Cosa sta succedendo alla famiglia? Perché i poteri forti vogliono sminuirne l’importanza o cambiarne completamente la concezione? Nel complesso sfondo socio-culturale odierno è più corretto parlare ancora di famiglia o, piuttosto, di famiglie?
Rispondendo con un saggio dal titolo La famiglia è una sola (Gandolin, 2014), con prefazione di Eugenia Roccella, il sociologo Giuliano Guzzo enumera una serie di dati che danno ragione al costrutto culturale impropriamente definito “famiglia tradizionale”.
Nelle 110 pagine del suo volumetto, Guzzo (30 anni, membro del Movimento per la Vita, collaboratore di riviste come Notizie Pro Vita, Tempi e Libertà e persona e curatore del blog giulianoguzzo.com) evita di cadere nella trappola dei moralismi, concentrandosi sui numeri e sulle evidenze fattuali.
Ne emerge in primo luogo che la famiglia è concepibile esclusivamente nella sua unica forma possibile (padre di sesso maschile, madre di sesso femminile e figli) e che tale modello non è stato valido soltanto nel passato ma lo sarà anche in futuro.
Inoltre la famiglia così intesa non è una “idea cattolica” ma trascende ogni epoca, cultura e religione.
Di seguito l’autore si appresta a demolire una serie di luoghi comuni su cui gran parte della comunità scientifica e dei media insistono da anni, tra cui l’idea che le convivenze (prematrimoniali o extramatrimoniali) possano essere una scelta assolutamente paritetica rispetto al patto nuziale e che, nel contesto attuale, il divorzio sia una realtà normale, anzi, in molti casi consigliabile per le persone che vogliano ‘ricostruirsi una vita’ dopo un fallimento familiare.
Sposarsi, spiega Guzzo, implica infatti una scelta di maggiore responsabilità e maturità, con più sacrifici rispetto alla semplice convivenza ma anche con un maggiore tornaconto in termini di felicità, sia per i genitori che per i figli.
Una coppia convivente more uxurio soffrirà non solo un maggiore rischio di rottura rispetto ad una sposata ma sarà anche più permeabile alla violenza domestica, allo stress psicologico o all’abuso di alcool e droghe.
Il divorzio, poi, specie se si analizzano i dati degli ultimi 40 anni in Italia e nel mondo, produce costi sia individuali e psicologici che sociali ed economici: una persona divorziata sarà evidentemente più suscettibile al consumo di farmaci ed ansiolitici e alle malattie di qualunque tipo (con inevitabile aggravio sul sistema sanitario nazionale), è meno produttiva sul lavoro e, vivendo da sola, dovrà sostenere maggiori spese immobiliari (mutuo o affitto che sia), andando più soggetta alla povertà o alla precarietà economica.
Da parte loro, i figli dei conviventi e dei divorziati riscontrano un minore rendimento scolastico, una più facile tendenza a comportamenti socialmente devianti, al consumo di droga e alla precocità nelle esperienze sessuali.
Un intero capitolo è interamente dedicato al “grande flop” dei matrimoni e delle unioni gay nei paesi che li hanno legalizzati. Statistiche provenienti dalla Spagna, dall’Olanda e da alcuni degli Stati Uniti d’America rivelano che soltanto una minima percentuale delle coppie omosessuali (pressoché ovunque ben sotto il 20%) usufruiscono di questi nuovi istituti.
Inoltre fa riflettere la contrarietà al matrimonio omosessuale da parte molti degli stessi omosessuali, come è avvenuto in particolare in Francia, dopo l’introduzione del mariage pour tous (2013).
Anche i numeri riguardanti le adozioni parlano chiaro: i bambini (finora pochi) cresciuti da coppie omosessuali hanno sviluppato un equilibrio psico-fisico ben più fragile rispetto a quelli con padre e madre.
Alla luce di tutti i dati esposti, l’autore conclude che “il futuro non può realizzarsi se non in famiglia”, anche perché “da individuo irrelato e autosufficiente, l’uomo deve riscoprirsi persona alimentata dalle relazioni, poiché ciascuno ha “bisogno dell’altro”.