“Giovanni XXIII: una vita segnata da san Francesco”. Questo il titolo e il tema della conferenza svoltasi lo scorso sabato 11 ottobre presso l’aula Sant’Antonio della Pontificia Università Antonianum, organizzato dall’Ordine Francescano Secolare, con l’adesione dell’Istituto Francescano di Spiritualità, il Centro Studi “San Carlo da Sezze” e il Centro Culturale Aracoeli.
Ospite d’onore è stato Marco Roncalli, pronipote del Pontefice e presidente della Fondazione “Papa Giovanni XXIII” in Bergamo, studioso di storia della Chiesa e cultura del Novecento. Roncalli ha innanzitutto evidenziato che l’obbedienza fu un aspetto importante per Roncalli, tanto che attingendo da Cesare Baronio, la volle inserita nel suo motto episcopale, ossia Oboedientia et Pax; in questo si riflette anche l’importanza che ebbe nella sua spiritualità l’Imitazione di Cristo attribuita a Tommaso da Kempis.
Similmente la povertà fu una virtù che visse fin dall’ambiente familiare caratterizzato dal lavoro faticoso dei campi in cui spesso le feste religiose erano gli unici momenti di riposo, che egli stesso si trovò a condividere a lungo con i suoi durante le vacanze del decennio in cui fu in nunziuatura in Bulgaria che tornava al suo paese natio trattenedosi fino alla festa di San Francesco, nel convento dei Frati Minori di Baccanello, un conventino a pochi chilometri da Sotto il Monte, dove quattordicenne fu “ascritto regolarmente” al Terz’Ordine di San Francesco. Spesso si ritrovò a vivere nella “penuria”, come nei dieci anni di nunziatura in Bulgaria e quando fu Patriarca di Venezia (come la mancanza di riscaldamento nei rigidi inverni in laguna) e da Papa volle morire, com’era vissuto, da povero.
Il “Testamento spirituale” di Giovanni Giuseppe Roncalli impressiona sull’aspetto della propria povertà, compagna inseparabile vissuta più in nome dell’obbedienza che per scelta: «Nato povero, ma da onorata e umile gente, sono particolarmente lieto di morire povero, avendo distribuito secondo le varie esigenze e circostanze della mia vita semplice e modesta, a servizio dei poveri e della santa Chiesa che mi ha nutrito, quanto mi venne fra mano – in misura assai limitata del resto – durante gli anni del mio sacerdozio e del mio episcopato. Apparenze di agiatezza velarono talora, anzi sovente, nascoste spine di affliggente povertà e mi impedirono di dare sempre con la larghezza che avrei voluto. Ringrazio Iddio di questa grazia della povertà di cui feci voto nella mia giovinezza, povertà di spirito, come prete del Sacro Cuore, e povertà reale; e che mi sorresse a non chiedere mai nulla, né posti, né danari, né favori, mai, né per me, né per i miei parenti o amici».
Non ultimo fu il tema della pace che apprezzò nelle varie traversie vissute, soprattutto negli anni di permanenza in Bulgaria e Turchia; ad essa dedicò la sua ultima enciclica, quasi un lascito testamentario, ossia la Pacem in terris, cui lo stesso Marco Rocalli – nella scia dell’attuale centenario della Prima Guerra Mondiale – ha dedicato un suo lavoro pubblicato da Cantagalli.
Alla morte di Angelo Roncalli fu allora naturalmente immediato l’affidare ai frati Minori la Causa di postulazione, a partire da gran parte del lavoro fatto p. Antonio Cairolo, cui seguì p. Luis Fondera, p. Luca De Rosa ed infine p. Giovanni Giuseppe Califano. La stessa letteratura storica ed agiografica del tempo lo indicavano quale colui che più di altri ha richiamato nella sua vita il Poverello d’Assisi.
Quando divenne papa assumendo il nome pontificio di Giovanni XXIII ebbe modo di esprimere tale legame con il francescanesimo in diversi modi. Innanzitutto fu contento che la sua prima canonizzazione riguardò il semplice frate Carlo da Sezze il 12 aprile 1959. E proprio alcuni giorni dopo incontrando i frati Minori in occasione del 750° anniversario dell’approvazione della Regola francescana comunicò la propria esperienza personale: «Diletti figli! Lasciateci aggiungere una speciale parola del cuore a quanti qui presenti appartengono all’esercito pacifico dei Terziari laicali di San Francesco. Ego sum Ioseph, frater vester. Con tenerezza amiamo dirvelo. Lo siamo da quando giovanetto quattordicenne appena, il 1 marzo 1896, vi fummo ascritti regolarmente, per il ministero del Canonico Luigi Isacchi, Nostro Padre Spirituale, quale Direttore che egli era nel Seminario di Bergamo: ed amiamo benedire il Signore per questa grazia che ci accordò con felice sincronia coll’atto di iniziarci, giusto in quell’anno, e in quei mesi, alla vita ecclesiastica con la Sacra Tonsura».
«Gli occhi Nostri per altro, sino dall’infanzia, furono familiari alla visione più semplice del conventino regolare dei Frati Minori di Baccanello, che nella distesa campagna Lombarda, dove eravamo nati e cresciuti, era la prima costruzione tutta religiosa che incontravamo: chiesa, modesto romitorio, campanile, e, intorno intorno, umili fratelli che si spandevano fra i campi e i modesti casolari per la cerca, diffondendo quell’aria di semplicità tutta ingenua, che rendeva così simpatico San Francesco e i figli suoi. Ci sia concesso di dire che dopo un lungo curriculum per le vie del mondo, e avendo accostato tante nobilissime produzioni di quello spirito presso uomini dotti, illustri e santi, che onorarono gli Ordini Francescani e la Chiesa di Cristo nel nome del Padre Serafico di Assisi, niente fu mai così dolce e delizioso alla Nostra anima, come il tornare a Baccanello, a quella innocenza, a quella mitezza, a quella santa poesia della vita cristiana, maturata nel sacerdozio, e nel servizio della Santa Chiesa e delle anime».
Altra componente francescana fu la lettura, fino agli ultimi momenti della sua vita dell’opera Fuoco d’amore del cappuccino Tommaso Acerbis d’Olera beatificato nel 2013. Nella discussione finale alla domanda se anche l’osservanza del Vangelo alla lettera fosse un aspetto che accomuna l’Assisiate con papa Roncalli è stato osservato che in realtà, come hanno evidenziato soprattutto gli studi di André Vauchez, Francesco d’Assisi volle un’osservanza “spiritualmente letterale” della Scrittura. Proprio questo aspetto, che distanzia e preserva da diverse forme di integralismo, ha una certa assonanza con quanto il giovane Roncalli intuì e scrisse in una famosa nota del 16 gennaio 1903: «A forza di toccarlo con mano mi sono convinto di una cosa: come cioè sia falso il concetto che della santità applicato a me stesso io mi sono formato. Nelle mie singole azioni nelle piccole mancanze subito avvertite richiamavo alla mente l’immagine di qualche santo cui mi proponevo d’imitare in tutte le cose minute, come un pittore copia esattamente un quadro di Raffaello. Dicevo sempre, se S. Luigi in questo caso farebbe così e così, non farebbe questo o quell’altro ecc. Avveniva però che io non arrivavo mai a raggiungere quanto mi ero immaginato di poter fare e m’inquietavo. È un sistema sbagliato. Della virtù dei Santi io devo prendere la sostanza e non gli accidenti. Io non sono S. Luigi, né devo santificarmi proprio come ha fatto lui, ma come lo comporta il mio essere diverso, il mio carattere, le mie differenti condizioni. Non devo essere la riproduzione magra e stecchita di un tipo magari perfettissimo. Dio vuole che seguendo gli esempi dei santi ne assorbiamo il succo vitale della virtù, convertendolo nel nostro sangue ed adattandolo alle nostre singole attitudini e speciali circostanze».
Concludendo è stato fatto notare che forse proprio in questa continua attenzione alla dialettica lettera-spirito, storia-salvezza si pone l’accento francescano di papa Giovanni, anche se molto resta ancora da studiare soprattutto su quali furono i testi mediante i quali Roncalli conobbe la figura di san Francesco, quali attendibilmente possono essere quelli di Sabatier e Maria Sticco. Riguardo quest’ultimo testo, in una lettera ad un amico cui ne regalò copia ebbe a scrivere in dedica: «Il Fran
cesco d’Assisi ti dirà sempre qualcosa di me e io sarò felice di essere inteso da te». C’è da compiere molta opera di scavo riguardo ad Angelo Roncalli, soprattutto in merito alla sua vocazione francescana e la presenza dei francescani nel lungo percorso della sua vita.
L’intervento di Marco Roncalli, dopo aver rilevato le contiguità di san Francesco e gli elementi di spiritualità francescana in Angelo Giuseppe Roncalli e quanto l’elemento francescano sia stato continuativamente presente nei suoi atti di uomo, seminarista e sacerdote, di nunzio apostolico, vescovo e pontefice, è stato un intervento sostanzialmente interculotorio – trovandosi in un’Università francescana – nel tracciare e proprorre agli studi quali potrebbero essere i percorsi di approfondimento tra Giovanni XXIII, san Francesco, i francescani da lui conosciuti e gli elementi francescani della sua spiritualità, tra l’altro anpiamente presenti nel “Giornale dell’anima”, anche in collaborazione con la Fondazione da lui stesso diretta.