La parola “teologia” ha una lunga storia, che comincia proprio con una stretta parentela con l’arte.
Infatti nella cultura antica “teologo” è propriamente il poeta, in quanto è mitologo; così per Aristotele i “teologi” sono coloro che fanno derivare tutto dalla notte (Meth., XII, 6, 1071 a 27), ovvero gli antichissimi che «per primi hanno trattato degli dei» (Meth., I, 3, 983b 29-30), con riferimento ad Orfeo, Esiodo, Omero.
Con gli stoici, teologia comincia a significare “dottrina su Dio”, e sembra che dallo stoico del II secolo, Panezio di Rodi, nasca la tripartizione della teologia proposta da Varrone: teologia di genere mitico, di genere fisico, di genere civile. Proprio su questa distinzione riflette Sant’Agostino, puntualizzando: «Se in latino l’uso lo ammettesse, dovremmo chiamare fabulare il genere che Varrone ha collocato al primo posto, chiamiamolo fabuloso ma perché mitico deriva etimologicamente da fabulazione: il greco mýthos si traduce appunto favola. […] La prima teologia, egli dice, è soprattutto adatta al teatro, la seconda al mondo, la terza alla città» (De civitate Dei, VI, 5-13). Sant’Agostino nel medesimo testo sottolinea che il genere teologico mitico, in quanto fabulazione, è capace di attrarre le masse, ma è «sconcio nella sua falsità», perché non si preoccupa di conoscere e comunicare la verità.
Il significato cristiano della teologia, intrinsecamente legato alla ricezione ed alla trasmissione della verità, emerge nel pensiero dei Padri della Chiesa, inizialmente convivendo con quello classico di mitologo. Per esempio, per Clemente Alessandrino Orfeo è ancora il “teologo per eccellenza” (Stromata, I, 13 e 28), e tuttavia egli già intende il significato di teologia nei termini cristiani di conoscenza di Dio in Gesù Cristo.
Fin dai primi secoli del Cristianesimo, l’arte ha cercato di rispondere alle esigenze dell’annuncio (Kerigma) e a quelle della formazione (Didachè), per la diffusione del messaggio cristiano. L’arte entra fin dall’inizio nella vita del Cristianesimo, divenendo partecipe del dinamismo della teologia, nella luce della fede. Ricordiamo come la tradizione veda nell’evangelista Luca il primo pittore cristiano, in quanto ritrattista di Maria, e in Nicodemo, il primo scultore cristiano, autore di un crocificisso ritenuto miracoloso.
Come agli albori del Cristianesimo si va lentamente definendo lo statuto della teologia, analogamente anche l’arte cristiana va lentamente prendendo coscienza. Così, nei primi secoli, alcune botteghe di cesellatori e di scultori in argento, avorio e bronzo, lavorano sia per i pagani che per i cristiani, come per esempio nei noti casi dei dittici senatoriali e consolari. Contestualmente però, nasce anche con sicurezza un’iconografia cristiana legata alla diffusione dei Vangeli e alla stessa forma in parabole della predicazione di Cristo. Questa iconografia non ha paura di prendere dal mondo pagano immagini e simboli, riletti però alla luce della verità. Così, per esempio, il nuovo messaggio del buon pastore si sovrappone alla iconografia del moscoforo.
Una vera e propria presa di coscienza del mezzo artistico come strumento di indagine, di speculazione, di introspezione propriamente cristiana, si sviluppa in qualche modo proprio in coincidenza del fiorire della teologia all’interno della speculazione medievale. Infatti se si può individuare tra Abelardo e San Tommaso (XI-XIII secolo) una definizione della teologia in senso proprio –anche se vengono usati ancora altri termini, come “sacra doctrina”–, affrancata completamente dalla mitologia, in quello stesso periodo, l’arte, e in modo particolare la pittura, incomincia a dotarsi di una quantità di strumentazioni capaci di essere all’altezza proprio del discorso “teologico”. Chenu, studiando la teologia del XII secolo, giunge a considerare le opere d’arte veri e propri “luoghi teologici”[1]. L’arte esprime con la bellezza quell’amore per la verità creduta che contraddistingue autenticamente la fede. Mentre la teologia cristiana approfondisce il valore metafisico e teologico della bellezza, l’arte se ne fa portatrice agli occhi dei fedeli.
L’attenzione principale dell’arte cristiana è sempre data all’aspetto kerigmatico, cioè all’annuncio ai non credenti, e a quello didascalico, cioè catechetico per i fedeli. Al centro di tutto c’è il Vangelo di Gesù Cristo. Per essere all’altezza del messaggio, l’arte sviluppa i propri mezzi espressivi.
Se nell’antichità è il poeta ad essere teologo in quanto mitologo, invece tra XIV e XVI secolo, nel contesto del paragone delle arti, si impone l’idea che la pittura sia capace più della stessa poesia di descrivere il mondo ed anche di parlare di Dio. Nei profondi confronti tra le arti, così frequenti nel Rinascimento, la pittura risulta vincitrice sulla poesia, per la sua capacità rappresentativa di ogni dimensione. La pittura sa diventare, in quel momento storico, lo strumento più acuminato per parlare di Dio e dell’Incarnazione.
L’arte è, dunque, in se stessa teologia nel senso antico del termine, in quanto fabulazione, e lo può essere anche, e ancor più, nel senso autenticamente cristiano, se si sposa con la Verità. L’arte in questo modo si svela come una riflessione su Dio, che ha Dio come aiuto stesso per questa riflessione. È lo Spirito, infatti, che ispira l’artista cristiano, e lo guida nella comprensione delle cose che crede. L’artista non partecipa propriamente alla teologia come “scienza”, ma, come nota Torrell: «Ogni battezzato, uomo o donna, che riflette nella e sulla fede fa opera di teologo»[2].
Inoltre, l’arte è teologia in un senso peculiare, perché è un discorso su Dio fatto non con parole ma con immagini. Ma in quanto tale, è teologia propriamente cristiana, perché si radica nel mistero stesso dell’Incarnazione, della realtà divina che si fa carne visibile.
Così scriveva San Giovanni Paolo II nella Lettera agli artisti, Città del Vaticano, 4 aprile 1999: «Quanta affinità esiste tra le parole “soffio-spirazione” e “ispirazione”! Lo Spirito è il misterioso artista dell’universo. […] Cari artisti, voi ben lo sapete, molti sono gli stimoli interiori ed esteriori, che possono ispirare il vostro talento. Ogni autentica ispirazione, tuttavia, racchiude in sé qualche fremito di quel “soffio” con cui lo Spirito creatore pervadeva sin dall’inizio l’opera della creazione. Presiedendo alle leggi che governano l’universo, il divino soffio dello Spirito creatore s’incontra con il genio dell’uomo e ne stimola la capacità creativa. Lo raggiunge con una sorta di illuminazione interiore, che unisce insieme l’indicazione del bene e del bello, e risveglia in lui le energie della mente e del cuore rendendolo atto a concepire l’idea e a darle forma nell’opera d’arte. Si parla allora giustamente, se pure analogicamente, di “momenti di grazia”, perché l’essere umano ha la possibilità di fare una qualche esperienza dell’Assoluto che lo trascende»[3].
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Rodolfo Papa, Esperto della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, docente di Storia delle teorie estetiche, Pontificia Università Urbaniana, Artista, Storico dell’arte, Accademico Ordinario Pontificio. Website www.rodolfopapa.it Blog: http://rodolfopapa.blogspot.com e.mail: rodolfo_papa@infinito.it .
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[1] M.D. Chenu, La teologia nel XII secolo, Milano 1992, p. 9.
[2] J.P. Tor rell, La teologia cattolica, Milano 1998, p. 96.
[3] San Giovanni Paolo II, Lettera agli artisti, Città del Vaticano, 4 aprile 1999, n. 15.