Su Natuzza, soprattutto dopo la sua morte, sono stati scritti innumerevoli articoli, libri, saggi. L’ultimo, in ordine di tempo, si intitola “Natuzza Evolo, il segreto di una vita”, ed è stato pubblicato dalla casa editrice cattolica Ancora. E’ firmato da Renzo Allegri, giornalista noto per la sua vasta produzione letteraria che comprende oltre cinquanta titoli, alcuni dedicati alle grandi guide spirituali del nostro tempo: Madre Teresa, Giovanni XXIII, Giovanni Paolo II, Gianna Berretta Molla, e soprattutto Padre Pio, al quale Allegri ha dedicato nove volumi da uno dei quali è stata tratta la fortunata fiction televisiva, con protagonista Sergio Castellitto. A Renzo Allegri abbiamo posto alcune domande.
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Perchè questo suo libro su Natuzza Evolo?
Natuzza è una persona che mi ha sempre molto affascinato. Penso che in lei sia nascosto un grande tesoro di insegnamento spirituale, per ora ancora inesplorato.
L’ha conosciuta personalmente?
Certo. L’ho incontrata diverse volte, a cominciare dal 1977, cioè 37 anni fa. Allora nessun giornale, nessun scrittore, nessuno dei mezzi di informazione si interessavano a lei. Ma la sua fama era grande egualmente, diffusa attraverso il “passaparola”. Si diceva possedesse tutte le qualità e le doti che comunemente vengono attribuite ai sensitivi, ai medium, ai guaritori eccetera. In realtà, però, la sua esistenza quotidiana era intrisa da una quantità incredibile di fenomeni non paranormali, ma di natura mistica: bilocazioni, estasi, visioni, sudorazioni di sangue, stimmate, “emografie”, e soprattutto da un “carisma” speciale che la caratterizzava, la possibilità di vedere e di parlare con le anime delle persone defunte. Ogni giorno arrivavano a Paravati 200-300 persone, che andavano a parlare con lei ottenendo sempre grandi consolazioni e grazie. Questi dettagli mi vennero raccontati da un avvocato, mio amico. Incuriosito, nell’ottobre del 1977 andai a Paravati. Vi rimasi una settimana. Conobbi Natuzza, e conversando con lei e parlando con chi la conosceva bene, scoprii che quella donna viveva, con sconcertante spontaneità, in continuo contatto con il soprannaturale. Ogni atto, ogni azione della sua esistenza erano permeati di fede semplice e vera. Ero partito da Milano pensando anch’io di incontrare una “grande sensitiva” e tornai convinto di aver conosciuto una “grande santa”.
Scrisse degli articoli esprimendo queste sue convinzioni?
Scrissi una serie di articoli. Allora ero inviato di “Gente”, che era il settimanale delle famiglie, con milioni di lettori. Per oltre un mese, Natuzza fu protagonista nelle pagine di quel settimanale. Raccontai la sua storia, così come lei stessa me l’aveva riferita. Aggiungendo tante testimonianze di persone che ogni giorno constatavano fatti prodigiosi. Quegli articoli ebbero un impatto enorme sul pubblico. Si può dire che attraverso quegli articoli Natuzza venne conosciuta dal grande pubblico. E venne conosciuta bene, cioè in modo corrispondente al vero. Quegli articoli ebbero, infatti, l’approvazione piena di tutte le persone che avevo intervistato e di Natuzza stessa che, essendo analfabeta, se li era fatti leggere dai familiari. In seguito, andai altre volte a Paravati, sempre come giornalista, e Natuzza mi ha sempre trattato con affetto, facendomi conoscere anche la sua famiglia. Nel 1998, in occasione di una gande festa in suo onore, volle che fossi io a tenere il discorso di circostanza.
Quali sono le caratteristiche di questo suo libro su Natuzza?
E’ un libro che si riallaccia agli articoli scritti nel 1977. A distanza di tanto tempo, ritengo che quegli articoli siano dei documenti molto importanti. Non solo per le testimonianze raccolte da persone che avevano conosciuto Natuzza bambina e che ora non ci sono più. Ma soprattutto perché Natuzza, ancora estranea alle pressioni e alle curiosità dei “mass media”, si confidava con la più grande semplicità. In quei miei articoli, mi limitai a fare un meticoloso lavoro di trascrizione dei racconti che Natuzza mi fece riguardo le sue esperienze mistiche. Sono quindi confidenze dirette e straordinarie. Ho voluto riprenderli e riproporli, cercando di ricostruire nei dettagli quella mia indimenticabile avventura giornalistica.
Qual era l’atteggiamento ufficiale della Chiesa quando lei conobbe Natuzza?
Era un atteggiamento “distratto”. La Chiesa ha il compito di preservare il “popolo di Dio” da pericoli ideologici devianti. E lo fa con il massimo impegno, a volte con rigore. All’inizio, quando Natuzza era una bambina, il vescovo del luogo, monsignor Paolo Albera, informato, rimase molto colpito. Fu anche testimone diretto di qualcuno di quei fatti inspiegabili, ed espresse giudizi positivi. Ma per avere un quadro sicuro della situazione, ricorse al consiglio di un famoso scienziato del tempo, Padre Agostino Gemelli, fondatore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Prima di diventare religioso, Gemelli era medico, psichiatra, psicologo, ricercatore scientifico di fama, ma ateo. Convertitosi, aggiunse al proprio grande patrimonio scientifico, quello religioso-spirituale, diventando il più preparato esponente della scienza cattolica di allora. Mantenne, però, sempre una istintiva avversione per la fenomenologia di carattere mistico, in quanto, secondo lui, poteva spesso essere soltanto frutto del subconscio. Diceva che i manicomi erano pieni di stimmatizzati e visionari. Affermava che l’unico stimmatizzato vero della storia era stato San Francesco d’Assisi. E fu lui a giudicare, nel 1919, che le stimmate di Padre Pio erano frutto di isterismo. Lo stesso giudizio espresse, nel 1940, per la fenomenologia di Natuzza. Al vescovo che gli aveva inviato un ampio dossier sul caso, rispose che la ragazza era isterica e doveva essere curata in un ospedale psichiatrico. Natuzza venne quindi ricoverata in un manicomio a Reggio Calabria. Ma, dopo una ventina di giorni fu rispedita a casa perché “perfettamente sana di mente e di corpo”.
Il giudizio di Padre Gemelli, tuttavia, fu “condizionante”. L’autorità di Gemelli era mitica. Il vescovo Albera emise un documento in cui diceva che quanto accadeva in Natuzza non aveva niente a che fare con il soprannaturale. I successori di Albera si attennero a quel giudizio, ma senza mai intervenire in modo pratico. Per 40 anni, Natuzza fu ufficialmente giudicata una “sensitiva”. Ma per la gente era una santa. Quando la conobbi, nel 1977, il giudizio delle autorità ecclesiastiche era, ufficialmente, ancora quello emesso dal vescovo Albera nel 1940. Però, tutti i pellegrini che ogni giorno arrivavano a Paravati la giudicavano una santa. E tra essi anche sacerdoti, religiosi, vescovi. Il parroco di Paravati di allora, don Salvatore Sangeniti, mi disse apertamente che, per lui, quella sua parrocchiana era un esempio di grande santità. Mi disse che era un donna poverissima, aveva cinque figli da mantenere, suo marito era un falegname che non sempre trovava lavoro. Lei dedicava gran parte delle sue giornate alla gente che accorreva in cerca di aiuto. E lo faceva del tutto gratuitamente. Se qualcuno, che magari aveva ricevuto un favore enorme, come la guarigione da malattie dichiarate inguaribili dai medici, e voleva a tutti i costi sdebitarsi lasciarle un offerta, rifiutava sempre e diceva: “Se volete fare un’offerta, andate in chiesa e fatela al Signore: è stato Lui a guarirvi”. Fu sempre intransigente su questo, non volle mai niente da nessun.
Don Salvatore aveva assistito anche al fenomeno delle stimmate che si manifestavano in Natuzza durante la Settimana santa, in particolare il Venerdì santo. Mi disse: “Per tutto il giorno Natuzza è assistita da medici, perché si teme che possa morire da un momento all’altro. Sembra proprio che si trovi in agonia. Il suo corpo diventa tutto una piaga
, Le gocce di sangue, cadendo sul guanciale e sul lenzuolo provocano immediatamente quei misteriosi disegni a soggetto sacro chiamati “emografie”. Ho assistito tanti moribondi ma non ho mai provato un’impressione così forte come vedendo Natuzza in quelle condizioni”.
Nel 1979 arrivò nella diocesi da cui dipende Paravati un nuovo vescovo, monsignor Domenico Cortese. Fu lui a cambiare la situazione. Era convinto che in Natuzza operasse Dio. A poco a poco, senza emanare nuovi documenti giuridici, ma dimostrando in pratica la sua stima verso quella donna, cancellò la vecchia diffidenza ecclesiastica aprendo le porte a una comprensione totale. E fu lui che permise e sostenne la grande opera socio-spirituale che, nel nome di Natuzza, è sorta a Paravati>>.
Nei libri, Natuzza viene spesso definita una “povera contadina analfabeta del sud”…
E’ un giudizio errato. Che contiene anche un pregiudizio di sapore razzista. E’ vero che Natuzza era analfabeta. Ma i doni carismatici che aveva ricevuto e le esperienze che ogni giorno faceva a contatto le persone più diverse, costituirono per lei una scuola unica. Di un valore inestimabile. Ascoltare, valutare, cercare di capire, essere concentrata nel percepire i suggerimenti interiori, comportava un impegno massacrante, che richiedeva uno sforzo fisico, emotivo e spirituale, elevatissimo. E poiché un simile impegno era continuo, quotidiano, fu per lei una “palestra ascetica” straordinaria, una “università” senza pari. Si dice che noi siamo il risultato della nostre esperienze. E in gran parte è vero. Le esperienze arricchiscono in modo esponenziale l’intelligenza, l’intuizione, la sensibilità, la capacità di capire anche i segni estremi. Natuzza era immersa in esperienze del genere e la sua intelligenza le elaborava, trasformandole in patrimonio cognitivo di altissima qualità. Professionisti, medici, avvocati, sacerdoti, scienziati, cioè soggetti di elevata cultura, parlando con lei si meravigliavano nel constatare che, pur essendo analfabeta, Natuzza affrontava conversazioni teologiche, filosofiche, scientifiche, con estrema facilità, non sbandierando teorie, non facendo dissertazioni erudite, ma spiegando chiaramente i problemi e indicandone la soluzione, che risultava sempre la più giusta. Non era certo una “povera contadina analfabeta del Sud”!
Secondo lei, quali sono le caratteristi peculiari della santità di questa donna?
Penso che Natuzza, quando era in questo mondo, sia stata una grande “missionaria” del nostro tempo riguardo alla “vita”. “Vita” intesa non solo come l’esperienza nel tempo, ma nel suo significato integrale, e cioè “vita eterna”, iniziata nel tempo ma che non finirà mai. Soprattutto con quel suo dono carismatico di “vedere e parlare con le anime dei trapassati”, Natuzza è stata la più grande testimone della “vita che continua oltre la morte”. Le migliaia di episodi questo genere che si verificarono nel corso della sua esistenza e che ebbero come testimoni altre migliaia di persone esistenti in questo mondo, sono una documentazione imponente e inoppugnabile. Parlandomi di quei fatti, lei stessa mi ha più volte ripetuto: “Sono i morti che vogliono comunicare. Desiderano far sapere ai loro cari che sono vivi”. Anche le bilocazioni, altro fenomeno carismatico eclatante nell’esistenza terrena di Natuzza, potrebbero essere intese come “indicazione profetica”, per farci intuire “come” potrebbe essere la vita dopo la morte. Non uno stato evanescente, astratto, imbalsamato, lontano dalla nostra concezione, ma una “vita” essenzialmente “vera e reale” anche se invisibile ai nostri occhi mortali. Natuzza non ha scritto libri, non ha tenuto conferenze, non ha fatto prediche, ma ha “parlato” con i fatti, con migliaia e migliaia di fatti inspiegabili dei quali sono stati testimoni milioni di persone. E tutti quei fatti, (visioni, bilocazioni, emografie, colloqui con i trapassati eccetera) in pratica convergevano verso un fine unico: testimoniare la realtà della “vita oltre la morte”.