In cielo il cardinale Fiorenzo Angelini

Si è spento questa notte, a Roma, il novantottenne cardinale Fiorenzo Angelini, prefetto emerito del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari

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Si è spento nella notte tra il 21 e il 22 novembre, nella sua casa di via della Conciliazione 15, il cardinale Fiorenzo Angelini, prefetto emerito del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari. Aveva 98 anni. Papa Francesco ha pregato per lui, stamani, durante l’incontro con il mondo dell’autismo promosso proprio dal Dicastero. Lunedì prossimo, alle 15.00, il cardinale Angelo Sodano, decano del Collegio Cardinalizio, presiederà i funerali nella Basilica Vaticana. Al termine delle esequie, il Papa presiederà il rito dell’Ultima Commendatio e della Valedictio. Per ricordare il porporato, ripubblichiamo una parte dell’ampia intervista dal titolo “La porpora romana”, apparsa sul mensile “Il Consulente RE” di dicembre 2002.

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Una vita di impegno nell’Azione Cattolica, nella sanità, nell’aiuto agli indigenti. Molto legato a papa Pio XII, grande amico di Giulio Andreotti. Romanista, quando giocava a calcio indossava i calzettoni giallorossi sotto la tonaca.

Tutte le porpore sono di Santa Romana Chiesa; una sola è però riconoscibile per stile e accento come romana de Roma anche da occhi e orecchie poco allenati. E’ quella del cardinale Fiorenzo Angelini, nato nell’Urbe il primo agosto 1916.

Sacerdote dal 1940, vescovo dal 1956 (in ambedue i casi ordinato sotto il pontificato di Pio XII, il suo Papa), arcivescovo e presidente – dalla nascita nel 1985 al 1997 – di quello che oggi è chiamato “Pontificio Consiglio per la pastorale sanitaria”, fu creato cardinale il 28 giugno 1991.

Assistente nazionale dell’Unione uomini di Azione cattolica ai tempi dello scontro con il Fronte popolare, assistente nazionale per quarant’anni dell’Associazione medici cattolici italiani, attivissimo nel settore della sanità cattolica, il porporato ha animato l’azione dell’Istituto internazionale di ricerca sul Volto di Cristo insieme alla benedettine delle Suore riparatrici del Santo Volto.

Eminenza, Lei ha conosciuto diversi Papi, in particolare Pio XII. Un ricordo di papa Pacelli?

Pio XII è il Papa del mio sacerdozio e del mio episcopato: ha avuto nei miei confronti tanta benevolenza e fiducia. Non solo non lo posso dimenticare, ma – avendolo conosciuto da vicino – potrei parlare di lui con ammirazione per una vita intera come si può fare per i santi.

E’ assai diffusa l’immagine di un papa Pacelli poco espansivo, austero, piuttosto freddo…   

Non è vero affatto. Pio XII si può dire freddo come può apparire freddo un mistico, un uomo di preghiera, chi vive in una dimensione soprannaturale. In questo senso papa Pacelli era, per tornare a quanto abbiamo detto prima, un uomo disincantato, perché staccato da tante vicende poco importanti. Era infatti l’uomo dell’essenziale, di grande preghiera.

Lei è stato – in momenti cruciali per i destini del Paese – l’assistente nazionale ecclesiastico dell’Azione cattolica italiana, settore uomini. E ha collaborato strettamente con il professor Luigi Gedda, genetista, laico impegnato, fondatore dei famosi Comitati civici che tanta parte ebbero nell’impedire ai ‘rossi’ il 18 aprile 1948 la conquista elettorale dell’Italia…

Nel 1940, dopo un ‘preambolo’ di 40 giorni nella parrocchia di S. Michele Arcangelo (per sostituire un confratello), fui chiamato alla parrocchia della Natività di Nostro Signore Gesù Cristo. Furono i cinque anni più belli della mia vita. Nel 1945 fui ‘ceduto’ dai miei superiori, dal cardinale vicario Francesco Marchetti Selvaggiani – uomo severo e giusto – all’Azione cattolica, dapprima come vice-assistente ecclesiastico nazionale, poi come assistente (con gradimento papale), essendosi ritirato per ragioni di età e di salute l’eccellente mons. Ferdinando Roveda. Mi trovai giovanissimo, con altri tre sacerdoti, a operare nel difficile clima del secondo dopoguerra. Nel 1947 il professor Gedda lasciò la Gioventù cattolica e assunse la presidenza dell’Unione uomini dell’Azione cattolica. Lavorai con lui nel momento peculiare dei Comitati civici, con un impegno fortissimo per il 18 aprile 1948. Anche dopo, fino alla crisi dell’Azione cattolica. Lo conobbi non bene, ma benissimo; avevamo una fiducia reciproca quasi illimitata. Seguii anche la sua attività scientifica: fu il primo genetista a salire in cattedra in Italia (presso la Sapienza), creò l’Istituto Mendel per gli studi di genetica e di gemellologia.

Di Gedda che cosa resta oggi?

Di lui si è parlato non raramente senza conoscerlo, come avviene spesso per gli uomini grandi. Oppure si è evidenziata solo una parte delle sue attività, pur molto importante, ma per me meno importante del resto. Non si è messa generalmente molto in luce la sua spiritualità: Gedda fu un cristiano integrale, che viveva di preghiera, alla ricerca costante di una dimensione soprannaturale cui improntava l’intera vita.

Fondò anche la “Società operaia”…

Pochi lo ricordano. Insieme a sua sorella Mary, Serva di Dio, creò quest’associazione di laici e di ecclesiastici ispirandosi all’insegnamento di Gesù nell’orto del Getsemani e propugnando la necessità di una vita interiore ricca. La parola ‘operaia’ viene dal Vangelo (“La messe è molta, gli operai sono pochi”). Questa secondo me è stata la gemma più bella lasciata dal professor Gedda. Speriamo che la “Società operaia” riesca a continuare il suo apostolato, riuscendo ad attirare anche forze nuove, giovani che possano garantire la prosecuzione di una spiritualità getsemanica.

Tornando al 1948 e dintorni, quello fu il periodo della contrapposizione netta tra democristiani e comunisti. Poi sono venuti, diversi anni dopo, gli anni del disgelo. Lei – che qui e in anticamera ha appeso anche quadri di Guttuso con dedica – qualche volta ha incontrato esponenti del PCI, magari inviato dall’alto?

Bisogna tener presente che la Chiesa ha distinto tra errore e errante. Ci fu una lotta serrata contro l’errore, in quel momento di dura contrapposizione il marxismo: vedi anche la scomunica lanciata contro il comunismo proprio perché era marxista. La lotta non era però contro le persone, che erano rispettate.

Ma la distinzione tra errore ed errante non fu fatta per primo da papa Giovanni XXIII? 

Giovanni XXIII continuò quanto aveva già incominciato Pio XII. Fu papa Pacelli il primo a distinguere. Ci sono discorsi suoi, chiarissimi su questo punto. Pio XII, anche durante la Seconda Guerra mondiale, non dismise mai la paternità spirituale per tutti. E fu ricambiato: alla liberazione di Roma piazza San Pietro non rigurgitava di stole e camici, ma di bandiere rosse riconoscenti. C’era un’unanimità di sentimenti di gratitudine verso il Papa. Ed è ciò che il diavolo non ha sopportato, cercando poi di introdurre polemiche e divisioni riguardo all’agire di Pio XII.

Dei Suoi incontri con esponenti del PCI che cosa ricorda?

Devo dire che non fui mai intermediario tra Vaticano e PCI. Ebbi però un incontro non ufficiale, ma certo ufficioso, con il segretario del PCI Luigi Longo. Accadde sotto Paolo VI e io fui esortato a incontrare Longo, giunto alla fine di una degenza ospedaliera. Ebbi la gioia di un colloquio molto amichevole con lui, tanto che alla fine mi disse: “Peccato, se non fosse stato prete, sarebbe stato un grande compagno!”. E io: “Onorevole, io lo statusdel compagno l’ho superato, dato che sono fratello suo fin dalla nascita!”

Fonte: Rossoporpora 

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Giuseppe Rusconi

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