La sfida di oggi: una Chiesa "comunicativa e partecipativa"

Durante l’incontro dei vescovi responsabili per le comunicazioni sociali in Europa, padre Antonio Spadaro spiega che è importante comprendere che oggi “comunicare non è trasmettere ma condividere”

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“Non è possibile parlare di pastorale e comunicazione senza comprendere la valenza spirituale della tecnologia della comunicazione”, è quanto afferma p. Antonio Spadaro SJ, direttore della nota rivista gesuita La Civiltà Cattolica, intervenendo questo pomeriggio all’incontro dei vescovi responsabili per le comunicazioni sociali in Europa riuniti ad Atene.

Per Spadaro, la Rete “non è uno strumento” ma “un ambiente e un’esperienza” che “sempre più sta diventando parte integrante, in maniera fluida, della vita quotidiana”. E’ “un tessuto connettivo delle esperienze umane” che influisce sulmodus cogitandi dell’uomo. Di fatto, nella società di sovrainformazione in cui viviamo, “il problema oggi non è reperire il messaggio di senso ma decodificarlo, cioè riconoscerlo per me importante, significativo sulla base delle molteplici risposte che io ricevo”.

Allo stesso tempo, essendo anche esperienza, la Rete “diventa uno dei modi ordinari che l’uomo ha a disposizione per esprimere la sua naturale spiritualità”. Da qui, dice il gesuita, lo sforzo dell’uomo “nell’infondere ‘il riflesso di funzioni spirituali’ agli ‘strumenti meccanici’”. E agli scettici del mondo digitale, Spadaro risponde “finché si dirà che bisogna uscire dalla relazioni in Rete per vivere relazioni reali si confermerà la schizofrenia di una generazione che vive l’ambiente digitale come un ambiente puramente ludico in cui si mette in gioco un secondo sé, un’identità doppia che vive di banalità effimere, come in una bolla priva di realismo fisico, di contatto reale con il mondo e con gli altri”. Invece il direttore de La civiltà cattolica ricorda come, sempre più, una parte della nostra vita è digitale: “noi esistiamo in Rete”, da qui l’idea che “anche una parte della nostra vita di fede è digitale”.

Appare pertanto lecita la domanda se al tempo dei motori di ricerca dove le risposte sono a portata di mano, la Rete può essere una dimensione dove sia possibile annunciare e vivere il Vangelo. E, nel tempo in cui le programmazioni sono sostituite dalle ricerche personali e dai contenuti accessibili sempre in rete, se le modalità di presentazione del catechismo tradizionale che proponeva i contenuti di fede in modo ordinato e coerente, siano ancora validi nella Rete.

Per Spadaro “l’annuncio cristiano oggi corre il rischio di presentare un messaggio accanto agli altri, una risposta tra le tante. Più che presentare il Vangelo come il libro che contiene tutte le risposte, bisognerebbe imparare a presentarlo come il libro che contiene tutte le domande giuste”. La vera sfida per la Chiesa, dice Spadaro, è quella di “assumere una forma sempre più comunicativa e partecipativa”, perché “comunicare dunque non significa più trasmettere ma condividere”. Infatti quello che emerge in Rete “non solo le persone e i contenuti, ma emergono le relazioni”. Per questo “oggi l’uomo della Rete si fida delle opinioni in forma di testimonianza”.

Secondo Spadaro “la logica delle reti sociali ci fa comprendere meglio di prima che il contenuto condiviso è sempre strettamente legato alla persona che lo offre. Non c’è, infatti, in queste reti nessuna informazione ‘neutra’: l’uomo è sempre coinvolto direttamente in ciò che comunica”. Da qui la responsabilità del cristiano che vive immerso nelle reti sociali ad “un’autenticità di vita molto impegnativa”.

Insomma, per Spadaro, la Chiesa nella Rete “è chiamata dunque non a una ‘emittenza’ di contenuti religiosi, ma a una ‘condivisione’ del Vangelo” e il cristiano, anch’egli un “living link” è chiamato innanzitutto a narrare la propria fede “all’interno di legami e relazioni” e in modo polifonico e aperto. Infatti, conclude Spadaro, “l’uomo di oggi ritiene valide le esperienze nelle quali è richiesta la sua ‘partecipazione’ e il suo coinvolgimento”.

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ZENIT Staff

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