Quattordici anni dopo a Ground Zero “il dolore è ancora palpabile”. L’acqua che scorre in quel centro vuoto “ci ricorda tutte quelle vite che stavano sotto il potere di quelli che credono che la distruzione sia l’unico modo di risolvere i conflitti”.
E ancora risuona “il grido silenzioso di quanti hanno sofferto nella loro carne la logica della violenza, dell’odio, della vendetta”, con tutto il “dolore”, la “sofferenza”, la “distruzione” e le “lacrime” che questa logica porta con sé.
Con queste parole toccanti ed espressive, che rievocano la ferita ancora aperta dell’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, papa Francesco ha aperto il suo discorso in occasione dell’incontro interreligioso presso il Ground Zero Memorial.
Giunto sul posto, assieme al cardinale arcivescovo di New York, Timothy M. Dolan, il Santo Padre ha deposto una corona di fiori in prossimità della fontana sud e ha salutato individualmente venti familiari di soccorritori caduti l’11 settembre 2001.
Entrati nell’edificio del Memoriale, il Pontefice e il porporato, sono scesi al piano -4, per raggiungere la Foundation Hall, dove hanno trovato ad attenderli dodici leader religiosi.
Dopo la presentazione del cardinale Dolan e le riflessioni del Rabbino e dell’Imam Khalid Latif, ha avuto luogo la lettura di cinque meditazioni sulla pace – una indù, una buddista, una sikh, una cristiana e una musulmana – e la preghiera ebraica per i defunti.
Durante il suo discorso, Francesco si è soffermato con particolare incisività sulla metafora dell’acqua di Ground Zero che scorre, metafora del “pianto di ieri” e del “pianto di oggi”, motivati dalla percezione della nostra “l’impotenza di fronte all’ingiustizia, di fronte al fratricidio, di fronte all’incapacità di risolvere le nostre differenze dialogando”.
Ground Zero è quindi un luogo in cui “piangiamo per la perdita ingiusta e gratuita di innocenti, per non poter trovare soluzioni per il bene comune”.
Raccontando le sue impressioni sull’incontro con i familiari delle vittime dell’attentato, il Papa ha potuto “constatare ancora una volta come la distruzione non è mai impersonale, astratta o solo di cose; ma che soprattutto ha un volto e una storia, è concreta, possiede dei nomi”. In quei familiari si può cogliere “il volto del dolore, un dolore che ci lascia attoniti e grida al cielo”.
Da questo dolore lacerante, tuttavia, emerge “la potenza dell’amore” e di un ricordo che non ci lascia vuoti” e che rimane indelebile grazie ai nomi dei caduti impressi alla base di dove un tempo c’erano le torri, di modo che “li possiamo vedere, toccare e mai più dimenticarli”.
È proprio nella loro tragedia, che i parenti delle vittime sono stati “testimoni dei più grandi atti di dedizione e di aiuto”, con le loro “mani tese” e le loro “vite offerte”.
In una metropoli come New York “che può sembrare impersonale, anonima, di grandi solitudini”, essi sono stati “capaci di mostrare la potente solidarietà dell’aiuto reciproco, dell’amore e del sacrificio personale”.
La questione del “sangue”, dell’“origine”, del “quartiere”, della “religione” o della “scelta politica” passavano in secondo piano: a contare erano la “solidarietà”, la “fraternità” l’“umanità”.
I celebri “pompieri di New York” che entrarono “nelle torri che stavano crollando”, non badarono alla propria vita: al contrario “col loro sacrificio hanno salvato la vita di tanti altri”.
E così, le macerie delle Torri Gemelle da “luogo di morte” si sono trasformate “anche in un luogo di vita, di vite salvate, un canto che ci porta ad affermare che la vita è sempre destinata a trionfare sui profeti della distruzione, sulla morte, che il bene avrà sempre la meglio sul male, che la riconciliazione e l’unità vinceranno sull’odio e sulla divisione”, ha proseguito il Santo Padre.
L’auspicio del Papa è che la presenza dei vari leader religiosi oggi a Ground Zero possa essere “un segno potente delle nostre volontà di condividere e riaffermare il desiderio di essere forze di riconciliazione, forze di pace e giustizia in questa comunità e in ogni parte del mondo”.
Anche “nelle differenze” e “nelle nelle discrepanze” è “possibile vivere in un mondo di pace – ha sottolineato il Pontefice -. Davanti ad ogni tentativo di rendere uniformi è possibile e necessario riunirci dalle diverse lingue, culture, religioni e dare voce a tutto ciò che vuole impedirlo”.
La sfida di oggi è quindi quella di saper di dire “ ‘no’ ad ogni tentativo uniformante e ‘sì’ ad una differenza accettata e riconciliata”, ha aggiunto.
Bandire “sentimenti di odio, di vendetta, di rancore” è possibile “soltanto come un dono del cielo”, ha sottolineato Francesco, esortando poi tutti i presenti a “fare un momento di silenzio e preghiera” e ad impegnarsi “per la causa della pace”, ognuno nelle proprie “case”, “famiglie”, “scuole” e “comunità”.
“Pace in quei luoghi dove la guerra sembra non avere fine. Pace sui quei volti che non hanno conosciuto altro che dolore. Pace in questo vasto mondo che Dio ci ha dato come casa di tutti e per tutti”, ha detto.
Soltanto così, “la vita dei nostri cari non sarà una vita che finirà nell’oblio, ma sarà presente ogni volta che lottiamo per essere profeti di ricostruzione, profeti di riconciliazione, profeti di pace”, ha quindi concluso il Santo Padre.