La vocazione al ministero sacerdotale è paragonabile, come ricorda il Vangelo, a un “tesoro nascosto in un campo” (Mt 13,44) che “Dio mette da sempre nel cuore di alcuni uomini, da Lui scelti e chiamati a seguirlo in questo speciale stato di vita”.
Lo ha detto papa Francesco durante l’udienza concessa oggi nella Sala Clementina ai partecipanti all’Assemblea Plenaria della Congregazione per il Clero.
Chi è chiamato al sacerdozio non è “padrone” della sua vocazione ma “amministratore di un dono che Dio gli ha affidato per il bene di tutto il popolo, anzi di tutti gli uomini, anche di coloro che si sono allontanati dalla pratica religiosa o non professano la fede in Cristo”, ha detto il Papa.
Al tempo stesso, tutta la comunità cristiana è “custode del tesoro di queste vocazioni, destinate al suo servizio, e deve avvertire sempre più il compito di promuoverle, accoglierle ed accompagnarle con affetto”.
Se, da un lato, Dio “non cessa di chiamare alcuni a seguirlo”, è compito degli uomini fare la loro parte “mediante la formazione, che è la risposta dell’uomo, della Chiesa al donodi Dio, quel dono che Dio le fa tramite le vocazioni”.
Le vocazioni sono come una sorta di “diamante grezzo” e vanno lavorate “perché brillino in mezzo al popolo di Dio”. La formazione vocazionale, poi, non avviene con il metodo del “vieni, ti spiego” o del “seguimi, ti istruisco”.
Gesù, infatti, formò i suoi discepoli dicendo loro: “vieni e seguimi” e “fai come faccio io”; parimenti dovrebbe comportarsi la Chiesa con i suoi sacerdoti. Siamo dunque di fronte a “un’esperienza discepolare, che avvicina a Cristo e permette di conformarsi sempre più a Lui”.
Pertanto la formazione non può essere “un compito a termine”, poiché “i sacerdoti non smettono mai di essere discepoli di Gesù, di seguirlo”, sebbene spesso il loro passo sia “incerto” e possano “anche cadere, ma sempre restando nel cammino”.
Per tutta la vita i presbiteri ricevono dunque una formazione, da dividersi in una formazione “iniziale” e in una formazione “permanente”, le quali sono “richiedono modalità e tempi diversi, ma sono le due metà di una sola realtà, la vita del discepolo chierico, innamorato del suo Signore e costantemente alla sua sequela”.
La vocazione sacerdotale ha come principale scopo la “evangelizzazione” e la “missione”, la cui “prima forma” è “la testimonianza di fraternità e di comunione tra loro e con il Vescovo”, dalla quale “può scaturire un potente slancio missionario”, che spinge i sacerdoti-missionari ad anteporre la “carità pastorale” e l’“annuncio del Vangelo” al “consenso altrui” e al “proprio benessere”.
Chiamati a stare “in mezzo al loro gregge”, rendendo “presente il Signore tramite l’Eucaristia” e dispensando “la sua misericordia”, i presbiteri devono “essere” preti e non limitarsi a “fare” i preti, agendo “liberi da ogni mondanità spirituale, consci che è la loro vita ad evangelizzare prima ancora delle loro opere”.
Sottolineando la crisi delle vocazioni, il Santo Padre ha lodato quei sacerdoti “gioiosi della loro vocazione” e dotati di una “serenità di fondo, che li sostiene anche nei momenti di fatica e di dolore”.
Un “male per la Chiesa”, ha aggiunto il Pontefice, è accogliere nei seminari “senza discernimento i giovani che si presentano”. Ogni candidato al sacerdozio va esaminato attentamente nella sua vocazione, valutando se è “sano”, “capace di dare vita”, di “evangelizzare”, di “formare una famiglia e rinunciare a questo per seguire Gesù”.
I problemi che nascono in tante diocesi, ha ammonito il Papa, sono spesso dovuti agli errori di molti vescovi che accolgono seminaristi espulsi da altre diocesi o case religiose “perché hanno bisogno di preti”: prima di ogni altra cosa “dobbiamo pensare al popolo di Dio”, ha detto Bergoglio.
Papa Francesco ha concluso l’udienza auspicando che “una vocazione curata mediante una permanente formazione nella comunione” divenga “un potente strumento di evangelizzazione, al servizio del popolo di Dio”.
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Il discorso completo del Santo Padre è disponibile qui