Si è aperto ieri mattina a Parigi, presso la sede dell’Unesco, l’Anno internazionale della Luce. Ospite d’onore della cerimonia è stato il cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura.
Partendo dall’assunto che “la luce non è Dio, ma Dio è luce”, il porporato nel suo discorso – ripreso dall’agenzia Sir – ha spiegato che “in tutte le civiltà la luce passa da fenomeno fisico ad archetipo simbolico, dotato di uno sterminato spettro di iridescenze metaforiche, soprattutto di qualità religiosa. La connessione primaria è di natura cosmologica: l’ingresso della luce segna l’incipit assoluto del creato nel suo essere ed esistere”.
La luce – secondo il presidente del dicastero per la Cultura – possiede una qualità “teo-logica” per cui “essa è un’analogia per parlare di Dio”. Tuttavia, “a differenza di altre civiltà che, in modo semplificato, identificano la luce (soprattutto solare), con la stessa divinità”.
La Bibbia – ha soggiunto – “introduce una distinzione significativa: la luce non è Dio, ma Dio è luce”. Di qui il riferimento all’inno che apre il Vangelo di Giovanni “ove il Lógos, il Verbo-Cristo, è presentato come ‘luce vera che illumina ogni uomo’”.
Il cardinale Ravasi si è quindi soffermato sull’antitesi luce-tenebre come paradigma spirituale: la luce – ha rimarcato – è “un segno glorioso e vitale, è una metafora sacra e trascendente, ma non è inoffensiva perché genera tensione col suo opposto”; la tenebra, invece, “trasformandosi in simbolo della lotta morale ed esistenziale”.