"Il vero cristiano non ha paura di sporcarsi le mani con i peccatori"

Il Papa, a Santa Marta, critica i “cristiani a metà cammino” che si limitano a condannare le persone, e loda invece chi, come Cristo, va “fino in fondo” senza paura di perdere la comodità o la fama

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Sembra parlare di sé stesso Papa Francesco nella Messa di oggi a Santa Marta, descrivendo la figura del cristiano che “non ha paura di sporcarsi le mani con i peccatori”, anche a costo “di rischiare la sua fama”. E sembra anche rispondere per le rime alle critiche verso certi suoi comportamenti giudicati ‘poco ortodossi’ o ‘troppo comunisti’.

Ma, in fin dei conti, Gesù stesso non ha avuto un trattamento migliore: farisei e scribi erano sconcertati nel vederlo accogliere i peccatori e mangiare con loro. “Era un vero scandalo a quel tempo, per questa gente… Immaginiamo se a quel tempo ci fossero stati i giornali!”, osserva il Santo Padre.

Per questo, Cristo racconta le due parabole della pecora smarrita e della moneta perduta, riportate nel Vangelo di Luca della liturgia odierna. Esse – sottolinea Papa Francesco –  sono la limpida spiegazione del motivo per cui il Figlio di Dio è venuto nel mondo, ovvero “andare a cercare quelli che si erano allontanati dal Signore”.

Le due parabole, inoltre, “ci fanno vedere come è il cuore di Dio”: un Dio che “non si ferma, non va fino ad un certo punto”, ma “va fino in fondo, al limite, sempre va al limite; non si ferma a metà cammino della salvezza, come se dicesse: ‘Ho fatto tutto, il problema è loro’ . Lui va sempre, esce, scende in campo”.

Il contrario insomma di scribi e farisei che, invece, si fermano “a metà cammino”, perché a loro non interessava il bene delle persone, bensì che “il bilancio dei profitti e delle perdite” fosse “più o meno favorevole”. “E con questo andavano tranquilli: ‘Sì, è vero, ho perso tre monete, ho perso dieci pecore, ma ho guadagnato tanto’”.

Tale ragionamento “non entra nella mente di Dio”, afferma il Pontefice, semplicemente perché “Dio non è un affarista”, Lui “è Padre” e, come tale, “va a salvare fino alla fine, fino al limite” i suoi figli.

In quest’ottica risulta molto “triste” – osserva Bergoglio – che il pastore, chiamato a seguire l’esempio del Signore, resti “a metà cammino”: “È triste il pastore che apre la porta della Chiesa e rimane lì ad aspettare”. Come è “triste” pure vedere un cristiano “che non sente dentro, nel suo cuore, il bisogno, la necessità di andare a raccontare agli altri che il Signore è buono”.

Perché sì, ammettiamolo – dice il Papa – alcuni “non vogliono sporcarsi le mani con i peccatori”. Sono come i farisei “che si credono giusti”, pur avendo il cuore colmo di “perversione” e di “disprezzo”. Lo dimostrano le loro parole, rammenta il Papa: “Eh, se questo fosse profeta, saprebbe che questa è una peccatrice”. Loro “usavano la gente, poi la disprezzavano”.

Quindi, la conclusione è chiara: “Essere un pastore a metà cammino è una sconfitta”, afferma Francesco. “Il vero pastore, il vero cristiano” deve “avere il cuore di Dio, andare fino al limite” e custodire nel cuore lo “zelo” che “nessuno si perda”. E questo senza alcuna “paura di sporcarsi le mani”.

Il buon pastore “non ha paura. Va dove deve andare. Rischia la sua vita, rischia la sua fama, rischia di perdere la sua comodità, il suo status, anche perdere nella carriera ecclesiastica pure”. Eppure egli va avanti, “esce, sempre è in uscita: da se stesso, verso Dio, nella preghiera, nell’adorazione”; è in uscita “verso gli altri per portare il messaggio di salvezza”.

“Anche i cristiani devono essere così”, rimarca il Pontefice, cioè pastori che hanno a cuore il bene del proprio gregge, che scelgono una strada tortuosa e non quella più facile del “condannare gli altri”, come facevano i pubblicani. Perché “questa gente non sa cosa sia la gioia”, “non sapevano cosa fosse caricare sulle spalle la pecora, con quella tenerezza, e riportarla con le altre al suo posto”.

“Il cristiano e il pastore a metà cammino forse sa di divertimento, di tranquillità, di certa pace, ma gioia, quella gioia che c’è nel Paradiso, quella gioia che viene da Dio, quella gioia che viene proprio dal cuore di padre che va a salvare!”, insiste il Santo Padre. Il Figlio di Dio, invece, “va al limite, dà la vita, come l’ha data Gesù, per gli altri. Non può essere tranquillo, custodendo se stesso: la sua comodità, la sua fama, la sua tranquillità”.

È “questo è tanto bello”, conclude il Santo Padre, “non avere paura che si sparli di noi per andare a trovare i fratelli e le sorelle che sono lontani dal Signore”.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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