"Ero minacciato, ero indifeso, e tu mi hai salvato la vita"

Il cardinale Ennio Antonelli ricorda Chiara Lubich

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ROMA, lunedì, 12 dicembre 2011 (ZENIT.org).- Riportiamo l’intervento del cardinale Ennio Antonelli, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia, tenuto in Campidoglio a Roma, sabato dieci dicembre, in occasione della Consegna del premio europeo per la vita “Madre Teresa di Calcutta”.

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Saluto con rispetto e amicizia il Sindaco Gianni Alemanno, le autorità, i relatori, tutti i presenti. Mi sento onorato di consegnare il premio europeo per la vita “Madre Teresa di Calcutta” alla memoria di Chiara Lubich.

Ero presente qui in Campidoglio il 22 gennaio 2000, quando fu conferita a Chiara la cittadinanza onoraria di Roma dallo stesso sindaco, Francesco Rutelli, che quattro anni prima l’aveva concessa a Madre Teresa. In quell’occasione Chiara, parlando di Madre Teresa, la chiamò “mia grande amica”. In realtà tra di loro, al di là dei momenti di incontro e di collaborazione, c’era un’intensa comunione spirituale e perfino una analoga partecipazione, in lunghi periodi, alla passione interiore di Gesù Crocifisso mediante la misteriosa esperienza del sentirsi abbandonati e respinti da Dio: tenebra e desolazione del cuore, dono totale di sé a Dio per il bene degli altri, luce nel volto e irradiazione di gioia intorno a sé, vicino e lontano.

Madre Teresa e Chiara il 17 maggio 1986 parteciparono insieme al Convegno del Movimento per la Vita a Firenze e insieme firmarono l’appello al Parlamento Europeo per una carta dei diritti del bambino prima e dopo la nascita. Ambedue, con gesti e parole, con passione, lucidità e forza, sono intervenute molte volte a difesa della vita umana dal concepimento alla morte naturale. Dai loro discorsi mi permetto ora di estrarre qualche idea e qualche frammento per consentire a queste due grandi amiche di parlare ancora una volta insieme.

Ascoltiamo Madre Teresa in un discorso tenuto a Milano il 23 aprile 1977. “Coloro che non sono voluti, coloro che non sono considerati, coloro che sono disprezzati, coloro che non contano nulla, sono i più poveri fra i poveri”. In queste parole sentiamo vibrare il cuore della missionaria della carità, che prende su di sé il peso dell’umana sofferenza. Per lei essere povero non significa solo essere privo di beni materiali, ma anche, e più radicalmente, essere rifiutato ed emarginato dall’umana società. Poveri sono i miserabili che lei e le sue suore raccolgono “per le strade di Calcutta, di Roma e di qualsiasi altro posto”; ma sono anche i bambini, vittime dell’aborto. “Il bambino non ancora nato – ella dice – se non è voluto, è la creatura più abbandonata e deve morire perché la gente, voi ed io, abbiamo paura di nutrire, educare, vestire una creatura in più”. In un senso diverso, ma ai suoi occhi ancora più tragico, sono poveri quelli che non rispettano e non difendono la vita, siano persone o popoli. “Tali nazioni – afferma Madre Teresa – sono le più povere tra i poveri, perché non hanno il coraggio di mantenere una vita in più”. Viene in mente il celebre e accorato rimprovero di S. Basilio all’uomo avaro: “Tu sei veramente povero, anzi, privo di ogni vero bene. Sei povero di amore, povero di umanità, povero di fede in Dio, povero di speranza nelle realtà eterne” (Sull’avarizia, 6). Madre Teresa cerca di scuotere le coscienze e l’opinione pubblica con il suo grido appassionato: “Se avete paura del bambino che sta per nascere, datelo a me, ne avrò cura io; e Dio si prenderà cura di lui” (Firenze, 13 maggio 1981).

In occasione della beatificazione di Madre Teresa il 19 ottobre 2003, Chiara Lubich dichiarò: “Madre Teresa ha realizzato in pienezza quello che il Papa definisce ‘genio femminile’ … Per noi è un modello. E’ una maestra eccelsa nell’arte di amare”. La medesima cosa possiamo dire di Chiara stessa, anche se la sua personalità è molto diversa. I suoi discorsi a difesa della vita sono più articolati e ragionati, ma esprimono pari convinzione e determinazione.

Nel discorso tenuto a Roma il 10 maggio 1981, in prossimità del referendum sull’aborto, dà inizio alla sua riflessione sul tema con queste parole: “Un pensiero desidereremmo avere chiaro, specie noi credenti: l’idea di Dio su questo argomento. E sono certa, è un pensiero che non può lasciare indifferente nemmeno chi non crede … Il pensiero di Dio: in che modo possiamo noi comprenderlo e almeno intuirlo? Anzitutto leggendo i libri sacri. Essi si aprono come un inno alla vita …”. Chiara prosegue passando in rassegna la Sacra Scrittura, la Tradizione della fede, il Magistero della Chiesa. Quindi passa a considerare le scoperte scientifiche, le quali confermano che l’embrione è una vita nuova distinta da quella della madre fin dal concepimento, un nuovo essere umano: nessuno ha diritto di proprietà su di lui; ma esso è soggetto di diritti inviolabili. Infine fa appello all’amore, la sola energia capace di aprire gli occhi e rafforzare la responsabilità; invita a diffondere nella società una corrente di amore. “E’ l’uomo vecchio col suo egoismo che deve essere soppresso in noi dalla vita dell’amore. Sì, là dobbiamo puntare, per vedere sorgere quella civiltà dell’amore, cara al Papa Paolo VI e a Giovanni Paolo II. E con essa potrà fiorire una nuova civiltà della vita”.

Di solito, in altre circostanze, Chiara estende la sua attenzione al rispetto della vita umana in tutte le età e contro tutte le forme di violenza. “Non basta – dice – aver amore per il bambino non ancora nato. L’essere umano ha bisogno di amore in tutte le tappe della propria esistenza ed in tutte le situazioni” (Firenze, 17 maggio 1986). La sua conclusione è sempre la stessa: “Amare, dunque, amare, amare, amare. Perché la vita, ogni vita, ogni stadio della vita, chiede amore. Alla cultura della morte dobbiamo opporre la cultura della vita. Sì, oggi il mondo che languisce spesso per timore della vita, che s’agita per sopprimere la vita, ha bisogno dell’amore, l’urgente necessità di un’invasione d’amore” (Ivi).

L’appello di Madre Teresa e di Chiara Lubich al rispetto della vita e all’amore è oggi più attuale che mai. Ci provoca a uscire dall’indifferenza e dalla rassegnazione, a operare con fiducia secondo le nostre possibilità. Perfino in ambito politico è possibile ottenere più di quello che di solito si pensa. Nei giorni scorsi, durante l’Assemblea Plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia, è stato ricordato che diciotto Stati del Messico su 32 hanno blindato il loro sistema giuridico contro l’aborto, così come trentuno Stati degli USA su 50 lo hanno blindato contro il matrimonio omosessuale; è stato riferito inoltre che, secondo studi recenti, la maggioranza degli Americani, specialmente degli adolescenti e dei giovani, sono pro-life e che anche la maggioranza dei pro-choice vogliono restrizioni al diritto di scelta. Purtroppo i grandi media stanno facendo una congiura del silenzio riguardo ai dati statistici che sono favorevoli a una cultura e a una politica della vita e della famiglia. In molti paesi del mondo è in atto il tentativo di imporre alla maggioranza della popolazione una cultura minoritaria o addirittura estranea. Ma si moltiplicano ovunque anche i segnali incoraggianti, non mancano neppure in Europa e nelle istituzioni europee. In ogni caso, al di là dei successi e degli insuccessi, è la dignità della persona umana che deve muovere all’impegno gli uomini di buona volontà; è la fede in Dio, amante della vita, che deve muovere i credenti. Questa è l’esortazione di Chiara Lubich: “Dalle nostre convinzioni, dalla nostra lotta per la vita può dipendere domani l’esistenza di nuove creature, su ciascuna delle quali Dio ha un disegno di amore irripetibile. Comportiamoci in maniera che Egli possa un giorno dirci: ero minacciato, ero indifeso, ero il minimo dei tuoi fratelli e tu mi hai salvato la vita”.

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ZENIT Staff

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