Il paradosso del bambino con due mamme

La recente sentenza della Corte d’Appello di Torino cancella il diritto per il minore ad aver un padre e quest’ultimo è ridotto al puro ruolo di donatore di gameti

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La scorsa settimana si è verificata una nuova forzatura, sintomo di un’incalzante pressione sulle leggi italiane riguardanti il tema della maternità e della filiazione. La questione è alquanto intricata, sia per la vicenda in se stessa, sia per tutte le sue possibili conseguenze.

Una donna ha concepito il suo bambino a Barcellona attraverso la fecondazione eterologa, ha contratto il matrimonio con un altra donna (sempre a Barcellona) e, ai sensi la legislazione spagnola, ha trascritto sul registro delle nascite il bambino come figlio della “Mamma A” e della “Mamma B”. Tutto questo è potuto accadere perchè rientra nella normativa vigente in Spagna.

Successivamente la due donne hanno divorziato, decidendo la condivisione della responsabilità genitoriale e chiedendo (da un punto vista legale) il riconoscimento della maternità sia per la madre che l’ha partorito, sia per l’altra donna con la quale ella aveva contratto il matrimonio.

Al ritorno in Italia, le due donne hanno richiesto la trascrizione del bambino nel registro delle nascite, richiedendo che venga riconosciuta la genitorialità di entrambe le mamme. Il primo livello di giudizio ha respinto la richiesta di queste due donne, mentre la sezione della Corte di Appello di Torino ha dato loro ragione, ordinando all’ufficiale di stato civile del Comune di Torino di censire il bambino come figlio di entrambe le donne.  

La motivazione ha preso spunto dalla Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 1989 e dal regolamento comunitario 2201 del 2003: «il concetto di ordine pubblico deve essere declinato in funzione dell’interesse superiore del minore». La motivazione del giudice è stata in sintesi la seguente: “(la ex compagna della donna partoriente) non avrebbe (potuto attuare) un’esercente responsabilità genitoriale” con riferimento a problematiche sanitarie, scolastiche, ricreative, e “verrebbe anche privata dei rapporti successori nei confronti della famiglia della signora”.

Si potrebbe dire davvero tanto su questa vicenda. Ma ciò che lascia più sconcertati è la sorte di questo bambino, che nella sua vita sarà destinato ad essere circondato da tante donne: la mamma biologica con le sue nuove possibili compagne, e la donna che ha reclamato la maternità, anche lei con le varie possibili compagne.

Dalle motivazioni della sentenza dei giudici l’impressione è quella di voler infrangere la barriera della unicità della madre e aprire nuovi scenari davvero surreali. Questa sentenza potrebbe spalancare l’accesso alla maternità, sia per le future compagne della mamma biologica, sia per le future compagne che avranno relazioni con la donna che è stata la compagna della madre biologica. Seguendo la logica perversa di questa sentenza, si verrebbero a creare un numero infinito di madri, ognuna delle quali reclamerebbe il suo diritto verso quel bambino, in virtù di una relazione con la donna che funge da madre. Questa sentenza apre davvero nuovi scenari, cercando di spodestare il diritto vigente delle tre forme di maternità attualmente riconosciute (quella biologica, quella adottiva e quella affidataria),  e creando un nuovo tipo di maternità, la maternità per relazione.

Questo paradosso ci aiuta a comprendere l’insensatezza della sentenza della Corte di Appello di Torino, che ha pensato molto agli interessi delle donne e poco al bisogno vero del bambino. I giudici hanno motivato la loro sentenza giustificandosi di tenere conto del bene del bambino. Ma è davvero un bene per il bambino avere come “altra madre” una donna che ha avuto una relazione con la mamma biologica? E se la madre avesse altre relazioni, questo principio potrebbe essere applicato anche per le altre donne?

In questo disordine logico ed intellettuale ritornare alle regole della natura sarebbe un atto di umiltà e di sapienza umana. La natura prevede un’unica madre, nella cui unicità è racchiusa la sua missione affettiva, educativa e formativa. L’unicità della madre è stata pensata dalla natura non come un segno di debolezza, ma come una garanzia dell’appartenenza e dell’identità del bambino.

È vero che la nostra vita è arricchita da ogni relazione ma è altrettanto vero che assegnare il titolo di mamma ad una donna, solo perchè ha avuto una relazione con la mamma biologica del bambino, è davvero estraneo alla natura dell’essere madre.

Il fatto che lascia perplessi è il gesto di condividere la maternità con la compagna dalla quale questa mamma ha divorziato. In genere tra marito e moglie, tra un uomo e una donna, avviene esattamente il contrario. Dopo la separazione nasce generalmente una lotta per accaparrarsi il diritto ad avere l’affidamento del figlio, cercando di poterlo vedere il più possibile. In questo caso la mamma biologica del bambino ha deciso di troncare con il divorzio la coniugalità con quella donna, ma nello stesso tempo ha deciso di condividerne la maternità. Questo allargare la maternità è davvero poco comprensibile, pensando all’estraneità al concepimento da parte della sua compagna. Se c’è stata una parte attiva è stata di quell’uomo che donato i suoi gameti.  

Questa sentenza ha davvero tante forzature contro il buon senso e le regole della natura. L’impressione è che si vuole difendere a tutti i costi il diritto di presunte maternità, trascurando i bisogni dei bambini, che hanno la necessità vitale di crescere non solo con la figura materna ma anche con quella paterna. Al bambino non si può togliere il diritto ad avere un padre, che in queste triste vicenda viene relegato al solo ruolo di datore di gameti.

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Osvaldo Rinaldi

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