La visita di papa Francesco negli Stati Uniti è un momento storico per la Chiesa statunitense: avendo in mente questo, i futuri sacerdoti di New York si stanno preparando all’evento.
Il tema è stato affrontato con ZENIT da monsignor Peter Vaccari, rettore del seminario di Saint Joseph. Il prelato ha esaminato come la visita del Papa potrà rivitalizzare la chiesa locale e come questo momento sarà vissuto dai seminaristi.
Il viaggio apostolico del Santo Padre a Cuba e negli Stati Uniti (19-27 settembre) prevede una sosta di due giorni a New York, dove Francesco presiederà i Vespri nella cattedrale di San Patrizio, parlerà all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, visiterà una scuola ad East Harlem, ed incontrerà una grande folla di fedeli alla 5th Avenue e a Central Park.
Monsignor Vaccari, per quale motivo il suo seminario è così importante per i cattolici americani?
Il nostro è l’unico seminario statunitense che è stato visitato da due pontefici. San Giovanni Paolo II venne nel 1995 e celebrò i Vespri nella cappella. Quando invece, nel 2008, venne Benedetto XVI, arrivò all’edificio principale, varcò la soglia, e si fermò per un momento di preghiera molto commovente con dei bambini disabili e le loro famiglie. Naturalmente, i seminaristi erano presenti in cappella. In entrambe le occasioni, come si può ben immaginare per la presenza di un Papa, l’intera struttura era circondata di persone venute per incontrarlo e salutarlo… Papa Benedetto, prima di congedarsi dal seminario, salutò il cardinale Avery Dulles, che per l’occasione era qui. Dopo questo incontro, il Papa si recò presso i campi circostanti, dove era in corso un grande raduno giovanile.
Come si stanno preparando i seminaristi all’arrivo di papa Francesco? Sono emozionati?
Come voi giornalisti avete specificato, il momento centrale del viaggio è l’Incontro Mondiale delle Famiglie di Philadelphia. Tenuto conto del fatto che Francesco va anche a Washington – primo Papa a parlare al Congresso in seduta plenaria – e poi alle Nazioni Unite, i seminaristi si stanno preparando per la tappa newyorkese del viaggio. La Schola [rinomato coro del seminario di Saint Joseph, ndr] sarà coinvolta nel canto e, assieme ad essa, tutta la corale dell’Arcidiocesi: insieme canteranno ai Vespri in San Patrizio, alla messa al Madison Square Garden e forse anche in altri luoghi.
Io sono l’incaricato dell’organizzazione del seminario, affinché tutto si svolga nei tempi previsti. Questo è un momento storico. Tutti vogliono essere coinvolti e mostrare lealtà, entusiasmo e sostegno alla Chiesa e al Santo Padre. Su questo non c’è alcun dubbio.
Tutti stanno lavorando alacremente, cercando anche di non trascurare i loro impegni ordinari. C’è chi sarà qui per la Schola, chi per fare da usciere o custode dell’Eucaristia. Tutti saranno qui per qualcosa e ogni ruolo è di per sé meraviglioso.
Vorrei menzionare un’ultima cosa: l’anno scorso, abbiamo sviluppato quello che io ritengo sia uno splendido rapporto tra noi e la rivista America. Con l’editore newyorkese Matt Malone, abbiamo coltivato una partnership che, fondamentalmente, è basata su una serie di letture. L’anno scorso, ad esempio, abbiamo tenuto un simposio sulla scrittrice cattolica americana Flannery O’Connor, in particolare su come lei abbia contribuito all’immaginario del mondo cattolico. L’altro ambito di collaborazione riguarda i media cattolici e la nuova evangelizzazione. Abbiamo quindi avuto come ospite il direttore della Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, con il quale siamo andati allo Sheen Center, dove lui ha parlato di papa Francesco e della comunicazione su web. In ottobre torneremo allo Sheen Center con la rivista America per sponsorizzare una serata sul cattolicesimo latino-americano.
Quanto è importante, a suo avviso, questa visita per i giovani seminaristi, per New York e per lei personalmente?
Credo che per la Chiesa Cattolica statunitense, ricevere il Santo Padre, comunicare al mondo intero, specie con i mass media di oggi, il tipo di vitalità, il ruolo che la Chiesa gioca nel mondo, la presenza del Santo Padre rinforza tutto questo. Lui stesso rinforza la nostra lealtà che ci lega a lui, alla Sede Apostolica e, in ultima analisi, alle spiagge della Galilea e a Gesù. Ed è questa la connessione che vogliamo mantenere.
Perché ritiene che la presenza della Chiesa, e in particolare del Pontefice, all’ONU sia così importante?
Il potere della Chiesa nell’esercizio della ragione, nella promozione della pubblica virtù, dei modi in cui ci battiamo per la dignità di tutti gli esseri umani, il modo in cui ci battiamo per la libertà religiosa… La presenza della Santa Sede all’ONU e la visita del Santo Padre negli Stati Uniti rinforzano questi valori. Sono gli amati principi della nostra bella repubblica. Trascendono quindi una particolare prospettiva confessionale, pur preservando tutto ciò che significa essere cattolico.
A proposito di ciò che significa essere cattolico, ritiene che questa visita aiuterà il Paese a rendersi conto che il Santo Padre, mantenendo un approccio pastorale, stia preservando la dottrina di sempre e agendo in continuità con i suoi predecessori?
Mi auguro davvero che questa visita pianti i semi di quello che potremo vedere come la futura rivitalizzazione della Chiesa Cattolica. Io penso che una delle grandi cose che il Papa porterà con questa visita sarà l’entusiasmo che io credo potrà solo crescere in occasione di questo Giubileo della Misericordia.
“Misericordia” è una parola decisamente estranea al nostro vocabolario comune. Per questo il Papa verrà qui… e in sé e per sé sarà magnifico.
Per avere sacerdoti felici, sani e santi, la responsabilità del seminario è quella di portare i seminaristi e i sacerdoti verso tutto ciò che è umano, spirituale, intellettuale e pastorale. Abbiamo delle doti eccezionali che loro e i vescovi hanno messo insieme. I nostri uomini sono grandiosi, eroici nel loro desiderio di servire la Chiesa. E io sento davvero che se tutto potrà funzionare, allora non solo cardinali e vescovi saranno contenti ma anche i futuri sacerdoti lo saranno.