Dall'Evangelii Nuntiandi all'Evangelii Gaudium

Invito alla lettura del più recente libro di mons. Lorenzo Leuzzi

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1. Da Paolo VI a Papa Francesco, dalla Evangelii Nuntiandi alla Evangelii Gaudium e al Discorso del Santo Padre Francesco in occasione del Convegno Diocesano di Roma del 16 giugno scorso: è questo l’itinerartio fascinoso percorso da Mons. Lorenzo Leuzzi nelle 130 pagine – e nei due capitoli, con introduzione, conclusione e appendice – di questo aureo libretto.

E’ importante il sottotitolo: “Il coraggio della modernità”.

Ma io – se mi è consentito – vorrei affiancargli un secondo sottotitolo, che per alcuni versi mi è più congeniale, ed è questo: “Una teologia della testimonianza, che cresce nella Chiesa del Postconcilio”.

In realtà, proprio di questo vorrei parlare. Certo, ci sono altri fili rossi importanti, individuati dall’Autore stesso nel corso della sua riflessione.

Ma questo filo – quello che riguarda la cosiddetta “testimonianza” – pare a me il legame più robusto tra le due Esortazioni Apostoliche citate nel titolo del libro.

Di fatto, il “realismo della fede”, il faciendum, l’immensa simpatia per il mondo, l’immersione nella storia, la dilatazione della misericordia, il superamento dell’“orfananza” e della “religione sacrale”…: tutto questo passa attraverso l’attuazione piena delle parole-testamento di Gesù, poco prima che egli salisse al cielo. “Eritis mihi testes” (Atti 1,8), disse allora il Maestro: cioè voi, miei discepoli, sarete i miei testimoni nella storia che continua, e in  un mondo dal quale – per certi aspetti – io mi ritiro.

2. In buona sostanza, mi limiterò a rispondere, semplicemente e brevemente – dato lo scarso tempo a disposizione –, a una domanda fondamentale, apparentemente ingenua, eppure ineludibile: Di che cosa ha bisogno oggi la Chiesa – dentro alla storia; anzi nella modernità della storia –; di che cosa ha bisogno la Chiesa per orientare  persone e società nel cammino della salvezza?

La Chiesa deve anzitutto rimanere se stessa, fedele al comando del Signore, il quale non cessa di ripetere: “Andate, e fate discepoli tutti i popoli!” (Matteo 28,19). Così il dovere fondamentale della Chiesa è l’evangelizzazione, cioè la diffusione del Vangelo. Diciamolo con le parole stesse di Paolo VI nella Evangelii Nuntiandi: “Evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare…” (n. 14).

I contenuti dell’evangelizzazione sono sempre gli stessi, lungo i secoli e i millenni della Chiesa. Ma l’evangelizzazione deve costantemente rinnovarsi nelle sue forme, in rapporto alle sfide del momento presente e ai mutevoli scenari sociali, culturali, economici e religiosi. Si tratta di un’evangelizzazioneantica, e pur sempre nuova nel suo ardore, nei suoi metodi, nelle sue espressioni, come ripeteva spesso il santo Papa Giovanni Paolo II.

3. Ma oggi, forse più di ieri, la gente è sensibile alla testimonianza personale di chi evangelizza. Il “predicare bene, e razzolare male” è una contraddizione insopportabile.

Negli anni del Postconcilio, diciamo da Paolo VI in poi, si è sviluppata una vera e propria “teologia della testimonianza”. Quasi tutti conoscono una frase, giustamente famosa, di Papa Montini, rifluita poi nella Evangelii Nuntiandi. Essa  dice più o meno così:“Gli uomini e le donne di oggi ascoltano più volentieri i testimoni che i maestri, o – se ascoltano i maestri – lo fanno perché sono dei testimoni”.

Ma sono pochi a sapere quando questa frase venne pronunciata per la prima volta. Paolo VI la pronunciò sull’onda di una forte emozione. Era venuto a trovarlo il rappresentante del Laos, un Paese esposto in quegli anni a molte attenzioni interessate delle superpotenze. Il rappresentante era un monaco buddista. Il bonzo si presentò con la testa tutta rasata, avvolto nel saio tradizionale. Narrò al Papa la situazione del suo paese. “Santità”, gli disse, “vengono da noi gli americani, e ci propongono le tecnologie più avanzate; vengono i russi, e ci propongono le armi; vengono i tedeschi, e ci propongono i soldi… Ma se voi, Santità”, e qui il monaco scosse la sua bella testa pensosa, “se voi ci mandaste un Francesco d’Assisi, noi ci convertiremmo tutti!”.

Paolo VI rimase profondamente scosso da questa testimonianza – così mi ha raccontato il segretario particolare, mons. Pasquale Macchi –; e uscendo dall’udienza mormorò per la prima volta quella frase famosa.

Un Francesco d’Assisi converte tutti. Un vero testimone di Cristo cambia il mondo. Torna alla mente la testimonianza di Gandhi. Un giorno sir Stanley Jones – quel giornalista, che di fatto trasmise all’Occidente l’immagine di Gandhi – gli si fece vicino, e gli chiese, così, sui due piedi: “Mahatma, dimmi una parola, che io la porti al mondo!”. Il mahatma lo guardò, e dopo un lungo silenzio gli rispose imbarazzato: “Ma… Ma io non ho una parola da dire; la mia vita è la mia parola…”.

Questa stessa sensibilità ha spinto Giovanni Paolo II, durante l’anno del grande giubileo, alla celebre “richiesta di perdono” da parte della Chiesa. Il santo Papa era persuaso che la Chiesa dovesse presentarsi al traguardo del terzo millennio con un volto rinnovato, più credibile, più “testimoniante”.

Papa Francesco sta camminando sulla medesima strada. L’esperienza latino-americana gli dice che la teologia della liberazione è una pagina in buona parte superata. Oggi la vera sfida sono le sette, con la loro forte capacità di presa sui giovani. Riescono a trasmettere un’impressione di entusiasmo, mentre spesso il nostro modo di testimoniare la fede appare opaco e senza slancio.

Non bisogna dimenticare che molte volte i figli delle tenebre sono assai più scaltri dei figli della luce. Alcuni giovani in gamba si trovano “affiliati” a una setta senza quasi rendersene conto: una parolina qui, un invito là, la partecipazione una sera…, e l’affare è fatto. Occorre sorvegliare e promuovere le esperienze dei giovani. Soprattutto, è necessario che la nuova evangelizzazione ritrovi tutta la forza di una testimonianza autentica e coerente.

Anche la robusta istanza di onestà e di trasparenza, che accompagna i passi della riforma della Curia avviata da papa Francesco (Ior, e simili…), corrisponde precisamente a questo scopo.

4. Concludo con un paio di citazioni di Papa Francesco, molto care a Mons. Leuzzi.

La prima proviene dalla Evangelii Gaudium, là dove sono indicate le più frequenti tentazioni degli operatori pastorali. Molte volte, scrive il Papa, questi operatori confondono la vita spirituale, cioè l’autentica vita di fede, “con alcuni momenti religiosi che offrono un certo sollievo, ma che non alimentano l’incontro con gli altri, l’impegno nel mondo, la passione per l’evangelizzazione” (n. 78).

La seconda citazione la ricavo invece dal Discorso del Papa ai partecipanti al Convegno diocesano di Roma, riportato nell’appendice del nostro libro: “Dobbiamo avere il cuore di Gesù”, ci raccomanda Papa Francesco. “A me piace sognare una Chiesa che viva la compassione di Gesù. Compassione è ‘patire con’, sentire quello che sentono gli altri, accompagnare nei sentimenti. E’ la Chiesa madre, come una madre che carezza i suoi figli con la compassione. Una Chiesa che abbia un cuore senza confini, ma non solo il cuore: anche lo sguardo, la dolcezza dello sguardo di Gesù, che spesso è più eloquente di tante parole…” (p. 125).

In definitiva, Papa Francesco non si stanca di declinare la categoria teologica della “testimonianza”, tesoro prezioso ereditato dalla Evangelii Nuntiandi, e la declina proprio all’insegna del “coraggio della modernità”.

Siamo grati a Mons. Leuzzi, perché con le sue riflessioni articolate ha caricato di rilevanza ulteriore questo itinerario caratteristico del magistero e della teologia  dopo il Concilio. 

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Enrico dal Covolo

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