L'essere "superfluo": l'origine antica di un male moderno

Una analisi sulla attuale tendenza della vita interiore di “estoriorizzarsi” al massimo

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Spesso la storia della letteratura ci offre molti spunti di riflessione. Non di rado, il valore intrinseco di alcune opere viene completamente svelato soltanto decenni dopo la loro pubblicazione sia per le incomprese “doti di preveggenza” delle trasformazioni sociali sia perché, nell’evoluzione storica dei diversi paesi, alcuni fenomeni psicologici e fenotipi sociologici appaiono in epoche diverse con caratteristiche peculiari pur avendo, comunque, una base comune.

La letteratura russa dell’Ottocento, pur ritraendo lo spirito del suo tempo e incarnando le rivendicazioni di un intero popolo, si è spinta oltre la mera rappresentazione romanzata di complesse storie individuali, familiari e collettive [1]. Attraverso un sapiente dosaggio di introspezione psicologica e speculazione filosofica (non, a volte, senza profondi richiami teologici) ha saputo delineare alcuni aspetti della modernità che sarebbero stati motivo di corposi studi nelle epoche successive. La sua peculiarità sta proprio in quella capacità di oltrepassare la contingenza mostrando, ogni volta, la sua sorprendente attualità.

In primo luogo ci si riferisce alla genealogia dell’uomo superfluo (lišnij čelovek) [2] con tutta una gamma di caratteristiche che, attraverso la penna arguta di autori immortali, hanno travalicato i confini nazionali e temporali. Se alcuni critici hanno visto in questa personalità la risposta negativa all’eroe romantico byroniano e la contrapposizione radicale alle caratteristiche faustiane di derivazione goethiana, essa sembra – invece – riassumerne le qualità intrinseche in una completa umanizzazione dove gli antipodi dell’aspirazione alle virtù e del desiderio di emancipazione si scontrano quotidianamente con la più spregevole vigliaccheria, l’ignavia atrofizzante, la passività negativa, la rinuncia indifferente, la cieca aggressività e la meschina scelta utilitaristica.

In quel processo agli albori della modernità il punto di tangenza appare essere l’incontro tra una prevaricazione di stampo razionalista e la distruzione ontologica, tracciando uno iato profondo tra una mentalità legata alla tradizione (etica e religiosa) e le istanze di cambiamento di una società in evoluzione. Se Il’ja Il’ič Oblómov rinuncia passivamente a qualsiasi responsabilità chiudendosi nell’apatia della sua stanza, per Evgenji Bazarov nessuna autorità o fede ha valore di fronte alle sue scelte individuali [3]. Il nichilista ante litteram si unisce al superomismo decadente di Rodion Romanovič Raskol’nikov che, in preda ai più vili istinti e ad una rabbia irrazionale, incarna la metamorfosi di un’epoca che vuole assolutamente privarsi della coscienza nonostante la sua presenza ingombrante non possa essere facilmente rimossa [4].

Questi caratteri emblematici, apparentemente estremi, rappresentano il culmine di una de-costruzione identitaria dell’essere e della sua trascendenza, che genera mortificazione, ira, rancore, esaltazione della contrapposizione violenta e del risentimento. Tali temi sono stati successivamente ampliati, non senza un certo autoritarismo interpretativo e fino alle estreme conseguenze, nell’ambito del materialismo storico e della speculazione filosofica sulla rivoluzione permanente:

“I teorici della Politica e della Storia si ribellano al momento teologico, soprattutto si rifiutano di riconoscere ad esso l’ultima parola sull’essere dell’uomo: ad essi la trascendenza fa l’impressione di un salto nel vuoto, ove l’uomo manca di ogni sostegno. La ragione ultima di questa idiosincrasia teologica è l’essenza stessa della filosofia moderna, nella sua fondazione immanentistica di cui Hegel costituisce l’apice e l’esistenzialismo ateo l’epilogo e l’inversione metafisica: l’essere concepito in funzione del conoscere e il conoscere in funzione dell’universale umano soggettivo. Così si è finito per divinizzare l’uomo universale e si è lasciato andare alla deriva il Singolo, la Persona perché non si è voluta approfondire la vera dialettica dell’uomo: quella di corpo e spirito, di senso e di intelligenza, di intuizione e ragione, di singolo e collettività. Così la tensione dialettica e la problematica nella vita e nella Storia non è che apparente: cessa perciò nell’uomo ogni aspirazione oltre il tempo e la finitezza […]. [5]

All’immanenza agglutinante si associa, nel processo di sviluppo industriale, l’assurdità dell’uomo massificato alla mercé dei suoi stessi prodotti a cui si applica – per estensione ed associazione – il concetto di obsolescenza. Come aveva già intuito il sociologo e economista americano T. Veblen all’inizio del secolo scorso:

“È vero: le abitudini di pensiero, generate dal sistema delle macchine nell’industria e dall’organizzazione meccanicamente standardizzata della vita quotidiana sotto questo nuovo ordine così come la scienza materiale sono di un tale carattere che inclinerebbero l’uomo comune a «valutare» ogni uomo e pensare in termini di performance tangibile piuttosto che nei termini della consuetudine legale e antica [6]”.

L’uomo assurdo – ci ricorda A. Camus [7] – ha un rapporto ambiguo con se stesso: pur trovandosi in una sorta di perenne travaglio, o fugge volontariamente le domanda sul fine e sul senso dell’esistenza o si omologa, non senza un processo coatto di disumanizzazione, alle più disordinate tendenze del momento. Entrambe queste premesse sembrano non avere altra conclusione che un pessimismo dilaniante di matrice gnostica, scettica e nichilista come abbondantemente rintracciabile negli scritti di E. Cioran [8] o di P. Pia [9]. Invece di ritrovare una via razionale, si evita automaticamente qualsiasi sforzo di pensiero adagiandosi pericolosamente – nell’era della liquidità digitale – al superfluo nell’accettazione indolente di una qualsiasi versione superficiale pavoneggiandosi, inopportunamente, al limite dell’istrionico:

“In alcuni settori della vita, oggi, si applica l’automazione non solo a determinate tecniche, ma anche a ciò che un tempo si chiamava vita interiore, ragion per cui quest’ultima tende a esteriorizzarsi al massimo [10]”.  

*

NOTE

[1] Si veda E. Lo Gatto, Profilo della letteratura russa dalle origini a Solenicyn: momenti, figure e opere, Mondadori, Milano 1975 e D. P. Mirskij, Storia della letteratura russa, Garzanti, Milano 1998.

[2] “Although the idea of the superfluous man is specific to Russia, it is also part of a broader phenomenon in terms of the ways in which cultures, past and present, have viewed nonconformists and conformists. […] Sometimes nonconformist can be seen as a noble, tragic figure, but sometimes he or she can be seen as being explicitly or implicitly condemned. The authorial disapproval of nonconformist behavior, or an ambivalent attitude toward nonconformity, marks the life and art of diverse cultures.” E. Chances,  “The Superfluous Man in Russian Literature”, in N. Cornwell (ed.), The Routledge Companion to Russian Literature, Routledge, New York 2001, p. 111.

[3] Si legga G. Sans, “Tre radici filosofiche del nichilismo”, in La Civiltà Cattolica, n. 3939-3940/2014, pp. 251-261.

[4] “The superfluous man is paralyzed in that he cannot move beyond himself; as long as he remains in the stasis of what he is, he remains paralyzed.” D. Patterson, Exile: The Sense of Alienation in Modern Russian Letters, University Press of Kentucky, Lexington 1995, pp. 13-14.

[5] C. Fabro, L’uomo e il rischio di Dio, Opere comple
te vol. 22, EDIVI, Segni (Roma) 2014, p. 464.

[6] T. Veblen, «The Vested Interests and The Common Man» , in T. Veblen, The Vested Interests and The State of The Industrial Arts, B.W. Huebsch, New York 1919, p. 170 (traduzione nostra).

[7] „Zur Entstehungszeit des Essays lagen bereits erste literarische Arbeiten Camus’ vor, in denen sich seine Grunderfahrung des Widerspruchs zwischen materieller Not und glücklichen Naturerleben manifestierte. Durch die zunehmende Beschäftigung mit der sozialen Umwelt drängte sich in Camus’ Bewusstsein die negative Seite dieses Widerspruchs, die Erfahrung materiellen Elends, seelischer Vereinsamung und geistiger Orientierungslosigkeit, immer stärker in dem Vordengrund. Dieses komplexe Mangelerlebnis belegt Camus mit der generalisierenden Bezeichnung Absurdität.“ B. Sändig, Albert Camus. Autonomie und Solidarität, Königshausen und Neumann, Würzburg 2004, p. 58.

[8] Cfr. B. Mattheus, Cioran: Portrait eines radikalen Skeptikers, Matthes & Seitz, Berlin 2007.

[9] Cfr. R. Grenier, Pascal Pia ou Le droit au néant, Gallimard, Paris 1989.

[10] G. Marcel, Il mistero dell’essere, Borla, Torino 1987,p. 28

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Giovanni Patriarca

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