Riportiamo di seguito il testo dell’omelia tenuta da monsignor Enrico dal Covolo, Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense, nella Commemorazione dei Fedeli Defunti.
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Cari Fratelli e Sorelle,
in questa celebrazione eucaristica molte emozioni si affacciano, prepotenti, alla scena della nostra mente e del nostro cuore.
1. Anzitutto – e forse è questa l’emozione più forte –, davanti, e soprattutto dentro di noi, si affaccia il caro e dolce volto di tante persone che abbiamo amato, e che ormai non sono più, almeno fisicamente, tra di noi…
Noi oggi le ricorderemo tutte, nella comunione dei santi.</p>
2. Ma dietro a questa forte emozione rimane pur sempre un tragico interrogativo, sul quale vorrei fermarmi brevemente con voi.
Perché, o Signore, hai permesso questo? Perché la morte? Perché, Signore, ci fai nascere alla vita, se poi dobbiamo morire?
La morte, in effetti, rimane uno scandalo. In verità, la morte è un’alterazione del piano originario di Dio nella creazione. “Non Dio ha creato la morte”, scrive il libro della Sapienza, “ma la morte è entrata nel mondo per l’invidia del diavolo”. È una triste conseguenza del peccato dell’origine.
Così, ben a ragione, dinanzi alla morte il nostro io si ribella, mentre assume una più acuta consapevolezza delle sofferenze e delle tragedie di questa povera umanità dolorante.
Anche Gesù Cristo in croce si è fatto carico di questo dolore, lanciando un grido al cielo: “Padre, perché? Perché?…”. Ma il Padre tace. E Gesù muore, con una domanda, con la domanda, che – a prima vista – non trova nessuna risposta.
Ma subito la scena si capovolge: si squarcia il velo del tempio, i morti risorgono dai sepolcri, e il centurione proclama: “Davvero quest’uomo è il Figlio di Dio!”.
È questa la risposta della fede. Anche noi, come il centurione, crediamo che la morte non è l’ultima parola. Noi crediamo che l’amore è più forte della morte. Noi crediamo che una vita vissuta nel dono di sé – come quella di Gesù; come quella di tanti nostri Cari, che ci hanno preceduto nella fede – è una vita che vince la morte, lascia vuota la tomba, e vive per sempre.
L’abbiamo sentito nelle letture, e noi lo crediamo fermamente, perché ci fidiamo della Parola del Signore. Gesù è andato a prepararci un posto; e nei cieli nuovi e nella terra nuova, che Lui ci prepara, nella città santa, nella Gerusalemme nuova, là sarà asciugata ogni lacrima: non ci sarà più né morte, né lutto, né affanno.
L’importante è fidarci di Lui, e non ragionare come ragionava Tommaso, l’apostolo incredulo, durante i discorsi della cena. Tommaso ragionava in termini troppo umani. Lui voleva conoscere la mèta. Voleva sapere tutto.
Solo allora, solo quando saprò tutto – intende dire Tommaso – potrò mettermi a percorrere la via. “Non sappiamo dove vai”, dice Tommaso nel suo ragionamento, che spesso è anche il nostro; “e come possiamo conoscere la via?”. Ma Gesù gli rovescia il modo di pensare, e gli dice: “Io sono la via”. Del posto, della mèta, fidati! L’importante per te, adesso, non è sapere tutto sulla mèta: questa rimane in buona parte misteriosa; è l’oggetto della speranza. Ma intanto fai la via, che sono io; cioè: vivi come me, e fidati di me.
Se vivi come me, anche tu lasci vuota la tomba, vinci la morte e vivi per sempre! Te lo prometto Io, il Signore!
3. Così, in questa fede operativa il mistero della morte si rischiara, ed essa smette il suo volto angoscioso.
Ecco perché Francesco d’Assisi, disteso sulla nuda terra, può cantare l’ultima strofa del suo Cantico delle Creature: “Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale…”
Sì, nella fede in Cristo la morte – l’ultimo nemico – perde il suo pungiglione, e diventa sorella.
La morte rimane, è vero, una porta stretta e dolorosa da varcare. Ma la certezza della fede è che, oltrepassando questa porta, noi incontreremo il Volto amato di Gesù, nostro fratello e amico, che ci accoglierà sorridente: “Venite, benedetti del Padre mio… Ricevete il Regno, nel posto che vi ho preparato”.
Lì, o Signore, noi attendiamo di arrivare, per vedere il tuo Volto, e il volto dei nostri Cari, per sempre.
Perché, noi lo crediamo, “l’amore vince la morte, e vive per sempre”.