La crudeltà della tortura e della pena di morte, le condizioni “disumane e degradanti” dei carcerati, ma anche il delitto della corruzione, della tratta di esseri umani e delle nuove forme di schiavitù. C’è tutto questo nel monumentale discorso che Papa Francesco rivolge alla delegazione dell’Associazione Internazionale di Delitto Penale, ricevuta oggi in udienza nella Sala dei Papi, in Vaticano.
Il Pontefice suddivide il suo discorso in capitoli, in modo da scandagliare a fondo tutte le questioni che “toccano direttamente la dignità della persona umana e dunque interpellano la Chiesa nella sua missione di evangelizzazione, di promozione umana, di servizio alla giustizia e alla pace”. Su tutte, il Papa non risparmia di esprimere un pensiero netto che chiarisce definitivamente le sue posizioni riguardo a certi temi incandescenti nel panorama internazionale. Posizioni dure o forse “opinabili”, come dice egli stesso.
Nelle sue parole il diritto penale si fonde quindi con la sociologia e la mitologia, come quando, in apertura, afferma che, al pari delle società primitive, anche oggi “la folla scopre i poteri malefici delle sue vittime sacrificali, accusati delle disgrazie che colpiscono la comunità”. E “l’esistenza di strumenti legali e politici necessari ad affrontare e risolvere conflitti non offre garanzie sufficienti ad evitare che alcuni individui vengano incolpati per i problemi di tutti”.
La vita in comune “ha bisogno di regole di convivenza la cui libera violazione richiede una risposta adeguata”, sottolinea Bergoglio, ed accusa alcuni settori della politica come pure i mezzi di incitare talvolta “alla violenza e alla vendetta, pubblica e privata, non solo contro quanti sono responsabili di aver commesso delitti, ma anche contro coloro sui quali ricade il sospetto, fondato o meno, di aver infranto la legge”.
Unito a questo, “negli ultimi decenni si è diffusa la convinzione che attraverso la pena pubblica si possano risolvere i più disparati problemi sociali, come se per le più diverse malattie ci venisse raccomandata la medesima medicina”. Oltre alla ricerca di capri espiatori, osserva il Papa, si tende pure “a costruire deliberatamente dei nemici: figure stereotipate, che concentrano in sé stesse tutte le caratteristiche che la società percepisce o interpreta come minacciose”. Una tendenza che Francesco definisce “populismo penale”, i cui meccanismi di formazione – avverte – “sono i medesimi che, a suo tempo, permisero l’espansione delle idee razziste”.
La denuncia più grave da parte del Pontefice è tuttavia quella relativa alla pena di morte. “È impossibile immaginare che oggi gli Stati non possano disporre di un altro mezzo che non sia la pena capitale per difendere dall’aggressore ingiusto la vita di altre persone”, afferma il Pontefice. Risuona quindi la condanna di San Giovanni Paolo II nella Evangelium vitae, e sulla stessa scia Francesco non solo stigmatizza questo male, ma ne chiede direttamente l’abolizione, “legale o illegale che sia” e in tutte le sue forme.
Sono tanti, infatti, gli “argomenti contrari” alla pena capitale: su tutti “l’uso che ne fanno i regimi totalitari e dittatoriali”, che la utilizzano come “strumento di soppressione della dissidenza politica o di persecuzione delle minoranze religiose e culturali”.
“Tutti i cristiani e gli uomini di buona volontà” sono chiamati a lottare contro la pena di morte, afferma il Pontefice, anche “al fine di migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana delle persone private della libertà”. In questo ambito, il Papa tira in ballo “l’ergastolo” che – dice – “è una pena di morte nascosta”, tanto da averlo abolito da poco tempo nel Codice penale del Vaticano.
L’attenzione del Pontefice si sposta quindi sulle condizioni della carcerazione, specie su quelle dei detenuti senza condanna e i condannati senza giudizio. “Queste non sono favole: voi lo sapete bene” – evidenzia – anzi sono “forme contemporanee di pena illecita occulta”, molto frequenti e gravi in alcuni Paesi dove “il numero dei detenuti senza condanna supera il 50% del totale”.
Tale fenomeno contribuisce poi “al deterioramento ancora maggiore delle condizioni detentive, situazione che la costruzione di nuove carceri non riesce mai a risolvere, dal momento che ogni nuovo carcere esaurisce la sua capienza già prima di essere inaugurato”. E dal problema dei carcerati senza condanna si corre il rischio di crearne un altro addirittura “peggiore”: quello dei reclusi senza giudizio, “condannati senza che si rispettino le regole del processo” e vessati in “deplorevoli condizioni detentive”.
È proprio in questi casi che, spesso, purtroppo, si verifica quello che per il Papa è una delle più esplicite dimostrazioni di crudeltà umana: la tortura. Una forma di questa è ad esempio “la reclusione in carceri di massima sicurezza”, che, “con il motivo di offrire una maggiore sicurezza alla società o un trattamento speciale per certe categorie di detenuti”, riduce le persone al completo isolamento provocando “sofferenze psichiche e fisiche come la paranoia, l’ansietà, la depressione e la perdita di peso” e incrementando la tendenza al suicidio.
Ma ci sono poi tante e tante altre forme di torture, che – constata il Pontefice con rammarico – non sono somministrate solamente come mezzo per ottenere “la confessione o la delazione”, ma “costituiscono un autentico plus di dolore che si aggiunge ai mali propri della detenzione”.
“In questo modo si tortura non solo in centri clandestini di detenzione o in moderni campi di concentramento, ma anche in carceri, istituti per minori, ospedali psichiatrici, commissariati e altri centri e istituzioni di detenzione e pena”, aggiunge. E, con forza, ordina di risparmiare da tutto ciò le categorie di per sé più vulnerabili: i bambini anzitutto, poi anziani, ammalati, donne incinte, disabili, e anche “madri e padri che siano gli unici responsabili di minori o di disabili”.
Dopo la tortura, il Vescovo di Roma si scaglia poi contro un altro fenomeno, anzi una vera e propria piaga, cioè quella tratta delle persone che è figlia della “povertà assoluta” che intrappola “un miliardo di persone” e madre del terrore che costringe oggi circa 45 milioni di persone a fuggire dalle proprie case. Il Papa non risparmia alcuna durezza in merito, ed esplicitamente afferma che di fronte a questo “crimine contro l’umanità” la responsabilità è degli Stati, perché “non è possibile commettere un delitto tanto complesso come la tratta delle persone senza la complicità, con azione od omissione, degli Stati”.
“È evidente – sottolinea – che, quando gli sforzi per prevenire e combattere questo fenomeno non sono sufficienti” e “se accade che chi è preposto a proteggere le persone e garantire la loro libertà, invece si rende complice di coloro che praticano il commercio di esseri umani, allora, in tali casi, gli Stati sono responsabili davanti ai loro cittadini e di fronte alla comunità internazionale”.
Di qui una riflessione sulla corruzione, che, secondo il Pontefice, “si esprime in un’atmosfera di trionfalismo perché il corrotto si crede un vincitore e si pavoneggia per sminuire gli altri”. Questo è il risultato dell’impunità resa possibile dal fatto che “la sanzione penale è selettiva, cioè è come una rete che cattura solo i pesci piccoli, mentre lascia i grandi liberi nel mare”. Il Papa è quindi perentorio: ogni forma di corruzione va perseguita con maggiore severità, specie “quelle che causano gravi danni sociali, sia in materia economica che sociale, come le frodi contro la pubblica amministrazione o l’esercizio sleale dell’amministrazione o qualsiasi sorta di ostacolo alla giustizia”.
Un’ultima parola, infine, va direttamente ai penalisti: “cautela”, quale
criterio che il Papa raccomanda di usare “nell’applicazione della pena”, e “principio” su cui reggere ogni sistema penale.