Chiamati ad essere desti nell'ascolto, nella preghiera, nella comunione con i fratelli

Commento al Vangelo della I Domenica di Avvento 2014 – Anno B

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“Signore, tu sei nostro Padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani”: la ragione della vigilanza alla quale il Signore ci chiama in questa prima domenica di Avvento è racchiusa in queste parole.

Siamo una sua opera, “perché in lui siamo stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della conoscenza”. Siamo ricchi, ecco perché è necessario “vegliare”. Chi ha una casa disadorna, senza tesori, non si preoccuperà di mettere allarmi, sbarre alle finestre e un cane ben addestrato in giardino. Chi invece ha beni ingenti a cui tiene molto si preoccuperà di difenderli in qualsiasi modo.

E noi, dice san Paolo, siamo stati arricchiti di tutti i doni! Non ci manca nulla, come recita il Salmo 23, perché il Signore è il nostro “Pastore”. “La sua destra ci ha piantati come figli che per Lui ha reso forti”.

Ci ha fondato sulla roccia della fede nella Chiesa, la “sua casa”, dove “la testimonianza di Cristo si è stabilita tra noi così saldamente che ci non manca più alcun carisma”.

Questa certezza intima dell’amore di Dio rivelato in Cristo è il dono più importante da custodire ad ogni costo, perché è proprio quello sottoposto agli attacchi più violenti.

Il demonio sa che se riesce a raffreddare la fede nei cristiani, scompariranno dal radar del mondo anche la speranza e la carità, trasformandolo così in un cimitero a cielo aperto.

Mai come in questa generazione la “casa” del Signore è assediata dal pensiero mondano, che mette in serio pericolo il deposito della fede, il tesoro più grande della Chiesa. Perché è la fede che vince il mondo!

Diceva l’allora Card. Ratzinger: “Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero… La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde – gettata da un estremo all’altro… e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore”.

E’ di questo che parla Gesù chiamandoci così seriamente alla vigilanza. “Non sappiamo”, infatti, quando il Signore “ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino”. Tornerà e sarà come una notte di Pasqua, la notte delle notti, l’ultima, in cui tutti passeremo, per sempre al Padre.

Ciò significa che la vita intera, ogni giorno, è da vivere come una notte di Pasqua, un seno benedetto che gesta l’aurora della libertà. Ma lo viviamo così? Lui stesso se lo è chiesto, chiamandoci così a conversione: “quando il Figlio dell’uomo tornerà troverà la fede sulla terra?”.

Per far sì che Gesù trovi la fede quando verrà alla fine del mondo, come ogni giorno negli eventi della storia, come nella nostra vita, Gesù ha dato “il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare”, nella certezza che “le porte degli inferi non prevarranno mai”.

Per questo occorre “fare in modo che, giungendo all’improvviso”, non trovi i cristiani, tu ed io, “addormentati”, ovvero senza fede. Ma concretamente, quale è il modo per fare sì che il demonio non ci rubi la fede? C’è un solo modo, quello che la Chiesa ha sempre usato, sin dagli albori della sua storia: l’iniziazione cristiana.

In essa la Chiesa esercita il “potere” conferitole per accompagnare i cristiani sino alla fede adulta: “adulta non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. É quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo. Ed è questa fede – solo la fede – che crea unità e si realizza nella carità” (Benedetto XVI).

Per questo, la liturgia con la quale la Chiesa ci introduce nel nuovo Anno Liturgico è, prima di tutto, un invito a fare memoria al dell’opera di Dio nella nostra vita, perché i suoi prodigi, come invoca la Prima lettura, siano di nuovo realizzati; e perché si possa rinnovare lo zelo per camminare e crescere ancora, giorno dopo giorno, nella fede.

Se, approfittando delle difficoltà in famiglia, delle sofferenze e delle malattie, il demonio ci ha rubato il ricordo, arriva questo Avvento perguardare di nuovo alla nostra storia.

A “quando Dio compiva cose terribili che non attendevamo”. “Guardiamo con attenzione”, cominciando dai momenti nei quali ci siamo sentiti accolti così come siamo e perdonati sino in fondo. Comincia qui la “vigilanza”.

Apriamo gli occhi e rivediamo i fatti concreti nei quali abbiamo sperimentato la vita nuova muoverci verso l’altro per perdonarlo a nostra volta; sino a quando abbiamo visto il “potere” di Cristo dato ai suoi “servi” predicarci la Parola che ricostruito la nostra famiglia, e amministrarci i sacramenti nei quali, morto l’uomo vecchio nelle acque della sua misericordia, ci ha “svegliato” dai peccati ricreandoci come uomini nuovi.

Non a caso i verbi usati da Gesù non indicano l’azione di svegliarsi ma un modo di essere, lo stare svegli dopo essersi destati. In pratica ci sta chiamando ad essere l’opera che Lui ha creato: ci ha destato dalla morte, ora si tratta di vivere secondo la Grazia ricevuta; come un “portiere”, “sveglio nella notte” che avvolge il mondo.

Come i portieri che Dio scelse per custodire la Tenda della Riunione: è santa la Chiesa, è santa la nostra vita: siamo stati scelti per la missione più grande, annunciare ad ogni uomo il Vangelo che abbiamo sperimentato.

Per questo Gesù “dice a tutti” di “vegliare”, perché tutti, non solo i pastori, nella Chiesa sono inviati come “servi del Vangelo” e della fede; non possiamo perdere il sapore scendendo dalla Croce sulla quale ci ha uniti a sé, il posto migliore per vegliare, la garitta dove vigilare per discernere il kairos, il “momento favorevole” per l’annuncio capace di salvare chi ci è accanto.

Il Signore ci chiama dunque ad essere desti nell’ascolto, nella preghiera, nella comunione con i fratelli. A “guardare con attenzione” senza distrarci dal mondo ormai così virtuale, mettendo a fuoco ogni insidia, nella buona battaglia della fede, custodendo la porta del cuore e delle labbra.  

A fissare tutto a trecentosessanta gradi, come una sentinella sempre sulla porta della famiglia e delle relazioni, della comunità e di ogni nostro luogo, attenti perché il demonio non vi entri con i giudizi, le invidie, le concupiscenze. E pronti ad aprirla al Signore che viene proprio quando non ce lo aspettiamo, forse nascosto nella parolina velenosa del coniuge o nella disobbedienza dei figli, per accoglierlo e amarlo nel fratello.

E’ vero, siamo deboli e contraddittori, “e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia”. Ma è ancor più vero, ne abbiamo la prova nella nostra esperienza, che Dio ci “renderà saldi sino alla fine, irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo. Degno di fede è Dio, dal quale siamo stati chiamati alla comunione con il Figlio suo, Signore nostro!”.

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Antonello Iapicca

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