“Il 9 ottobre 2012 i talebani mi hanno sparato… Pensavano che le pallottole ci avrebbero ridotto al silenzio. Ma hanno fallito. Da quel silenzio sono uscite migliaia di voci. I terroristi hanno pensato che avrebbero cambiato i nostri obiettivi e fermato le nostre ambizioni. Ma niente è cambiato nella mia vita, a eccezione della debolezza, della paura, dello scoramento, che sono svaniti. Sostituiti da forza, potenza, coraggio. Io sono la stessa Malala. Le mie ambizioni sono uguali. Le mie speranze sono uguali. I miei sogni sono uguali.”
Questo è uno stralcio del discorso che Malala Yousafzai ha tenuto alle Nazioni Unite il 12 luglio 2013, giorno del suo sedicesimo compleanno. Ieri ho gioito molto alla notizia del conferimento a lei del premio Nobel per la Pace. “Voglio un’istruzione per i figli e le figlie dei talebani e di tutti i terroristi e gli estremisti. Non odio nemmeno il talebano che mi ha sparato.”
Perdona, Malala, e ricorda Padre Puglisi che sorrise al suo uccisore. E lo ricorda soprattutto perché Puglisi, come lei, lottava perché i bambini potessero andare a scuola ed è stato ucciso dalla mafia proprio perché le toglieva la manovalanza, chiamando a sé i giovani. Malala Yousafzai è la ragazza pakistana, di cultura Pashtun, che, nata nello Swat, zona di confine del suo Paese, è stata sparata dai talebani perché attivista per i diritti delle donne, in particolare per il diritto delle bambine all’istruzione.
C’è una frase di Padre Puglisi che egli ripetè più volte quando ancora non si era riusciti a far sorgere la Scuola Media nel quartiere di Brancaccio, che fu realizzata, paradossalmente, dopo il suo omicidio. Diceva don Puglisi: “A qualcuno fa comodo che l’ignoranza continui perché con l’ignoranza continua l’illegalità.”
E l’indimenticabile don Lorenzo Milani scriveva: “Il fine ultimo della scuola è dedicarsi al prossimo … è di intendere gli altri e di farsi intendere… la scuola è l’unica differenza tra l’uomo e gli animali. Il maestro dà al ragazzo tutto quello che crede, ama, spera. Il ragazzo crescendo ci aggiunge qualcosa e così l’umanità va avanti.”
In Pakistan, dove i talebani rappresentano ancora una minaccia in molte regioni, gli edifici scolastici continuano a saltare in aria e il desiderio di studiare spesso si paga con la vita. Recentemente un terrorista kamikaze si è fatto esplodere in un autobus pieno di ragazzine dirette in una scuola femminile. Quattordici di loro sono rimaste uccise. Ed è solo un episodio di una lunga lista. Ma il tentativo di spegnere la voce di Malala si è rivelato per i talebani un vero colpo ritortosi contro loro stessi.
E poiché credo che “Lo Spirito soffia dove vuole” trovo che facciano proprio al caso di Malala, anche se scritte per don Puglisi, le parole di mons. Vincenzo Bertolone, Arcivescovo Metropolita di Catanzaro-Squillace, Postulatore della Causa di Beatificazione di Padre Puglisi, scritte alla fine dell’introduzione al suo libro Padre Pino Puglisi – Profeta e martire – Beato: “Chi lo ha ucciso pensava di eliminare per sempre un falco, uno sparviero che infastidiva gli uomini e le donne di mafia. Invece era una colomba, segno e messaggero di pace… Egli è stato parte di un disegno divino, coautore di un libro scritto con l’inchiostro indelebile dell’eternità.”
Da insegnante, da anni referente nelle scuole con progetti sul rispetto dei diritti delle donne ogni giorno rifletto con alunni e alunne sulla bellezza della scuola che i ragazzi, forse anche per colpa di noi adulti, non sempre amano. E se le donne del Medio Oriente troppo spesso vedono lesi i loro diritti, rifletto con loro sull’immagine e il ruolo che hanno le donne in Italia. Mi piace citare loro Hannah Arendt, filosofa che amo particolarmente, che parlava della “politeia perduta”, e Luce Irigaray che scrive “La prima democrazia comincia a due”, cioè tra uomo e donna: occorre in Italia uno spazio politico, sociale e professionale, ma anche ecclesiale, come ripete Papa Francesco, nuovo, per le donne.
Ci accorgiamo rammaricati che, nonostante anni di lotte femministe, oggi i nostri mass media conducono ad una deriva insensata in cui pullulano veline e letterine, donne-oggetto, specie nelle pubblicità, donne-immagine, donne-ornamento. E’ l’uso del corpo femminile come abbellimento estetico a una parola che resta pur sempre quella dell’uomo e che veicola la concezione stereotipata che la bellezza in primo luogo, e non le qualità intellettuali, rappresentino l’eccellenza.
Se questo accade, se tante giovani donne puntano troppo sul proprio corpo e sull’esteriorità, forse è mancato qualcosa. Forse è mancata quella trasformazione culturale che solo l’educazione scolastica può avviare: occorre allora che sia proprio la scuola a mobilitarsi, contrapponendosi all’immagine degradante con cui le donne sono rappresentate e proponendo modelli di femminilità che assurgano a punti di riferimento per le nuove generazioni.
Per le nostre ragazze, in particolare, significherà assumere un’identità determinata dalla presenza di un simbolico, di una tradizione che contempla finalmente una genealogia femminile significativa e culturalmente fondante, modelli di riferimento in cui potersi rispecchiare con pienezza e mettere salde radici. E mi accorgo, gratificata dal riscontro che i miei alunni mi consegnano, di quanto i giovani abbiano sete di adulti che sappiano offrire stimoli atti a sviluppare un pieno concetto di autostima e valorizzazione di sé e, allo stesso tempo, la possibilità di crescere in modo più equilibrato attraverso il confronto costante con modelli anche interculturali e religiosi, come Malala, don Puglisi, don Milani, patrimonio educativo dell’intera umanità.