Una prima tappa cruciale la “Relatio post disceptationem” per il Sinodo 2014. Tant’è che la Sala Stampa vaticana era “affollata” oggi per la Conferenza di presentazione del documento che raccoglie e sintetizza i numerosi interventi della prima settimana di lavori.
Una Relatio “molto ampia, sostanziale, che ha dato il senso che siamo in un cammino che continua”, ha sottolineato padre Federico Lombardi. Una Relatio frutto di un lavoro “eroico” – come ha evidenziato il cardinale Luis Antonio Tagle - da parte del cardinale Erdo, Relatore generale dell’assise, del segretario speciale mons. Bruno Forte e del team di esperti.
È stato “uno sforzo enorme”, infatti, mettere a punto “in poche pagine” la ricchezza degli spunti emersi nelle dieci Congregazioni generali, ha spiegato l’arcivescovo di Manila. Un impegno che, oltre a costituire una base per i lavoro dei Circuli minores avviati venerdì, rappresenta “una sorta di specchio nel quale noi partecipanti possiamo guardarci dentro mentre discutiamo ciò che abbiamo raggiunto in questo lungo viaggio”.
La Relatio post disceptationem tuttavia non si può considerare un documento finale definitivo, bensì un atto “provvisorio” che dice “dove siamo arrivati finora” e ciò che i partecipanti al Sinodo “devono ancora approfondire”. “Work in progress” ha esclamato il cardinale. Espressione ripresa da mons. Forte, il quale, nel suo intervento, ha definito la relazione come un “grande esercizio di sinodalità”, rispettoso delle indicazioni fornite dal Papa in apertura all’assemblea: parlare in totale libertà, ascoltare l’altro.
Soprattutto, ha affermato il vescovo, bisogna avere “la pazienza di camminare insieme”, perché, oltre alla “sinodalità spaziale” che tiene conto di culture e linguaggi delle diverse parti del mondo, esiste una “sinodalità temporale”, e cioè “che le cose soprattutto se difficili non si risolvono in un momento ma bisogna maturare”. “Dobbiamo crescere tutti, noi vescovi in modo particolare”, ha detto il presule con ironia. Ed è possibile farlo ascoltando tutti, sia fuori che dentro la Chiesa, in virtù dello spirito del Concilio Vaticano II.
Diversi Padri, infatti, ha riferito Forte, dopo la lettura della Relatio da parte del cardinale Erdo, hanno esclamato: “Sembra di ascoltare lo spirito della Gaudium et Spes!”.
Perché se una cosa è emersa in questo Sinodo è che la Chiesa non vuole porsi come “dirimpettaia” delle gioie e sofferenze degli uomini e le donne del nostro tempo, ma vi si vuole porre accanto. Tantomeno si vogliono “tagliare le cose con l’accetta”, ha detto mons. Forte. È certamente valida la logica evangelica “del vostro parlare sia ‘sì sì, no no’”, ma prima “bisogna capire”. “La logica vincente non è il tutto o niente, ma la pazienza del divenire, l’attenzione alle sfumature e alle diversità”, ha rimarcato l’arcivescovo di Chieti-Vasto. Il rischio è infatti di “giudicare le persone senza capirle o accoglierle”.
Primo compito del Sinodo è stato dunque “ascoltare”, ha affermato il cardinale Ricardo Ezzati: ascoltare le varie realtà di oggi, che sono le stesse in America Latina, come in Africa, Asia ed Europa. “Tutti stiamo assistendo ad un cambiamento culturale profondo che influisce sulla vita della Chiesa”, ha detto il porporato.
Nonostante le diversità di posizioni, i Padri Sinodali hanno cercato quindi di sintonizzarsi su una rete comune: “un grande cuore di misericordia” per comprendere “le cose belle e difficili che vivono le famiglie oggi” e ricercare linee pastorali che mostrino la vicinanza della Chiesa a tali realtà concrete. “È un Sinodo che si commuove – ha concluso Ezzati - che cerca strade, vie, che esprime meglio quello che la Chiesa sente quando essa stessa diventa discepola di Gesù nel seguire l’umanità”.
Rispondendo alle domande dei giornalisti i prelati hanno infine riscontrato che i temi che hanno suscitato maggiore dibattito durante il Sinodo, sono stati quelli legati all’impatto della povertà sulle famiglie. Oltre a questo, ha dichiarato il card. Tagle, è urgente rispondere “alle grida dei bambini” dei profughi di guerra con una cura pastorale adeguata; per non parlare delle situazioni di migrazioni forzate che comportano la separazione dei coniugi e la disgregazione delle famiglie.
Nell’affrontare ogni problematica i padri sinodali hanno condiviso la necessità di “parlare un linguaggio comune”, lasciando un po’ da parte quella “terminologia che non è capita dalla maggior parte degli uomini” senza però “rinunciare al contenuto”, valorizzando la lingua di umanità condivisa.
Ribadendo che la parola ‘matrimonio’ non possa che rimandare all’unione tra un uomo e una donna, e che il ruolo del padre e della madre è fondamentale per l’educazione dei bambini, il card. Erdo ha affermato che “l’entità della persona non è determinata dalla tendenza sessuale: la ricchezza delle doti delle persona è un’altra”, ma quando si parla dell’educazione del bambino il ruolo primario di educatori “spetta al padre e alla madre”.
Riguardo alla questione dei divorziati e risposati continua ad essere importante la benedizione dei sacerdoti, a conclusione della messa, su coloro che non possono partecipare ai sacramenti. La direzione è quella di una pastorale che vada incontro ad ogni singolo caso, attraverso il suo inserimento in un cammino penitenziale: questo dovrebbe consistere “nella presa di coscienza dei propri limiti” e nell’essere predisposti “all’ascolto della parola di Dio”. “Tale discernimento non può riferirsi alla sconfitta del matrimonio passato, ma anche alla condizione di vita attuale sotto l’aspetto del Vangelo”, ha aggiunto il porporato.
Sarà poi fondamentale continuare ad approfondire il dibattito in modo non rigidamente “schematico”, tenendo presente che “le possibilità che già vengono offerte dalla teologia e dal diritto si incontrano con le proposte di novità”.
“Le decisioni più importanti”, inoltre, “ non vengono prese durante le sessioni ma durante le intersessioni”, ha ricordato mons. Forte, “stando i vescovi accanto alla gente, facendo tesoro della realtà e del parere degli esperti”. Per questo è auspicabile un forte supporto da parte di laici che siano protagonisti a testa alta, non di laici “più clericali dei preti”. I laici devono aiutare la Chiesa a “crescere verso la pienezza della verità”, infatti “sono le coppie di sposi ad essere i primi esperti” di famiglia.