La storia della malattia di Angelé Lieby è intensa, commovente e ricorda da vicino la fragilità dell’esistenza umana.
Essa conduce direttamente alla dicotomia tra la coscienza umana fatta di pensieri, di sentimenti, di ricordi, di amore ed il mondo esteriore costituito dalle relazioni con le altre persone basate sulla comunicazione realizzata attraverso gli strumenti del proprio corpo.
Angelé è una donna colpita da una rara malattia, la sindrome di Bickerstaff; questa distrugge la mielina, che è quella sostanza bianca “isolante” che avvolge le terminazioni nervose del cervello e ne consente il corretto funzionamento.
Ciò determina una sorta di “corto circuito” celebrale che porta l’individuo alla completa perdita di controllo sul proprio corpo: chi ne è affetto non può muoversi, non può parlare, non può nutrirsi, non può neppure vedere; gli rimane intatta, però, la lucidità interiore, fatta dalla consapevolezza dei propri pensieri: pensieri che però non possono essere comunicati all’esterno.
I malati sono così ricoverati nei reparti di terapia intensiva, dove riescono a sopravvivere grazie all’ausilio delle macchine, le uniche che gli permettono di assolvere alle primarie funzioni vitali quali quella di respirare e/o di nutrirsi.
Angelé nel suo stato vegetativo, percepisce tutto ciò che la circonda desiderando fortemente così di uscire dalla sua condizione. Ascolta quindi i discorsi di chi le è accanto, anche quelli degli infermieri e dei medici che spesso ripetono tra loro che è spacciata: Angelé vorrebbe rispondere a quelle brutte parole, reagire alle stimolazioni, dire a tutti che è viva e che vuole tornare a vivere.
In una situazione così difficile Angelé riesce comunque a trovare la forza di reagire nel marito Ray che le è sempre accanto e si rifiuta categoricamente di dare l’autorizzazione a “staccare le macchine” e nella figlia Cathy che parlandole esprime il suo desiderio di avere un nuovo figlio.
Nel racconto emerge ciò che tutti dovremmo sempre tener presente durante l’arco della nostra esistenza: la coscienza umana è mossa da un carburante speciale, l’Amore.
È proprio la forza dell’ Amore, canalizzato negli affetti fondamentali della famiglia ad essere risolutivo: in esso Angelé trova la forza di reagire appunto piangendo e dimostrando così al mondo incredulo di essere viva e presente.
Da quel momento in poi comincia per lei il difficile percorso di riabilitazione, non privo di sofferenze e di ostacoli, che le farà riassaporare le piccole e grandi meraviglie della vita.
Importantissimi sono gli insegnamenti che la vicenda lascia: l’essere umano non è solo il “corpo” esteriore quello che si vede con gli occhi, ma si estende alla sua parte essenziale costituita dalla coscienza. Di essa si sa solo che vi risiedono i pensieri, i desideri, i sentimenti, i ricordi.
Ma in quale parte del corpo o del cervello risiede la coscienza? Com’è collegata la coscienza al corpo esteriore? Che cosa è in ultima analisi la coscienza? Come agisce l’Amore sulla coscienza? A queste domande, purtroppo non c’è risposta.
Ma la nostra incapacità a comprendere questi elementi non dovrebbe mai farci dimenticare la loro fondamentale importanza: se nell’agire quotidiano si tenesse sempre ben presente la vera natura dell’ uomo si eviterebbero evidentemente tantissimi grossolani errori.