Elisabetta d'Ungheria, la "santa della carità"

Sublime esempio di principessa, sposa, madre e vedova

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di Pietro Barbini

ROMA, sabato, 17 novembre 2012 (ZENIT.org) – Elisabetta d’Ungheria, o di Turingia, proclamata santa da papa Gregorio IX il 27 maggio del 1235, a soli quattro anni dalla morte, è stata definita da Benedetto XVI una delle più grandi figure femminili della Chiesa nel Medioevo.

Nata nel 1207 presso il castello reale di Sàrospatak a Pozsony, odierna Bratislavia, figlia di Andrea II, detto il Gerosolimitano, re di Ungheria, e di Gertrude di Merania, sorella tra l’altro di santa Edvige, a soli 4 anni venne promessa in sposa al primogenito di Ermanno I langravio di Turingia, Ludovico IV detto “il Santo”. Dopo una breve e felice vita coniugale e la nascita di 3 figli (Ermanno, Sofia e Gertrude, proclamata beata nel 1311 da papa Clemente V), rimane vedova all’età di 19 anni.

Cacciata dal Castello di Warburg, assieme ai figli, ed espropriata di qualsiasi bene dal cognato che si dichiarò unico erede, fu costretta a girovagare da un villaggio all’altro. Successivamente grazie all’aiuto di alcuni parenti che consideravano illegittimo il governo del cognato usurpatore e dei soldati ancora fedeli a Ludovico, le fu dato il compenso che le spettava di diritto, dopodiché decise, dapprima, di trasferirsi ad Eisenach, dove alla presenza di alcuni frati e dei familiari fece voto solenne di rinuncia al mondo e a qualsiasi vanità, indossando l’abito del Terzo Ordine di San Francesco (motivo per cui i parenti la privarono dei figli), poi soggiornò provvisoriamente nel castello di Pottenstein ed infine si stabilì in una modesta casa a Marburg dove fece edificare, con la sua ricca dote, un ospedale, trascorrendovi gli ultimi tre anni di vita servendo giorno e notte “i più miserabili e i più derelitti” (non a caso le donne che si consacravano alla cura dei malati vennero chiamate “Elisabettiane”). Si spense dolcemente nel 1231, prima ancora di aver compiuto 24 anni, dopo esser stata colpita da forti febbri.

Sembra che, dopo sue insistenti preghiere, Gesù le sia apparso rivelandogli alcuni dettagli della sua Passione e che, ad un’età imprecisata, ricevette il dono delle stigmate da cui pare nascessero fiori, forse dei gigli, che venivano tagliati e posti sull’altare. Régine Pernoud, Conservatrice degli Archivi Nazionali di Francia e stimata docente universitaria di storia medievale, ebbe a dire “le donne di oggi, femministe comprese, hanno ancora parecchio da fare prima di raggiungere il livello di prestigio e di influenza che ebbero nel medioevo cattolico”; tale affermazione, ripresa anche da Vittorio Messori, non potrebbe trovare una più concreta dimostrazione nella figura di Elisabetta d’Ungheria, la cui grandezza fu talmente ampia da venirle attribuito l’appellativo di “Gloria Teutoniae”, la sua figura fu fonte di ispirazione per le numerose congregazioni religiose femminili, proprio per questo, oltre che essere patrona dei panettieri e degli infermieri, con san Luigi IX re di Francia è anche patrona del Terzo Ordine Regolare di San Francesco e dell’Ordine Francescano Secolare (dopo la sua canonizzazione, anche l’Ordine dei Cavalieri Teutonici adottò Elisabetta come loro Patrona).

Le informazioni principali sull’infanzia e sulla vita della santa provengono dalle sue ancelle personali e, soprattutto, da padre Corrado di Marburgo, noto predicatore francescano, suo direttore spirituale dal 1226 al 1231, considerato suo principale biografo, nonché fautore della sua canonizzazione. Nella “Summa vitae”, opera redatta subito dopo la morte di Elisabetta ed inviata a papa Gregorio IX nel 1932, il religioso descrive meticolosamente lo stile di vita, la spiritualità e le numerose opere di misericordia compiute dalla santa, di come curasse gli infermi e gli appestati, affermando “non so da chi abbia imparato l’arte di curare”, delle sue estasi e che spesso quando usciva dalla preghiera privata “emanava dal volto un mirabile splendore e che dai suoi occhi si irradiavano come raggi di sole”.

All’interno di questa sorta di dossier padre Corrado riporta molte testimonianze di persone che affermavano di aver ricevuto guarigioni per mezzo di Elisabetta dopo la sua sepoltura, come quella di un monaco cistercense guarito da una malattia mentale che lo affliggeva da quarant’anni. Si racconta, poi, che la salma di Elisabetta, per volontà del popolo, rimase esposta per una settimana “senza manifestare alcun segno di morte eccetto il pallore. Il suo corpo rimase molle come fosse vivo ed emanava un gradito profumo”.

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ZENIT Staff

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