I due premiati di quest’anno sono il polacco Waldemar Chrostowski, professore ordinario presso l’Università Cardinale Stefano Wyszynski di Varsavia, e la professoressa francese Anne-Marie Pelletier, docente a Parigi, in Belgio e in Italia. La giornata di premiazione si svolgerà oggi, sabato 22 novembre, in Vaticano. In comune, i due vincitori hanno il fatto di occuparsi entrambi della problematiche legate al dialogo della Chiesa Cattolica con gli Ebrei e il Giudaismo.
Impressionante la produzione pubblicistica del prof. Chrostowski: 2351 pubblicazioni, tra cui 21 libri a sua firma o da coautore, quattro libri tradotti dall’inglese, 126 volumi da lui redatti e elaborati, 15 scritti, 53 tra prefazioni, introduzioni, prologhi e postfazioni, 68 articoli per enciclopedie e dizionari, 221 articoli scientifici, 43 articoli tradotti da lingue straniere, 624 articoli di divulgazione scientifica e saggi, 42 articoli introduttivi in riviste, 245 recensioni, 109 resoconti e comunicati, 67 biografie e bibliografie, 351 interviste e discorsi, 48 materiali di omiletica e predicazione, 96 testi di pubblicistica religiosa e sociale, 37 lettere, 79 pubblicazioni di filatelia, 90 pubblicazioni per giovani e bambini, 13 pubblicazioni varie e 10 pubblicazioni multimediali.
Il docente polacco è anche guida per pellegrini. Ha guidato più di 120 gruppi di pellegrini in Terra Santa, Sinai, Egitto, Turchia, Giordania, Grecia, Tunisia e Marocco. Per due volte ha accompagnato pellegrinaggi in Terra Santa per persone non vedenti. Un’esperienza a lui molto cara dal momento che egli stesso ha subito due interventi chirurgici che gli hanno salvato la vista.
Ha lavorato tantissimo sia per la Chiesa che per la nazione Polacca nel dialogo ebraico-cristiano. Dal 1987 fino al 2005 è stato membro del Comitato episcopale polacco per il dialogo con il giudaismo, dal 1994 al 1996 ne è stato vicepresidente.
E’ stato cofondatore del Consiglio polacco dei cristiani e degli ebrei e dal 1991 al 1995 è stato membro del Consiglio del Presidente della Repubblica Polacca per le relazioni polaccho-ebraiche. Dal 1991 fino al 2000, Chrostowski è stato membro del Consiglio della Fondazione per la Memoria delle vittime del campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau.
Già presidente della Associazione dei Biblisti Polacchi, è stato dal 1987 al 1999 docente all’Accademia di Teologia Cattolica di Varsavia e dal 2001 al 2010 all’Università Mikolaj Kopernik. E’ riconosciuto a livello internazionale come uno dei maggiori studiosi del Vecchio Testamento ed in particolare dei profeti biblici, della letteratura ebraica, nonché del giudaismo rabbinico e delle sue relazioni con il cristianesimo.
ZENIT lo ha intervistato.
Sul rapporto tra cristiani ed ebrei, il prof. Chrostowski ha spiegato che per duemila anni le due comunità non sono riuscite a ricomporre la frattura originaria. In questo contesto la Polonia oggi viene ricordata dagli ebrei come il Paese della Shoah, nonostante un passato di grande accoglienza.
Secondo i giudei, Polin è il nome della Polonia e significa “resta qui” che voleva dire pace e sicurezza per gli ebrei. Ma dopo la Seconda Guerra mondiale e l’Olocausto compiuto dai nazisti, Polin per i giudei significa “siamo qui perché è il nostro cimitero”. La percezione è quindi radicalmente cambiata. Inoltre, nonostante la Polonia conti il più alto numero di Giusti tra le Nazioni – ovvero le persone riconosciute dal governo israeliano come ‘salvatori’ di almeno un ebreo durante la Shoa – diversi ebrei affermano che è poca cosa per una popolazione di più di trenta milioni. Per questi motivi la discussione risulta molto difficile.
Quando, 25 anni fa, iniziò a lavorare al dialogo Chrostowski era più ottimista, come lui stesso confessa. Nel tempo ha acquisito esperienza e profondità, ma ha anche compreso la difficoltà delle relazioni. Nelle due parti c’è molta volontà di dialogo – ha sottolineato – tuttavia persistono anche molti pregiudizi e stereotipi. “Come ha spiegato Benedetto XVI noi cristiani abbiamo incontrato Gesù Cristo che è la gioia della nostra vita. Per noi cattolici è naturale poter condividere questa gioia con gli altri. Alcuni sostengono che dobbiamo evitare di parlare di Gesù ai giudei perché loro hanno una loro propria via per arrivare a Dio. Ma Benedetto XVI ha ripetuto che a nessuno possiamo negare la conoscenza di Gesù. Il problema è che dal punto di vista ebraico non è possibile parlare di Gesù Cristo, perché questo non farebbe parte del dialogo tra cristiani ed ebrei. In ogni caso con papa Francesco le relazioni con gli ebrei stanno andando meglio, soprattutto dopo il viaggio in Terra Santa”.
Alla domanda sul ruolo attuale della Polonia in Europa che, dopo aver resistito al nazismo ed al comunismo, potrebbe diventare il ponte per migliori relazioni con la Russia, il prof. Chrostowski ha ricordato che Giovanni Paolo II parlava di un Europa dall’Atlantico fino agli Urali. “I polacchi sono sempre stati in Europa. Si sono sentiti europei da più di mille anni, cioè dall’inizio dalla nascita della Polonia”.
Tuttavia, bisogna distinguere due livelli nelle “buone relazioni” tra polacchi e russi, cattolici e ortodossi. “C’è l’aspetto politico e in questo caso le relazioni non sono affatto buone. Poi ci sono i contatti e il dialogo del popolo, e in questo caso non abbiamo dei problemi”.
Sempre in merito alle relazioni con la Russia, e in particolare rispetto all’eccidio di Katyn, secondo il docente polacco, “bisogna differenziare i russi dai sovietici perché non è la stessa cosa”. Il massacro di Katyn è stata perpetrato dai sovietici come vendetta per la sconfitta inflitta dai polacchi alle truppe comuniste nel 1920, il cosiddetto “Miracolo della Vistola”. La rabbia dei sovietici si abbatté anche contro gli stessi russi già dall’inizio della rivoluzione e specialmente negli anni 1937-38. E’ molto importante precisare che Katyn fu un massacro fatto dai comunisti. “Il popolo sa bene che esiste una differenza chiara tra comunisti e russi. Questo è un equivoco che bisogna spiegare”.
“Sono stato più che vent’anni in Terra Santa per assistere ai pellegrinaggi – ha raccontato poi il professore – parlando con centinaia di russi e di ucraini, quasi tutti mi hanno raccontato che nonostante i 70 anni di regime ateo e comunista, hanno avuto i genitori cristiani e in loro il sentimento cristiano è sopravvissuto”.
Tre mesi fa con un gruppo di polacchi ha fatto un viaggio in Russia, Bielorussia, Lituania Estonia e Lettonia. Ha visitato Vitebsk, Katyn, Talin, Riga e San Pietroburgo. Si trattava di un gruppo di quaranta persone, e ovunque sono stati dappertutto accolti con amicizia. A San Pietroburgo hanno visitato un monastero ortodosso. I monaci ortodossi si sono mostrati aperti, tante volte hanno ripetuto che si sentono slavi e cristiani e che non ci sono problemi per i cattolici a frequentare la chiesa ortodossa.
Sul tema politica, il professore è invece lapidario: “La situazione politica è molto complicata, ma mi sembra che la gente in queste regioni d’Europa non abbia grandi problemi, sono abituati di vivere la differenza tra la politica e la vita quotidiana. In Polonia ci sono circa un milione di ortodossi e le relazioni con loro sono buone. Le relazioni con i russi sono favorite anche dalla conoscenza della lingua. Polacco e russo sono come la lingua italiana con il francese”.
Al prof. Chrostowski abbiamo domandato infine la sua reazione alla notizia che avrebbe ricevuto il Premio dalla Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger. “Si tratta di un riconoscimento molto importante – ha spiegato – perché il lavoro di ricerca teologica che si sta svolgendo nell’est Europa è poco conosciuto nel mondo a causa della difficoltà nelle lettura delle lingue slave”.
Il 95% dei libri e degli articoli che il docente ha scritto sono stati pubblicati in polacco e sono usati in Ucraina, in Lettonia, Lituania, i
n Bielorussia e Slovacchia, dal momento che i sacerdoti e gli studenti nelle facoltà teologiche di questi Paesi conoscono questa lingua.
Per la candidatura al Premio, poi, sono almeno tre i piani di ricerca che gli sono stati riconosciuti: la ricerca scientifica di valore internazionale, la didattica e la formazione scolastica universitaria, ed il grande impegno per la divulgazione.
Riguardo al futuro, il vincitore del “Premio Ratzinger” racconta di star preparando un libro sulla vita e sull’opera di San Paolo. “Anche se ci sono molti libri su San Paolo, vorrei descrivere la sua persona e la sua opera dal punto di vista delle due identità: quella giudaica e quella cristiana”, ha spiegato.
Il sottotitolo è “Il bivio tra la Sinagoga e la Chiesa”, una espressione con cui indicare che “i problemi tra giudei e cristiani che si verificarono nel corso della vita di San Paolo sono gli stessi di oggi. E se vogliamo conoscere meglio le relazioni tra le due religioni lo possiamo vedere nella vita e nelle opere di San Paolo. Paolo di Tarso infatti ha superato questo bivio anche se nel mondo ebraico è ancora molto criticato, ecco perché è necessario studiare e riflettere su questo grande Apostolo”.