Una grande festa ha animato stamattina piazza San Pietro. Al termine dell’Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi sul tema Le sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione, è stata celebrata la beatificazione del pontefice che, al termine del Concilio Vaticano II, ideò l’istituzione sinodale: Paolo VI.
La totalità dei padri sinodali, composta da cardinali, vescovi, arcivescovi, patriarchi e presbiteri, hanno concelebrato la messa presieduta da papa Francesco. Per l’occasione, come già avvenuto per le canonizzazioni di Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII, il pontefice regnante ha avuto al suo fianco il papa emerito Benedetto XVI.
Delle migliaia di fedeli presenti in piazza San Pietro, circa 5300 provenivano dalla diocesi di Brescia, che diede i natali a Giovanni Battista Montini. La memoria liturgica del beato Paolo VI è stata fissata al 26 settembre, giorno di nascita del pontefice bresciano (1897-1978).
Durante l’omelia, il Santo Padre si è soffermato sulla novità che irrompe nella storia nella figura di Gesù Cristo, Figlio di Dio, alla luce delle “sfide nuove” dei nostri tempi, alle quali strumenti come il Sinodo sono chiamati a rispondere.
Nel Vangelo di oggi, con una “frase ironica e geniale”, Gesù risponde ai farisei di rendere “a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” (Mt 22,21). “È una risposta ad effetto – ha spiegato il Papa – che il Signore consegna a tutti coloro che si pongono problemi di coscienza, soprattutto quando entrano in gioco le loro convenienze, le loro ricchezze, il loro prestigio, il loro potere e la loro fama. E questo succede in ogni tempo, da sempre”.
Di fronte a qualunque tipo di potere, “Dio solo è il Signore dell’uomo e non c’è alcun altro – ha proseguito il Pontefice -. Questa è la novità perenne da riscoprire ogni giorno, vincendo il timore che spesso proviamo di fronte alle sorprese di Dio”.
Dio, quindi, “non ha paura delle novità” e “continuamente ci sorprende, aprendoci e conducendoci a vie impensate”, ha aggiunto Francesco. “«Dare a Dio quello che è di Dio» – ha detto – significa aprirsi alla Sua volontà e dedicare a Lui la nostra vita e cooperare al suo Regno di misericordia, di amore e di pace”.
È in Dio che risiede “la nostra vera forza, il fermento che la fa lievitare e il sale che dà sapore ad ogni sforzo umano contro il pessimismo prevalente che ci propone il mondo”.
La nostra “speranza in Dio” non risiede in una “fuga dalla realtà” ma piuttosto nel restituirGli “operosamente quello che Gli appartiene”, guardare alla “realtà futura” di Dio, “con i piedi per terra e “rispondere, con coraggio alle innumerevoli sfide nuove”.
Un dimostrazione di tutto questo è stata l’assemblea sinodale appena conclusa, con cui “pastori e laici di ogni parte del mondo hanno portato qui a Roma la voce delle loro Chiese particolari per aiutare le famiglie di oggi a camminare sulla via del Vangelo, con lo sguardo fisso su Gesù”.
Attraverso il Sinodo, ha spiegato il Santo Padre, “abbiamo vissuto la sinodalità e la collegialità, e abbiamo sentito la forza dello Spirito Santo che guida e rinnova sempre la Chiesa chiamata, senza indugio, a prendersi cura delle ferite che sanguinano e a riaccendere la speranza per tanta gente senza speranza”.
Ringraziando Dio, per questa “grande esperienza”, il Papa ha chiesto l’intercessione dello Spirito Santo, affinché “accompagni ancora il cammino che, nelle Chiese di tutta la terra, ci prepara al Sinodo Ordinario dei Vescovi del prossimo ottobre 2015”.
Parlando di Paolo VI, il suo successore ha menzionato in primo luogo le parole con cui il nuovo beato istituiva il Sinodo dei Vescovi: «scrutando attentamente i segni dei tempi, cerchiamo di adattare le vie ed i metodi … alle accresciute necessità dei nostri giorni ed alle mutate condizioni della società» (Lett. ap. Motu proprio Apostolica sollicitudo).
Definito da Bergoglio un “coraggioso cristiano” e un “infaticabile apostolo”, Montini è un papa degno della gratitudine del popolo di Dio per la sua “umile e profetica testimonianza di amore a Cristo e alla sua Chiesa”.
Paolo VI, ha ricordato ancora Francesco, affermò anche di essere stato probabilmente chiamato dal Signore al suo servizio di pontefice “non tanto perché io vi abbia qualche attitudine, o affinché io governi e salvi la Chiesa dalle sue presenti difficoltà, ma perché io soffra qualche cosa per la Chiesa, e sia chiaro che Egli, e non altri, la guida e la salva”.
Una “umiltà” in cui “risplende la grandezza del Beato Paolo VI che, mentre si profilava una società secolarizzata e ostile, ha saputo condurre con saggezza lungimirante – e talvolta in solitudine – il timone della barca di Pietro senza perdere mai la gioia e la fiducia nel Signore”, ha quindi concluso papa Francesco.