui si critica il livello di violenza e di sesso nei videogame. In un articolo del 9 gennaio si afferma che 7 milioni, tra bambini e adulti, in Spagna giocano ai videogiochi. L’industria produce più reddito (circa 800 milioni di euro nel 2003) rispetto a quella cinematografica (636 milioni di euro) o discografica (550 milioni di euro).

Un studio svolto da Enrique J. Díez, professore dell’Università di León, ha preso in esame i 250 videogame più venduti sul mercato ed ha intervistato 5.000 utenti in età dai 6 ai 24 anni. Dalla sua indagine egli ha concluso che i giocatori finivano per considerare la violenza come un qualcosa di “insignificante” (“trivial”).

Díez ha riconosciuto che non esiste una dimostrazione certa del legame tra i videogiochi e il comportamento violento di chi ne usufruisce. Ciò nonostante egli ha concluso che esiste il grave rischio di creare una certa insensibilità alla violenza, in chi fa uso dei videogame.

Un altro servizio, basato su una analisi di 50 videogiochi, è stato pubblicato dalla sezione spagnola di Amnesty International. Esso critica il fatto che più della metà di questi giochi incitano alla violazione dei diritti umani. Fenomeni come assassini, stupri, schiavitù, torture e sterminio di civili in zone di guerra, sono stati riscontrati come elementi frequenti in questi prodotti, secondo il direttore di Amnesty, Esteban Beltrán.

Non tutto è male

Ma l’industria dei videogame non è tutta fatta di violenza e sesso. In un servizio sulla recente esposizione di Los Angeles, il Wall Street Journal del 12 maggio scorso ha osservato che “nonostante la preponderanza di giochi indecenti, l’industria continua a sfornare anche giochi adatti ai bambini”. Un gioco d’avventura, ad esempio, è stato venduto in 42 mila copie, sin dalla sua uscita a metà degli anni ’80, ha osservato l’articolo.

L’ Associated Press ha spiegato lo scorso 9 gennaio come una società, la Activision Publishing, ha prodotto diversi giochi adatti ai bambini. La Presidente della società, Kathy Vrabeck, che ha un figlio di 7 anni, ha detto che avrebbe forti remore a lasciar giocare il proprio figlio con alcuni degli altri giochi, più violenti, che la stessa società commercializza.

L’articolo ha anche spiegato che l’Entertainment Software Rating Board, un organo di autoregolamentazione istituito dall’industria dei giochi, dopo aver preso in considerazione nel 2003 più di 10.000 videogame, ha concluso che il 57% di essi erano adatti ai bambini di 6 anni in su (rating “E”), mentre il 42% erano adatti agli adolescenti o agli adulti (rating “T” e “M”).

Esiste anche qualche tentativo di elaborare giochi cristiani, secondo la BBC del 24 maggio. L’articolo si è incentrato su Ralph Bagley, che ha iniziato ad elaborare giochi alternativi sin dal 1996. Ad oggi, la sua società, la N’Lightning Software, ha venduto circa 80.000 copie del gioco “Catechumen”. E qualche mese fa, Bagley ha istituito la fondazione Christian Game Developers, con la finalità di incentivare la produzione di giochi a sfondo cristiano.

“Semplicemente vietare ai nostri figli di giocare con i videogame non può essere una soluzione”, ha affermato. “Dobbiamo dare loro alternative di qualità, in grado di eguagliare il livello emotivo prodotto dai giochi ‘laici’, e che promuovano al contempo i valori cristiani, senza contenuti di violenza o di sessualità esplicita”.

Uno degli ostacoli è il finanziamento. Occorrono diversi milioni di dollari per elaborare e promuovere un nuovo gioco. Eppure, all’Esposizione dello scorso maggio la società Crave Entertainment è riuscita a lanciare il suo “Bible Game”, in cui il giocatore deve rispondere ad una serie di domande su argomenti religiosi.

Un altro tentativo di ricondurre i videogame a finalità costruttive è il gioco “Food Force” elaborato dal Programma Alimentare Mondiale (PAM) dell’ONU. In un comunicato stampa del 12 aprile, l’Agenzia ha affermato che l’obiettivo di questo gioco è di insegnare ai bambini le problematiche logistiche della distribuzione dell’aiuto alimentare nei contesti di crisi umanitaria.

Il gioco è ambientato in un’isola di fantasia, Sheylan, afflitta dalla siccità e dalla guerra. Il gioco pone il bambino nel ruolo di chi deve completare sei missioni che rispecchiano le problematiche che il PAM ha effettivamente affrontato nelle situazioni di emergenza derivanti dallo tsunami e da altre crisi alimentari. Il sito Internet di questo gioco offre anche del materiale istruttivo per essere utilizzato dai genitori e dagli insegnanti.

Neil Gallagher, responsabile delle comunicazioni del PAM, ha spiegato che il gioco non solo rappresenta un’alternativa densa di azione, rispetto alla violenza gratuita degli altri videogame, ma esso è in grado di “suscitare l’interesse e la comprensione dei ragazzi sul fenomeno della fame, che miete più vittime di quante non ne facciano l’AIDS, la malaria e la tubercolosi messi insieme”, ha affermato.

Suscitare emozioni

Le preoccupazioni per la violenza presente sia nei videogiochi che in generale nei mezzi di comunicazione, risulta giustificata anche da diversi studi. Secondo un servizio pubblicato dal Times di Londra il 18 febbraio scorso, i bambini esposti alla violenza corrono il grave rischio di assumere comportamenti aggressivi.

Da uno studio effettuato dall’Università di Birmingham, risulta che la “visione passiva” della televisione e dei film e la “visione interattiva” dei videogame hanno effetti di breve termine sulle emozioni dei bambini.

Secondo l’autore principale, Kevin Browne, lo studio dimostra la necessità di disporre linee guida che possano aiutare i genitori a valutare quando e come proteggere i propri figli dai contenuti sempre più sanguinosi, sessualmente espliciti e amorali di alcuni videogiochi e film.

L’articolo riporta il fatto che, lo scorso anno, la pressione dell’opinione pubblica ha costretto a ritirare dal mercato un gioco a cui è stata ricondotta l’uccisione di un ragazzo di 14 anni. Un altro adolescente britannico, lo scorso anno, ha confessato che, prima di aver ucciso il suo migliore amico, aveva giocato ripetutamente con un videogioco violento per circa 100 volte. Il ragazzo ha poi affermato di essere stato istruito in tal senso dal personaggio principale del gioco.

Anche un altro studio, svolto dal Center on Media and Child Health dell’ospedale pediatrico
di Boston, ha sollevato preoccupazioni sulla violenza presente nei media. Pubblicato a gennaio dalla Kaiser Family Foundation, il rapporto si è incentrato sulla questione dell’utilizzo dei media da parte dei bambini fino ai 6 anni di età. Anche a questa età essi si trovano pesantemente esposti ai mezzi di comunicazione. Secondo uno studio svolto nel 2003, il 30% dei bambini fino ai 3 anni, e il 43% dei bambini dai 4 ai 6 anni, dispongono di un televisore nella propria camera da letto.

Il rapporto osserva che nei primi anni del loro sviluppo, i bambini sono particolarmente vulnerabili, e che le esperienze fatte in questi anni rappresentano la base del loro futuro. Molti illustri studiosi dei media, secondo il rapporto, “ritengono che il fatto che la violenza nei mezzi di comunicazione contribuisca a maggiori stati di ansia, ad una minore sensibilità e ad una maggiore aggressività, sia ormai riconosciuto in modo unanime e incontrovertibile”.

Vi sono quindi buone ragioni per essere preoccupati della violenza contenuta nei videogiochi e nei mezzi di comunicazione. A fronte di ciò, mentre la tecnologia continua a svilupparsi, i cristiani devono affrontare la sfida e creare valide alternative.

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ZENIT Staff

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