L’iter per il riconoscimento di don Borsotto tra i Giusti è iniziato nello Yad Vashem nel 2012. Don Luca Lanave, ha raccontato che il sacerdote salvò la famiglia Sharon, composta da madre, padre e tre figli, nascondendoli per alcuni mesi nella confraternita di Andonno.
Quella di don Borsotto non fu un iniziativa isolata.
In un articolo pubblicato su “Ha Keillah”, bimestrale ebraico torinese, il professor Guido Neppi Modona, già giudice e vicepresidente della Corte Costituzionale, rifrisce che nella provincia di Cuneo si verificarono avvenimenti che “possono essere valutati sotto il duplice aspetto della persecuzione e della salvezza, cioè dei due estremi sintetizzabili nella banalità del male e nella banalità del bene”.
Dopo l’8 settembre 1943, insieme ai 131 ebrei residenti arrivarono infatti nel cuneese ebrei che fuggivano da altre zone d’Italia, dalla Francia e dalla Yugoslavia occupate dalle truppe naziste. Di queste centinaia di ebrei braccati, 423 furono deportati e trovarono la morte nei campi di sterminio.
In merito al numero dei deportati nei lager, Cuneo è la terza provincia italiana, dopo Roma e Trieste, ma – ha scritto il professore – “ben più numerosi furono quelli salvati, nascosti o mimetizzati sino alla Liberazione”.
Dove cercarono la salvezza? Neppi Modona risponde: “Nei conventi, come ad esempio accadde ai bambini e alla parte femminile della mia famiglia; nelle parrocchie, a volte travestiti con abiti talari; negli ospedali, nei sanatori, nelle cliniche e case di cura private, soprattutto psichiatriche; il maggior numero nelle baite in montagna e nei cascinali isolati nelle campagne, nascosti da valligiani e contadini”.
Secondo il professore, questa grande trama di eroismi individuali, questa lunghissima catena di solidarietà e di umana pietà non è caduta nell’oblio, ma è stata analiticamente documentata per iniziativa dell’Istituto storico della Resistenza in Cuneo e Provincia e del Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano. Tutto supervisionato dai due storici Adriana Muncinelli e Alberto Cavaglian.
La Muncinelli, autrice del libro “Even. Pietruzza della memoria Ebrei 1938-1945”, ha ripercorso le vicende degli ebrei nella Provincia, documentando con rigore, passione civile e umana pietà le storie di chi si è salvato e di chi è stato deportato nei campi di sterminio, come pure quelle di chi li ha salvati o di chi, purtroppo, li ha traditi e venduti ai nazi-fascisti.
Alberto Cavaglion, autore del voume “Nella notte straniera, Gli ebrei di St. Martin-Vesubie 8 settembre – 21 novembre 1943”, ha ricostruito invece la storia di circa mille ebrei provenienti da Polonia, Austria, Ungheria, Romania, Belgio, Francia occupate dai nazisti e concentrati a St. Martin-Vesubie sotto la protezione dell’esercito italiano che allora occupava quella zona della Francia meridoniale a ridosso del confine con l’Italia.
Di questi non meno di 250 trovarono la salvezza nelle famiglie di contadini e valligiani che li accolsero nelle valli Gesso, Stura e Vermegnana grazie – scrive Neppi Modona – “all’opera geniale e instancabile, direi miracolosa, di don Raimondo Viale, parroco di Borgo San Dalmazzo, ricordato anche in un libro-intervista di Nuto Revelli (Il prete giusto, Torino, Einaudi, 1998 ndr)”.
Secondo il professore, “non v’era in quelle valli casolare isolato che non avesse la sua famiglia di ebrei da nascondere, nutrire e salvare; ed erano ebrei difficilmente mimetizzabili, stranieri per provenienza, lingua, abitudini, costumi”.
Don Raimondo Viale era parte di una rete di assistenza molto efficiente: tutti gli ebrei da lui nascosti alla fine si sono salvati. E nel 1980 è stato riconosciuto “Giusto tra le Nazioni”.
Riguardo alle vicende in cui era coinvolto don Borsotto, Adriana Muncinelli riporta nel suo libro la testimonianza di un profugo ebreo proveniente da St. Martin-Vesubie, rifugiato con la sua famiglia a Valdieri in Valle Gesso.
“Mancava poco a mezzanotte della vigilia di Natale – racconta – Stavamo seduti in un pozzo di silenzio… quando abbiamo sentito qualcuno bussare alla porta… Ho aperto la porta appena un po’: davanti a me c’era una vecchietta raggrinzita, avvolta in uno scialle. Mi ha sporto un pacco di formaggio e mi ha bisbigliato un rauco ‘Buon Natale!’… Qualche minuto dopo si sentiva di nuovo bussare alla porta… e questa volta un uomo mi ha passato una cesta di legna, augurandoci: ‘Buon Natale!’”.
“Poi – ricorda ancora il sopravvissuto – è passata un’altra signora e ci ha portato del pane. La gente del paese ha continuato a venire durante la notte portandoci i loro regali di cibo, vestiti e legna. Gente povera, dava una parte di quel poco che aveva. Eravamo sopraffatti. Che cosa li aveva fatti dividere con noi del loro, noi gente di un altro paese, credenti in un’altra religione, forestieri in mezzo a loro?”.
“Il mattino dopo, quando ho incontrato Giacomo, gli ho raccontato quello che era successo quella notte… Ha messo la mano sulla mia spalla con un sorriso caloroso: In chiesa la scorsa notte don Borsotto ha raccontato la storia della nascita del nostro Signore e dei regali portati dai Re Magi… Poi ha detto: proprio come il nostro Signore che non trovava alloggio ed è nato in una mangiatoia, solo e respinto, così sono gli ebrei oggi, soli e respinti; vivono in mangiatoie e peggio. Abbiamo due famiglie ebree fra noi questo Natale e anche loro sono soli, hanno fame, cacciati dalle loro case, braccati per il solo motivo di essere ebrei. Poi don Borsotto ci ha detto che potevamo essere noi, ora, a fare i Re Magi e portare i regali alle famiglie ebree”.
Neppi Modona conclude il suo articolo ricordando che nel 1944 la famiglia dell’autore del racconto, venne condotta da chi li ospitava, nascosta in un carro sotto un mucchio di foglie, alla stazione ferroviaria più vicina, da dove, muniti di perfetti documenti falsi, riuscirono ad arrivare a Roma in attesa della Liberazione.