Queste e altre domande ZENIT le ha rivolte a Paolo Sorbi, cattolico, formato alla facoltà di sociologia di Trento, dove Renato Curcio e Mara Cagol diedero vita al gruppo dirigente delle Brigate Rosse.
Docente universitario Sorbi ha militato nella sinistra comunista italiana. Ne è uscito per contrasti sui temi sensibili relativi alla vita nascente e al fine vita. È stato presidente del Movimento per la Vita della Lombardia, scrive su Avvenire e ha una rubrica su Radio Maria.
È docente di sociologia all’Università Europea di Roma ed è noto anche per essere stato coautore del manifesto “marxisti ratzingeriani”. Insieme a Giuseppe Vacca, storico e Presidente della Fondazione Gramsci, Mario Tronti, uno dei maggiori filosofi marxisti italiani, dirigente del Pci, poi parlamentare del Pds e del Pd, e Pietro Barcellona, intellettuale autorevole e deputato del Pci (recentemente scomparso), Paolo Sorbi ha sviluppato una significativa riflessione sul pensiero e l’operato di Joseph Ratzinger, in particolare sul rapporto tra fede e ragione e sui valori non negoziabili.
Sorbi ha raccontato di essersi ritrovato insieme ai questi vecchi amici non credenti, per discutere della situazione di irrazionalità e nichilismo che sembrava aver conquistato le élite accademiche, culturali e perfino politiche dell’Europa.
Tutti e quattro hanno riconosciuto che il cardinale Ratzinger era uno degli intellettuali di avanguardia che avevano tra i primi intuito la svolta irrazionalistica e nichilista che stava prendendo piede in Europa dopo il crollo del muro di Berlino.
Così è nato un gruppo che la stampa ha definito “marxisti ratzingeriani”: niente di teologico ma moltissimo di culturale e sociologico.
Sorbi ha precisato che già nell’enciclica Deus caritas est Ratzinger, coglie nel marxismo una dinamica antropologica che è autodistruttiva, perché è riduttiva e materialista e non regge dal punto di vista antropologico.
Ratzinger è libero da pregiudizi, infatti riconosce a Marx di aver individuato il problema sociale dell’alienazione e dello sfruttamento. “Questo lucida e libera analisi – ha sostenuto Sorbi – ha colpito molto i miei amici legati alla tradizione comunista”.
Un altro punto su cui i “marxisti ratzingeriani” si sono ritrovati con Benedetto XVI è l’analisi sul Concilio Vaticano II.
Secondo Sorbi, il cardinale Ratzinger fa due battaglie a cavallo del 1968. Una riguarda la sinistra cristiana che lui vede minata al suo interno dall’estremismo sociale e dal liberalismo etico. L’altra è la riforma nella continuità della Tradizione.
Il docente di sociologia conosce bene questi problemi, essendo stato un militante convinto della sinistra cattolica e sessantottina.
“Rivendico alla mia generazione – ha sottolineato – di aver posto domande giuste e di aver dato varie volte delle risposte sbagliate”.
Per Sorbi questo è il motivo per cui Ratzinger compie una scissione vera e propria passando da Concilium a Communio.
Ratzinger si schierò con Giovanni Battista Montini, con Henry Marie De Lubac, con Hans Urs von Balthasar.
Dall’altra parte c’erano il giovane Jonás Manuel Gutiérrez, i fratelli Clodovis e Leonardo Boff, l’olandese Edward Cornelis Florentius Alfonsus Schillebeeckx.
Si verificò una vera e propria spaccatura, tra coloro che si erano uniti nel Concilio e che si sono divisi nel post-Concilio. Quest’ultimi criticano Montini per la lentezza e non applicazione del Concilio, mentre Ratzinger e Communio difendono la grande apertura del Concilio senza accettare la rottura con la Tradizione.
Poco prima di essere eletto Pontefice, il cardinale Ratzinger, riapre questa riflessione, parlando della ermeneutica della continuità, facendone un capolavoro di analisi del Concilio.
Ratzinger guarda al Concilio non come l’evento di rottura dottrinale rispetto al passato, bensì pensa ad un cambiamento pastorale, comprendendo che la pastoralità non è esente dai collegamenti con la dottrinalità. Da qui un aggiornamento del linguaggio e la riforma liturgica, ma tutto all’interno del mantenimento del legame con la Tradizione.
Alla domanda su come si spiegano le dimissioni di papa Benedetto XVI, Sorbi risponde che, dal 2005 al 2013 si apre uno scontro non ideologico, ma di poteri e di scandali economici interni alla Chiesa, in cui Papa Ratzinger che è un intellettuale non si trova a suo agio. Benedetto XVI è un papa per le guerre culturali, non per gli scontri interni alla Curia.
Da una parte è scocciato, vorrebbe delegare, ma i conflitti non sono semplici da risolvere. Ed è a questo punto che arriva papa Francesco. Il cardinale Bergoglio è tra i più ligi al magistero, ma è anche uno che propone una pastorale più aperta, per una Chiesa Madre e non dogana.
Per combattere la corruzione Papa Francesco propone di creare una Chiesa povera nelle strutture. Ipotesi ben compresa e sostenuta da Ratzinger
Tra Benedetto XVI e Francesco si crea una continuità nell’innovazione. Francesco come Benedetto XVI non tornano indietro ma proseguono secondo le indicazioni del Concilio Vaticano II.
A questo proposito abbiamo chiesto a Sorbi se non sia paradossale che in una situazione in cui è evidente il superamento della logica della guerra fredda e della scomparsa dell’ideologia comunista, papa Francesco venga accusato di essere comunista.
Sorbi ha risposto precisando che Bergoglio non è propriamente un uomo di sinistra, e di certo potrà dare una risposta ai problemi dell’oggi con una Chiesa che si muove in una dinamica di tipo relazionale, comunionale che si confronta con la rete e il web e non sia verticistica.
L’approccio per una comunione sinodale, inoltre potrebbe favorire logiche che accelerano il processo di unificazione tra cattolici e ortodossi.
Per Sorbi, papa Francesco è “nell’ermeneutica della continuità” e “non stanno vincendo i profeti di sventura ma i segni dei tempi”.