La strategia di un''anatra zoppa'

L’ultimo asso nella manica per Obama è il ‘potere della persuasione’

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Le elezioni di mid-term del 4 novembre scorso hanno causato un terremoto all’interno del partito democratico americano. Quando a gennaio il nuovo Congresso sarà insediato come da normativa, l’amministrazione di Obama si ritroverà con una maggioranza ostile in entrambe le camere. Il Partito Repubblicano, infatti, è riuscito non solo a consolidare la sua forza nella Camera dei Rappresentanti, ma è anche riuscito conquistare più del 50% del Senato.

Ragionando su tali risultati, è lecito domandarsi quali siano le prospettive per l’amministrazione Obama nei suoi ultimi due anni di mandato. Sarà un governo completamente paralizzato? Sarà un governo guidato da una cosiddetta ‘anatra zoppa’?

Le preoccupazioni sono legittime. Bisogna inoltre ricordare che l’attuale sistema politico americano è già di per sé complesso e lento, per via dell’architettura costituzionale dei Padri Fondatori i quali, per evitare che uno dei tre poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario) dominasse gli altri, hanno sapientemente creato un efficace sistema di controlli e bilanciamenti. Il costo di tale ‘armonia fra poteri’ è un’eccessiva lentezza. Una lentezza che dopo i recenti risultati elettorali non può che confermarsi ulteriormente, dato che nessuno dei due maggiori partiti americani ha un controllo completo per implementare più celermente le proprie leggi (ai democratici è rimasto il potere esecutivo, mentre ai repubblicani quello legislativo).

In passato, stalli simili venivano risolti con soluzioni bipartisan, ma attualmente è difficile aspettarsi una collaborazione per questioni assai controverse. Per esempio, che ne sarà del livellamento del deficit? Che ne sarà della politica sul controllo delle armi? Che ne sarà della politiche ambientali? Come cambierà la complessa riforma sanitaria?

Seppure i numeri non siano dalla sua parte, il presidente degli Stati Uniti può ancora contare su quello che lo scienziato politico Richard Neustadt chiamava il ‘potere della persuasione’. In virtù del suo prestigio simbolico, il presidente può contare sulla sua influenza e sul suo carisma per cambiare gli assetti politici. Per Neustadt, il potere del presidente non è quello di comandare, ma quello di persuadere.

Nelle ultime settimane è diventato evidente che Obama si sia dovuto affidare a questa forma di potere. Mentre a Washington, Obama soffre l’opposizione dei Repubblicani sui temi energetici, a Pechino, durante il summit dell’APEC, ha ripetuto con enfasi che gli attuali sforzi profusi per contrastare il cambiamento climatico non sono sufficienti e che sono necessarie nuove coraggiose politiche. Di conseguenza Obama e il presidente cinese Xi Jinping hanno realizzato un comunicato stampa congiunto in cui veniva reso noto che sia il governo cinese che quello americano svolgeranno una strategia comune per lo sviluppo delle energie alternative.

Una settimana dopo l’incontro, i Democratici sono riusciti ad evitare l’approvazione al Congresso di una mozione che avrebbe dato il via ai lavori di un controverso gasdotto dal Canada agli Stati Uniti, il Keystone Pipeline. Il partito di Obama ha evitato questo progetto per il rotto della cuffia, dunque al presidente è diventato perfettamente chiaro che da gennaio, con un Congresso completamente dominato dai Repubblicani, i numeri non potranno più salvarlo. 

Dunque l’enfasi di Obama nei summit internazionali sui temi energetici non è casuale: il potere della persuasione potrebbe risultare efficace se il presidente riuscisse a convincere i Repubblicani che il cambiamento climatico è una questione mondiale e non un prodotto di varie mozioni separate fra loro che passano periodicamente per Washington. Non a caso Obama ha recentemente incoraggiato l’idea di creare nuovi investimenti per un fondo delle Nazioni Unite sulle energie rinnovabili. Gli Stati Uniti non saranno gli unici donatori, dato che il concetto chiave nei discorsi di Obama è quello di una “strategia globale”: altri investimenti, infatti, si aspettano da paesi come Germania, Francia e Giappone. Creare un consenso globale vuol dire mettere ulteriore pressione sul Congresso americano. È chiaro, dunque, che la vastità del progetto potrebbe persuadere i Repubblicani a non votare a favore di progetti che rischiano di alzare il livello di inquinamento, come la Keystone Pipeline.

Un altro notevole esempio della strategia di persuasione è la richiesta di Obama alla FCC (l’agenzia governativa per le telecomunicazioni) di stabilire delle regole per difendere la neutralità della rete. Tali regole impedirebbero alle multinazionali più grandi come la AT&T di creare delle corsie preferenziali su internet. È evidente che a Obama toccherà affrontare una dura opposizione su questa tema (spesso queste multinazionali sono grandi finanziatori dei partiti americani), ma potrebbe essere necessario un vasto appello popolare sull’equità di internet per evitare aspre battaglie al Congresso.

Inoltre il G20 a Brisbane ha dimostrato che la persuasione di Obama può avere effetti anche su altri paesi e non solo sugli Stati Uniti. Il Presidente ha enfatizzato l’importanza di politiche di crescita in un periodo di crisi economica e ciò ha naturalmente incoraggio leader nazionali come Renzi a criticare le rigide regole di austerità nell’Eurozona.

Poiché le sconfitte al Congresso sono destinate ad aumentare (recentemente i Repubblicani del Senato hanno votato contro il Freedom Act voluto da Obama per contrastare alcune violazioni della privacy della NSA), non dovrebbero stupire ulteriori iniziative internazionali anziché domestiche da parte di Obama. Essendo ormai giunto verso la fine del suo mandato, il presidente ha meno incentivi a recuperare consensi in territorio domestico. Gli ultimi due anni rimasti nel suo mandato, invece, possono servirgli per concentrarsi su cambiamenti globali: per esempio ottenere risultati effettivi su un tema come quello dell’ecologia che è ancora immobilizzato dal fallimento di Copenaghen nel 2009. Ancor più ambizioso nello scenario globale sarebbe riuscire ad ottenere maggiore stabilità nei rapporti geopolitici, ma purtroppo le questioni irachena, palestinese e ucraina sembrano lontane dall’essere risolte. Eppure è evidente che, all’interno della politica americana, l’ultimo asso nella manica rimasto ad Obama è quello di ottenere effetti talmente evidenti nelle questioni mondiali, che tali successi avrebbero conseguenze positive anche sull’opinione pubblica americana. Un Presidente capace di risolvere tali questioni non apparirebbe mai zoppo e i numeri del Congresso a lui ostili diventerebbero quasi irrilevanti.

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Alessandro Mancini Caterini

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