Inferno non è l'amore di un padre per i figli

Nell’ultimo romanzo di Alessandro D’Avenia, la vicenda del beato Pino Puglisi, vista con gli occhi di un adolescente dell’epoca

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Palermo, 1993. Federico è un giovane di diciassette anni, frequenta il liceo Classico Vittorio Emanuele II in cui insegna 3P: Padre Pino Puglisi. L’estate è alle porte e la città stenta a risvegliarsi dai fatti drammatici dell’anno precedente, in cui hanno perso la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. La mafia aveva dato dimostrazione di non temere i poteri forti, aveva dato una dimostrazione di spavalderia, colpendo quello che di fatto era uno “Stato” solo al participio passato.

E Palermo si presenta così, come un ossimoro inscindibile, fatto di contrasti, di luci ed ombre, di grandezza e miseria. Miseria che attanaglia il quartiere Brancaccio in cui Padre Pino ha la sua parrocchia e la sua vita.

Federico, invece, vive in uno dei quartieri bene di Palermo: vetrine scintillanti, palazzi eleganti ed è pronto per passare l’estate in Inghilterra, per apprendere l’inglese alla perfezione, come suo fratello Manfredi, specializzando in neurochirurgia.

Ma Federico non sembra essere appagato dall’idea di trascorrere un soggiorno da sogno all’estero. In lui qualcosa lo tormenta nel profondo. S’interroga sulla vita, sulla bellezza, sull’amore, affidandosi ai versi ed alle poesie, in particolare di Petrarca; il poeta che ha lottato più di tutti con i propri desideri ed i propri sentimenti, tra sacro e profano, Laura e Dio.

L’aver accettato di aiutare Padre Pino per qualche giorno con i ragazzi del suo quartiere, mostrerà al giovane una realtà che ignorava. Federico si confronta con un territorio che sconosce e che non gli sembra neppure lontanamente Palermo. Bambini disagiati, ladruncoli, prepotenti, rissaioli. È come se si trovasse all’inferno tra i dannati, ma Padre Pino dona il suo amore ed il suo affetto paterno a quelle creature, senza scordare nessuno: donne violentate, prostitute, drogati.

I padroni del quartiere ed i loro scagnozzi mal sopportano che qualcuno strappi dalle loro grinfie vite umane destinate al male. Madre Natura, Nuccio, il Cacciatore, sono loro la mafia a Brancaccio: pizzi, stupri, saracinesche infiammate, furti, avvertimenti, ricatti e pallottole. Non si sfugge alla legge del quartiere Brancaccio. Federico, in mezzo a quel degrado ed abbandono, non vuole lasciare Padre Puglisi da solo. Rinuncia al mare, alla vacanza, all’inglese. Lui è utile lì, alla ricerca di ciò che inferno non è.

E inferno non è Lucia, giovane di Brancaccio che farà tremare d’amore Federico, giovane e senza corazza, desideroso di due mani che gli scrutino l’anima.

Inferno non è la condivisione di piccoli gesti d’affetto con i bambini del quartiere, in cui Lucia e Federico riusciranno a coinvolgere anche i disinteressati ed i ciechi di cuore.

Inferno non è l’amore di un padre per i figli. Un amore incondizionato dato come un dono, generosamente e senza pretese ed in nome di quel Dio, fattosi uomo che ha salvato l’umanità offrendo se stesso.

Inferno non è la vita, anche quella che nasce da una violenza, perché c’è sempre amore da dare.

Inferno non è la morte, a cui Padre Pino risponde con un sorriso.

L’ossimoro più forte e violento di tutto il racconto: saluta la morte con un sorriso.

Alessandro D’Avenia a tre anni di distanza dal suo ultimo romanzo, ritorna con Ciò che inferno non è (Mondadori, 2014) una storia vera, onesta che ha il sapore del vissuto e dell’umano. Senza cliché ideologici, senza perbenismi di circostanza, racconta la sua Palermo portando il lettore a scorgere ciò che inferno non è, tra le crepe più profonde dell’animo umano. Un romanzo che lascia il segno per la sincerità con cui Dio è coprotagonista, sempre presente negli interrogativi, nei dubbi, nell’apparente desolazione. Un Dio che è amore anche in periferia, nei gesti di carità ed affetto del Beato Puglisi a cui D’Avenia strappa l’etichetta di prete anti-mafia perché, come scrive nel romanzo, non era contro nessuno, ma prodigo per il Bene.

Un romanzo adatto a tutti coloro che vogliono scoprire una Palermo “tutto porto”, come dice il nome stesso della città; incoerentemente paradossale in cui convivono i ricordi delle diverse dominazioni del passato, la cristianità e il paganesimo, le luci e le ombre, l’odio e l’amore. Una Palermo che, nelle sue drammatiche doppiezze, sa essere grande e maestosa, pronta ad accogliere nel suo porto tutto l’Amore di cui l’uomo ha bisogno.

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Valentina Ragaglia

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