Dicono che abbia ricevuto una standing ovation di oltre cinque minuti il discorso di Papa Francesco al termine della quindicesima Congregazione generale, che ha concluso questo tumultuoso Sinodo straordinario sulla famiglia.
Il Papa, in silenzio durante tutto il dibattito, si è finalmente pronunciato oggi, in un intervento che non ha risparmiato alcuna durezza riguardo a certe “tentazioni” in cui rischia di incorrere la Chiesa stessa. Tentazioni che riguardano sia i cosiddetti “tradizionalisti” che i “progressisti”, ha detto il Papa non sbilanciandosi da nessuna delle due parti.
Ma d’altronde il Sinodo è un cammino, ha ricordato il Santo Padre, un cammino “dove il più forte si è prestato a servire gli altri, anche attraverso i confronti”. Un cammino “fatto da uomini”, per cui “con le consolazioni ci sono stati anche momenti di desolazione, di tensione e tentazioni”.
In particolare, il Pontefice ne ha indicate tre. Anzitutto, “la tentazione dell‘irrigidimento ostile”, ovvero – ha spiegato – “il voler chiudersi dentro lo scritto (la lettera) e non lasciarsi sorprendere da Dio, dal Dio delle sorprese (lo spirito); dentro la legge, dentro la certezza di ciò che conosciamo e non di ciò che dobbiamo ancora imparare e raggiungere”. È una tentazione, questa, che risale al tempo di Gesù, propria “degli zelanti, degli scrupolosi, dei premurosi e dei cosiddetti oggi tradizionalisti e anche degli intellettualisti”, ha detto il Santo Padre.
Ha poi elencato un altro tipo di tentazione, forse la peggiore: il “buonismo distruttivo”, il quale “a nome di una misericordia ingannatrice fascia le ferite senza prima curarle e medicarle; che tratta i sintomi e non le cause e le radici”. Questa è la tentazione “dei buonisti, dei timorosi e anche dei cosiddetti progressisti e liberalisti”.
Entrambe le ‘fazioni’ poi si trovano d’accordo nel cadere nella “tentazione di trasformare la pietra in pane”,per rompere “un digiuno lungo, pesante e dolente”. Oppure nella tentazione di “trasformare il pane in pietra e scagliarla contro i peccatori, i deboli e i malati”, trasformandolo in “fardelli insopportabili”.
Ancora un’altra tentazione: “scendere dalla croce”, ha denunciato il Pontefice, “per accontentare la gente, e non rimanerci, per compiere la volontà del Padre; di piegarsi allo spirito mondano invece di purificarlo e piegarlo allo Spirito di Dio”. Infine, la tentazione di “trascurare il depositum fidei”, ovvero considerarsi “non custodi ma proprietari e padroni”. Tentazione che fa da contrappeso a quella di “trascurare la realtà”,utilizzando – ha sottolineato il Santo Padre “una lingua minuziosa e un linguaggio di levigatura per dire tante cose e non dire niente! Li chiamavano ‘bizantinismi’, credo, queste cose…”.
Tutte queste tentazioni sono emerse con chiarezza in Aula in queste due settimane dell’assise. Tuttavia il Papa è sereno e anzi, rassicurando l’assemblea, ha esortato a non farsi “né spaventare né sconcertare e nemmeno scoraggiare”, perché “nessun discepolo è più grande del suo maestro”. Gesù stesso infatti “è stato tentato” e “addirittura chiamato Beelzebul”. Quindi i suoi discepoli “non devono attendersi un trattamento migliore…”.
“Personalmente – ha aggiunto poi Bergoglio – mi sarei molto preoccupato e rattristato se non ci fossero state queste tentazioni e queste animate discussioni; questo movimento degli spiriti, come lo chiamava Sant’Ignazio”. Anzi “se tutti fossero stati d’accordo o taciturni in una falsa e quietista pace” sarebbe stato ancora più pericoloso.
Davanti agli occhi del Pontefice taciturno sono passati invece “discorsi e interventi pieni di fede, di zelo pastorale e dottrinale, di saggezza, di franchezza, di coraggio e di parresia”. E per questo si sente di esprimere “gioia e riconoscenza”, perché tutto ciò ha dimostrato il tentativo di ognuno di mettere davanti ai propri occhi “il bene della Chiesa, delle famiglie e la suprema lex, la salus animarum“. Questo, sempre “senza mettere mai in discussione le verità fondamentali del Sacramento del Matrimonio: l’indissolubilità, l’unità, la fedeltà e la procreatività, ossia l’apertura alla vita”.
Insomma questo Sinodo, tanto discusso, tanto travagliato per certi versi, è stato un esempio reale di Chiesa. Una Chiesa, ha detto il Papa, “che non ha paura di rimboccarsi le maniche per versare l’olio e il vino sulle ferite degli uomini”; che “non guarda l’umanità da un castello di vetro per giudicare o classificare le persone”.
Una Chiesa, “Una, Santa, Cattolica, Apostolica”, che è “composta da peccatori, bisognosi della Sua misericordia”, che “cerca di essere fedele al suo Sposo e alla sua dottrina”, che “non ha paura di mangiare e di bere con le prostitute e i pubblicani”, e che “ha le porte spalancate per ricevere i bisognosi, i pentiti e non solo i giusti o coloro che credono di essere perfetti!”.
La Chiesa, insomma – ha aggiunto Francesco – “non si vergogna del fratello caduto e non fa finta di non vederlo, anzi si sente coinvolta e quasi obbligata a rialzarlo e a incoraggiarlo a riprendere il cammino e lo accompagna verso l’incontro definitivo, con il suo Sposo”.
E quando, “nella varietà dei suoi carismi”, la Chiesa “si esprime in comunione, non può sbagliare”. Quindi sono solo chiacchiere quelle di “tanti commentatori” che “hanno immaginato di vedere una Chiesa in litigio dove una parte è contro l’altra, dubitando perfino dello Spirito Santo, il vero promotore e garante dell’unità e dell’armonia nella Chiesa”.
Lo Spirito Santo, infatti – ha rimarcato il Pontefice – “ha sempre condotto la barca, attraverso i suoi Ministri”, anche quando, lungo la storia, “il mare era contrario e mosso e i ministri infedeli e peccatori”.
L’importante era che tutto il Sinodo si vivesse “con tranquillità, con pace interiore anche perché il Sinodo si svolge cum Petro et sub Petro”, e la presenza del Papa – ha detto Francesco in una delle poche volte in cui non si è definito Vescovo di Roma – “è garanzia per tutti”.
A proposito del Papa, Bergoglio ha voluto ricordare a tutti quale sia il legame tra il Successore di Pietro ed i vescovi. “Il compito del Papa – ha affermato – è quello di garantire l’unità della Chiesa; è quello di ricordare ai pastori che il loro primo dovere è nutrire il gregge che il Signore ha loro affidato e di cercare di accogliere – con paternità e misericordia e senza false paure – le pecorelle smarrite. Ho sbagliato, qui. Ho detto accogliere: andare a trovarle”. Compito del Papa è inoltre “ricordare a tutti che l’autorità nella Chiesa è servizio”, ha aggiunto ricordando le chiarissime indicazioni in merito del suo predecessore Benedetto XVI.
“La Chiesa è di Cristo, è la Sua Sposa”, ha ribadito il Santo Padre, e “tutti i vescovi, in comunione con il Successore di Pietro, hanno il compito e il dovere di custodirla e di servirla, non come padroni ma come servitori”. Il Papa stesso è un sevitore: “il supremo servitore”, e non “il signore supremo”. Egli è “garante dell’ubbidienza e della conformità della Chiesa alla volontà di Dio, al Vangelo di Cristo e alla Tradizione della Chiesa, mettendo da parte ogni arbitrio personale, pur essendo – per volontà di Cristo stesso – il ‘Pastore e Dottore supremo di tutti i fedeli’ e pur godendo ‘della potestà ordinaria che è suprema, piena, immediata e universale nella Chiesa’”.
Prima di concludere il Papa è tornato quindi a parlare del Sinodo e, a chi forse usciva un po’ insoddisfatto per il mancato approfondimento di certi punti, ha ricordato che “abbiamo ancora un anno per maturare, con vero discern
imento spirituale, le idee proposte e trovare soluzioni concrete a tante difficoltà e innumerevoli sfide che le famiglie devono affrontare”.
Dodici mesi sono quindi più che sufficienti “per lavorare sulla Relatio synodi che è il riassunto fedele e chiaro di tutto quello che è stato detto e discusso in questa Aula e nei Circoli minori”, e che verrà presentata alle Conferenze episcopali di tutto il mondo come “Lineamenta”.
In questo cammino di preparazione al Sinodo 2015, il Papa ha quindi invocato il Signore affinché “ci accompagni, ci guidi in questo percorso a gloria del Suo nome con l’intercessione della Beata Vergine Maria e di San Giuseppe!”. Infine, ha espresso la consueta richiesta: “Per favore non dimenticate di pregare per me!”. E lì è scattato il lungo e caloroso applauso. Sia da parte dei tradizionalisti, che dei progressisti.