Un provvedimento molto severo contro i sacerdoti e i religiosi caldei fuggiti dall’Iraq, senza il consenso dei superiori, è arrivato ieri dal patriarca caldeo di Babilonia, Louis Raphael Sako.
Attraverso un decreto, il patriarca ha rammentato che “prima di essere ordinato, il sacerdote promette di offrire tutta la sua vita a Dio e alla Chiesa” e che tale offerta “poggia sull’obbedienza ai Superiori senza alcuna riserva”, mentre per i religiosi si aggiungono i voti “assoluti” della “castità”, dell’“obbedienza” e della “povertà”..
Nel Decreto patriarcale, diffuso in Occidente dall’agenzia Fides, Sako cita alcuni “esempi luminosi” di sacerdoti che, ai nostri giorni, ci stanno dando “eloquenti lezioni di fede”: tra questi i sacerdoti Hana Qasha e Ragheed Ganni, e il vescovo Paulus Faraj Rahho, vittime della guerra e della violenza fondamentalista, e altri presbiteri rapiti nelle medesime circostanze o “quelli che, dopo essere stati cacciati dalle proprie case, hanno seguito i loro fedeli, condividendone la condizione di profughi”.
In conformità con il diritto canonico e con le regole per la vita religiosa, il Decreto ha quindi sospeso dalla pratica del ministero sacerdotale sei monaci e sei sacerdoti diocesani fuggiti dall’Iraq, senza il consenso dei superiori, per assumere incarichi presso le comunità caldee della diaspora.
Le sanzioni contro i sacerdoti e religiosi ‘fuggiaschi’ della Chiesa Caldea sono arrivate a seguito di “numerosi e purtroppo sterili ultimatum e tentativi” di mettere fine al fenomeno e sono state precedute dalle consultazioni del patriarca Sako con il Sinodo permanente della Chiesa Caldea e con la Congregazione delle Chiese orientali.