È strano, forse anche illogico, ma spesso mi accorgo che abbiamo timore solo a parlare con gli altri di nostro Signore e di quello che compie ogni giorno per noi. Ci nascondiamo come Elisabetta, divenuta madre in tarda età: “…Dopo quei giorni Elisabetta, sua moglie, concepì e si tenne nascosta per cinque mesi”.
Dubitiamo della presenza Dio o dei Suoi messaggi, come fece Zaccaria all’annuncio dell’Angelo di una sua prossima paternità: “Ed ecco, tu sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, che si compiranno a loro tempo”.
Il cristiano non può essere il bravo figliolo della domenica, per poi trasformarsi nel corso della settimana in un automa, preso dalle sue cose quotidiane. Ci si comporta come se avere fede in Cristo Gesù, significhi adempiere unicamente a qualcosa di soprannaturale e che nulla abbia a vedere con le opere di tutti i giorni, in qualsiasi settore si operi.
Ci limitiamo al tangibile e alle relazioni umane tese sempre a riscontri fine a se stessi, eredi di una forza generatrice empirica che acceca spesso la vista degli uomini, rendendo la vita invivibile. In Luca si legge la parabola di Gesù che mette in guardia l’uomo a non comportarsi come quel ricco agricoltore, occupato solo ad ampliare i magazzini per custodire l’abbondanza dei suoi raccolti e vivere, spassandosela, per se stesso e senza più lavorare. “Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».
L’Arcivescovo di Catanzaro, S.E. Vincenzo Bertolone, in occasione dell’inaugurazione della catechesi del Movimento Apostolico e del rinnovo dei voti temporanei delle consacrate dell’Istituto secolare Maria Madre Della Redenzione, ha fatto sentire il suo accorato appello, in una chiesa strapiena di fedeli, proprio su questo passo del vangelo. Ha chiesto ai presenti, con una omelia vibrante e saggiamente articolata, di non essere mai vittime di una qualsiasi forma di ricchezza personale. La vita, ha sottolineato con dolcezza e autorità, è nelle mani di Dio, non ci appartiene, ma è strumento di salvezza e di redenzione personale e per quanti vivono in comunione.
Non bisogna però cadere nell’avidità dei beni materiali, come se si dovesse rimanere in vita per l’eternità. S.E. ha chiesto, con amore paterno, più umiltà, preghiera, carità verso il prossimo dimenticato. Parlando di santità ha voluto poi precisare che essa non appartiene ad una categoria umana specifica o privilegiata, ma che anzi spesso risplende nella vita di chi è considerato nella società uno scarto o un essere insignificante.
Da cristiani non dovremmo mai dimenticare che molti dei nostri comportamenti sbagliati, delle afflizioni subite, dei guai accumulati, delle ingiustizie subite, sono il prodotto di una visione sbagliata della vita, proiettata solo al cuore pulsante delle tante dinamiche terrene. È chiaro che su questa strada sarà sempre difficile per noi rispondere alla chiamata, che ci vuole cantori delle grandi opere di Dio.
Proprio con il Salmista ognuno di noi dovrebbe narrare quanto il Signore ha fatto per lui e gridare le sue meraviglie, senza vergognarsi o arrossire. Se scappiamo da questa missione, perdendo o camuffando la nostra fede, come di solito accade, diventiamo responsabili, in prima persona, del lento cammino del progresso umano, privandolo di un necessario nuovo umanesimo, come scriveva alcuni giorni addietro, proprio S.E. Bertolone.
Ma quali sono i risultati che la comunità dovrebbe aspettarsi, quando l’uomo spegne il suo cuore e si affida ad un relativismo accomodante e fuorviante? Rispondo con delle parole del teologo Mons. Costantino di Bruno, che tracciano un quadro chiaro e preoccupante: “Quando non si hanno occhi di fede, la storia manca della voce della sua salvezza. Gli altri possono anche intuire qualcosa, possono anche pensare a qualcosa di grande, ma si tratta di pensiero, immaginazione, fantasia, mancano però della verità. Il pensiero non crea vera speranza e neanche la creano la fantasia e l’immaginazione”.
Il sacerdote registra con sofferenza che oggi gli eventi più grandi che Dio sta compiendo per noi sono tutti sigillati, sotto silenzio perenne. Il cristiano, di riflesso, nato per essere voce di Dio e raccontare i suoi splendori, è divenuto muto.Se ci guardiamo intorno si accorgeremo subito, nonostante i buoni propositi e le smentite ufficiali, che il credente cristiano spesse volte presta la sua voce, invece che a Dio, all’immoralità, alle fantasie, alla criminalità, allo spettacolo indecente e superficiale, alle guerre, alla superstizione, all’idolatria, alla magia, alla scienza falsa e ingannevole, alla politica prepotente e priva di ogni equilibrio, agli scandali. Si presta la voce a Satana e si rimane muti, anche se il Signore ha bisogno delle nostre parole per salvare il prossimo!
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