ROMA, lunedì, 20 giugno 2005 (ZENIT.org).- Una cultura “di accoglienza e integrazione” degli immigrati è l’“unica seria risposta anche per la sicurezza sociale”, ha affermato il Consiglio nazionale di Caritas Italiana accogliendo l’appello lanciato sulla questione dell’immigrazione dalle Caritas diocesane, riunite a Fiuggi nei giorni scorsi per il loro 30° Convegno nazionale.

“Gli ultimi avvenimenti di cronaca, verificatisi in alcune città d’Italia, ripropongono la clandestinità come problema della sicurezza, con la conseguente richiesta di un maggiore inasprimento delle pene, a fronte di una drammatica situazione carceraria, sia sul piano della crescita del numero delle persone detenute, sia per quanto attiene le condizioni di vita all’interno delle strutture penitenziarie”, si legge in un comunicato Caritas di questo lunedì.

Di fronte a questa situazione, le Caritas diocesane hanno riaffermato in primo luogo “la necessità di una progettualità sociale dell’accoglienza” e “l’insufficienza di una politica immigratoria legata eccessivamente a quote che non riescono a soddisfare le richieste dell’imprenditoria e le esigenze sociali di assistenza ad anziani e malati”.

L’organizzazione ha anche riconosciuto “l’incapacità da parte delle istituzioni di dialogare con le organizzazioni di immigrati, affinché queste diventino una risorsa per la sicurezza del territorio, al fine di favorire un’autentica politica di integrazione”.

Allo stesso modo, le Caritas considerano una “falsa illusione” pensare che il carcere possa essere “strumento di prevenzione della microcriminalità, visto che le vere cause si sviluppano nei processi di esclusione sociale”.

“Come cristiani impegnati ad incontrare quotidianamente i volti della povertà e dell’emarginazione”, le Caritas propongono innanzitutto “una politica territoriale che aumenti la capacità degli enti locali, ed in particolare dei Comuni, di assumersi la responsabilità diretta nell’accoglienza e nell’integrazione”.

E’ altresì necessaria “la revisione del sistema delle quote, nella consapevolezza che l’immigrato non è solo forza-lavoro, ma prima di tutto una persona alla quale vanno riconosciuti diritti fondamentali come la salute, la casa, la famiglia”.

In vista di un inserimento di quanti giungono nel nostro Paese in cerca di una vita migliore per sé e per la propria famiglia, diventa una necessità “la ricerca di forme sempre più allargate di partecipazione degli immigrati alla vita sociale e politica, nel rispetto delle loro culture”, così come “il superamento del ricorso sistematico ai CPT (Centri di permanenza temporanea), come risposta unica al problema della clandestinità”.

Per i detenuti stranieri, le Caritas chiedono invece la possibilità di accedere a “misure alternative sul territorio”.

L’organizzazione respinge quindi “ogni tentativo di criminalizzazione della clandestinità e dell’immigrato”, “che rischia di essere un’ ulteriore causa di paure sociali che generano meccanismi di intolleranza, di violenze, di vendette e di appelli all’abuso della carcerizzazione”.

“Le Caritas si impegnano a continuare nell’opera di sostegno verso gli immigrati e le comunità in cui sono inseriti – conclude il comunicato –, favorendo una cultura di accoglienza e integrazione, unica seria risposta anche per la sicurezza sociale”.