L’invito di S. Pietro che ci raccomanda di “saper esibire a tutti le ragioni della nostra speranza” (cf 1Pt 3,15) e ovviamente della Fede da cui scaturisce quella speranza, è un invito a coltivare, insieme alla Fede ciò che ne costituisce l’apologia. Si badi bene che “apologia” (= difesa, giustificazione) non è sinonimo di “polemica” (= guerra), semmai sarà una sorta di… guerra di legittima difesa; e non tanto a tutela della verità che, come dice il Concilio, ha una sua forza di penetrante dolcezza che prima o poi la spunta da sé, quanto a tutela delle persone “culturalmente più indifese”. E’ così che la CEI ha qualificato le persone più a rischio di finire preda degli allettanti miraggi esibiti dalle Sètte e Movimenti Religiosi Alternativi (cf L’impegno pastorale della Chiesa di fronte ai nuovi movimenti religiosi e alle sette, n. 39). Si può essere “culturalmente indifesi” sia in rapporto a una conoscenza basilare inadeguata della Bibbia e della dottrina cristiana (che per noi del GRIS è quella cattolica); sia in rapporto alla sua fondatezza, che si stabilisce nell’esame critico di quelli che vengono chiamati i “preamboli della fede” (praeambula fidei). Sono preamboli, cioè conoscenze previe, acclarate, sia di cultura generale: storica, scientifica, umanistica… e soprattutto filosofica. Si ricorderà infatti che la filosofia non a caso è stata definita e usata dalla nostra Chiesa come “serva della teologia” (ancilla theologìae) il che significa che è cosa utile per costruire una ermeneutica ed esegesi affidabili su cui la teologia cattolica si può fondare. Per esempio, già il pensare che la Fede non abbia bisogno della ragione, o peggio, che il troppo ragionare allontani dalla fede, è già una posizione da “pensiero debole”, da persona appunto culturalmente indifesa. E’ stato scritto infatti, e a ragione, che è il poco ragionare e cioè un ragionare inadeguato, raffazzonato, senza vere basi logiche, che può allontanare dalla Fede, mentre il ragionare profondo, attento, esigente, diciamo anche “pignolo” (i fratelli TG direbbero “bereano”) non solo avvicina alla fede ma la consolida, perché ne controlla attentamente i motivi di credibilità, ovvero la consistenza della “roccia” su cui si basa. (1)
Orbene in questo nuovo Anno Liturgico, la rubrica de LA FEDE INSIDIATA, sempre curata dal GRIS di Roma (Gruppo di Ricerca e Informazione Socio-religiosa) – rimandando, come abbiamo spiegato nella puntata precedente, il prosieguo della analisi-confronto tra geovismo e cattolicesimo, sulla base delle Letture liturgiche domenicali, alla trattazione che si trova nel proprio sito (2) -, tratterà di tutto ciò che serve per rendere la Fides cattolica collegata alla Ratio. Il che equivale a rendere i nostri fratelli che ne avessero bisogno “culturalmente difesi” e, si spera come effetto collaterale, i fratelli appartenenti ad altre fedi o in dubbio, più riflessivi e consapevoli della solidità della base su cui poggia la Fede cattolica (come sembra che fu richiesto da Teofilo al terzo evangelista (cf Luca 1,1-4). Il tutto a confronto con e accenni occasionali alle vedute diverse opposte da Sètte e MRA, tra i quali Movimenti quello geovista ci farà ovviamente più… compagnia che altri essendo stato segnalato dalla stessa CEI, insieme al New Age come emblema di proposta alternativa alla fede cattolica e per giunta su pretesa base biblica! (3)
Per un più comodo reperimento futuro, daremo una numerazione progressiva ai punti che tratteremo.
E iniziamo questo nuovo percorso con un punto fondamentale per la nostra fede cattolica che serve ad illuminare e delimitare l’ambito esatto della rivelazione donataci da Dio.
1. GESU’ E’ IL RIVELATORE NON PLUS ULTRA
E’ di fede credere che con Gesù, e anzi nella persona stessa di Gesù, Figlio-Verbo di Dio incarnato, Dio Padre ci abbia donato la massima e perciò definitiva luce possibile su tutto ciò che chiamiamo mondo soprannaturale e che forma l’oggetto del nostro Credere alla rivelazione divina (che tecnicamente si dice “fides QUAE creditur”, la fede che è creduta; quella che si deve professare, cioè la dottrina). A questa offerta divina l’uomo è chiamato a rispondere con l’assenso e l’obbedienza pratica (e questa viene definita “fides QUA creditur”, che è il modo umano di rispondere alla fede rivelata; cioè la pratica cristiana fatta di imitazione delle tre caratteristiche specifiche di Cristo che era Profeta, Sacerdote, Re. Discorso questo che riprenderemo a suo tempo facendone un punto apposito…).
Questa convinzione circa la definitività e completezza, chiaramente dichiarata dal Vaticano II (cf Dei Verbum n. 4) e ribadita nella Dominus Iesus (cf il n. 5), la Chiesa l’ha tratta dalla persuasione che Gesù era sì “profeta” di Dio ma, a differenza di tutti i precedenti, era anche il Verbo di Dio incarnato (Giovanni 1,14) e perciò il top, il massimo, il non plus ultra della rivelazione divina, quella definitiva, escatologica, cioè valida fino alla fine dei tempi. Ascoltiamo un competente: “Questo [del Vangelo] non è un racconto storico che intende esporre ‘come sono andate le cose’, o una descrizione per filo e per segno del modo in cui si svolse la ‘storia’ di Gesù Cristo. La Chiesa primitiva lo sa, e questa convinzione si staglia già nella forma in cui tutto ciò [i fatti e detti di Gesù – Ndr] viene narrato: quanto avvenne contiene la rivelazione divina definitiva (escatologica), e raccoglie l’ultima parola di Dio all’umanità nella sua originaria freschezza e nella sua forza. Quello che Dio disse allora all’umanità attraverso il suo ultimo messaggero, il proprio Figlio, quello che permise si compisse in lui e avvenisse per la nostra salvezza ha un valore insostituibile per il futuro del mondo fino alla fine dei tempi (13,13).” (Rudolf Schnackenburg, Vangelo secondo Marco, Città Nuova, Roma 2002, 5)
E’ in forza di tale convinzione, condivisa perennemente dalla Chiesa alla quale Gesù ha dato lo Spirito perché le facesse capire ogni cosa (cf Giovanni 14,26; 1Giovanni 2, 26-27), che lo “ultimamente” a cui accenna la Lettera agli Ebrei 1,1-2, viene citato e interpretato non solo cronologicamente, ma anche nel senso di definitività. Questa certezza della definitività e del massimo nella rivelazione divina, comporta ovviamente che le “rivelazioni private” (sempre possibili a Dio!) non possano mai essere in contraddizione con la “rivelazione pubblica” già rivelata ma debbano avere solo valenza esortativa, di richiamo, consolatoria ecc… Il saperlo potrebbe essere utile a chi, insoddisfatto della via normale da Dio offerta a tutti per sapere la verità utile e sufficiente per la salvezza – che è quella della Bibbia, della Tradizione Apostolica e del Magistero, realtà che il Concilio dichiara inseparabili (cf Dei Verbum n. 7) – va a caccia di “apparizionismi” e “nuove rivelazioni”; e quando non ne trova in casa propria, si rivolge perfino con speranza e mal riposta fiducia anche a sette, MRA e sedicenti santoni e guru che propongono credenze le più diverse, ma spesso anche molto… scopiazzate e riciclate.
Per utile informazione ricordiamo che non credono alla definitività della rivelazione divina: i Mormoni che sostengono una rivelazione ancora “aperta”; il Moonismo che ne “I principi divini” ritiene di avere un altro testamento aggiornato ai nostri tempi; Sorella Gabriele, che propugna una revisione della Parola già detta da Gesù ecc… E non ci credeva neanche Don Mazzoleni buon’anima che finì nelle braccia di Sai Baba argomentando che non si poteva vietare a Dio di rivelare quello che vuole, a chi vuole e quando vuole. Certamente no, risponderebbe un cristiano cattolico
adulto e culturalmente oltre che biblicamente difeso. Ma non è credibile che questo sia avvenuto se appunto in Gesù, Dio ha dichiarato di aver detto la parola definitiva e massima che ci serviva. Dio non ci ripensa, in Lui non vi sono mutazioni (Giacomo 1,16). Le mutazioni di dottrina ve ne sono invece e tante nel Geovismo, altro membro della compagnia, come abbiamo visto in tutto l’anno Liturgico “A” e vedremo ancora all’occorrenza…
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NOTE
1) E’ il criterio-guida del bel sito curato dagli U.C.C.R (Unione Cristiani Cattolici Razionali). Attenzione, si qualificano come “razionali” e non “razionalisti”. Mentre infatti la razionalità fonda lo splendore e la dignità dell’uomo fatto ad immagine e somiglianza di Dio, il razionalismo è al contrario il degrado della ragione proterva, ridotta ad un volontarismo, cioè scelta a-razionale immotivata, dogmaticamente chiusa al soprannaturale. A ragione c’è stato chi ha detto che nei nostri tempi di ragione debole e di pensiero liquido, cioè inconsistente, inquinato da emotività fuori luogo, se c’è qualcuno che difende il potere e la dignità della ragione nella ricerca e accertamento della verità, questi è precisamente la Chiesa Cattolica; sì, proprio quella accusata dai “laicisti” di ottenebrare la ragione surclassandola con la fede! Ma si tratta di una distorsione malevola analoga a quella operata dai giudei nei confronti di Gesù che, come sappiamo, era e rimane la Via, la Verità, e perciò la Vita.
2) Cf www.grisroma.org e specificatamente nel settore Testimoni di Geova, al link seguente: http://www.grisroma.org/forum_b/viewtopic.php?f=3&t=928
3) Cf CEI, L’impegno pastorale… Documento citato, nn. 38-43