Se da un lato l’impegno per lo Stato di diritto potrebbe apparire “universale”, sussistono ancora “disaccordi persistenti” sulla definizione stessa di “Stato di diritto”. Lo ha affermato l’arcivescovo Bernardito Auza, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, al sesto comitato della 69° sessione dell’Assemblea Generale, tenutasi lo scorso 13 ottobre.
La Delegazione della Santa Sede ha appoggiato una definizione dello Stato di diritto basata “sia razionalmente che moralmente sui principi fondamentali della giustizia, compresi l’inalienabile dignità e il valore di ogni persona umana prima di qualsiasi legge o consenso sociale”, ha spiegato monsignor Auza.
Lo Stato di diritto, quindi, si identifica pienamente nel “massimo rispetto dei diritti umani”, nella “uguaglianza di diritti delle nazioni” e nel “rispetto del diritto consuetudinario internazionale”, con il fine ultimo di “promuovere e garantire la dignità della persona umana e il bene comune”.
In merito ai “futuri dibattiti sullo Stato di diritto”, l’osservatore permanente ha espresso l’apprezzamento della sua delegazione per “una maggiore attenzione per la persona umana e la società in cui vive”, poiché, “lo Stato di diritto non si può ottenere senza fiducia sociale, solidarietà, responsabilità civica, buon governo ed educazione morale”.
“La famiglia, le comunità religiose e la società civile – ha aggiunto il presule – svolgono ruoli indispensabili nel creare una società in grado di promuovere l’integrità pubblica e sostenere lo Stato di diritto”.
Nell’esercizio dei poteri conferiti dalla Carta delle Nazioni Unite, “è opportuno enfatizzare l’impegno degli Stati ad adempiere i loro obblighi di promuovere il rispetto universale di tutti i diritti umani e le libertà fondamentali di ciascuno, nonché di favorirli e di proteggerli”.
Lo Stato di Diritto internazionale deve applicare “strutture di protezione” previste dalla Carta delle Nazioni Unite, ha detto monsignor Auza, con particolare riferimento “alle minoranze religiose ed etniche in Medio Oriente e in altre regioni, che attendono misure urgenti per realizzare questa protezione, anche attraverso un’ulteriore elaborazione giuridica della responsabilità di proteggere”.
La Santa Sede, quindi, ribadisce che “ogni Stato ha il dovere fondamentale di proteggere la propria popolazione contro gravi e prolungate violazioni dei diritti umani e dalle conseguenze di crisi umanitarie”.
Qualora lo Stato non sia in grado di garantire tale protezione, “la comunità internazionale deve intervenire con i mezzi giuridici forniti nella Carta delle Nazioni Unite e in altri strumenti internazionali”, la cui azione “non può essere interpretata come imposizione ingiustificata o limitazione della sovranità”.
In conclusione, l’osservatore permanente, ha espresso l’auspicio della Santa Sede che il fenomeno del terrorismo internazionale “possa essere l’occasione per uno studio più approfondito e urgente su come attuare nuovamente il quadro giuridico internazionale di applicazione multilaterale della nostra comune responsabilità di proteggere le persone da ogni forma di aggressione ingiusta”.