Fu il Papa che tenne unita la Chiesa

Paolo VI raccontato da Andrea Tornielli in un incontro organizzato a Milano dal Centro culturale cattolico San Benedetto e dal Centro culturale don Carlo Calori

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Fu il Papa del dialogo, capace di tenere unita la Chiesa con la sofferenza e la testimonianza. Ma Paolo VI non sarebbe forse stato tale, se non fosse passato attraverso l’esperienza di arcivescovo. Lo ha spiegato il vaticanista Andrea Tornielli il 3 ottobre, in una serata organizzata dal Centro culturale cattolico san Benedetto e dal Centro culturale don Carlo Calori a Milano, in vista della beatificazione del 19 ottobre.

Ripercorrendo la parabola di monsignor Giovanni Battista Montini come sostituto alla Segreteria di Stato, Tornielli ha raccontato della fiducia che godeva da Pio XII e delle invidie in seno alla Curia romana: tanto che un gruppo di cardinali fece pressione affinché fosse allontanato, magari in una diocesi di media importanza. Nel 1954, Pio XII cedette, ma lo inviò a Milano. «Ora – ha proseguito Tornielli – Milano era la diocesi più importante d’Europa, una delle maggiori al mondo: ciò malgrado, monsignor Montini visse tutto ciò come un esilio. Gli costò molto, ma lo cambiò anche molto».

La Roma di Pio XII infatti «era ancora provinciale, non nell’accezione negativa del termine, ma nel senso che non viveva i fenomeni delle metropoli internazionali. Milano invece, rassomigliava alle città del nord Europa. Vista da Roma, la Chiesa dava l’idea di essere fortissima, perché radicata nel popolo e capace di muovere le masse, con le grandi adunate in piazza San Pietro. Ma a Milano, i primi segni della secolarizzazione erano evidenti, in un lento distacco dalla cultura cristiana».

Di tutto ciò, Montini si rese conto venendo a contatto con mondi che non erano contro il cattolicesimo, ma impermeabili a esso: quello degli operai che si ammassavano nella periferia, quello dell’alta finanza e dell’economia, che nel progetto di costruzione di nuove chiese per una città in espansione fu piuttosto sordo, e quello nascente dell’alta moda. «È in tale realtà che percepisce la necessità di trovare modi nuovi di annunciare Vangelo. La sua prima idea, è quella d’una grande missione, che per sua stessa ammissione non darà i frutti sperati».

Qui, si compie un’altra svolta: il ritorno all’evangelizzazione deve seguire un metodo diverso, perché la Chiesa non è più quella di matrice pacelliana. «E fu proprio questa domanda, quasi un’ansia nel definire i modi dell’annuncio all’uomo odierno, che diverrà fondamentale per il suo pontificato».

Questo programma sarà infatti delineato fin dalla sua prima enciclica, l’Ecclesiam suam (6 agosto 1964): «È la Chiesa che si fa dialogo, non come fine, ma come mezzo attraverso cui ci si rende vicini alle persone per annunciare il Vangelo. In questo modo, Paolo VI identifica il pontificato come totalmente missionario, inteso a far sì che la Chiesa possa entrare in contatto con mondi che si sono allontanati».

Un anelito missionario che lo porterà a essere il primo papa che viaggia all’estero, il primo successore di Pietro che torna in Terrasanta. Intanto, porta a compimento il Concilio «immaginando che sia l’inizio d’una grande apertura e rinascita alla fede: invece, lì inizia la burrasca anche dentro alla Chiesa, con la contestazione che dilaga su tutto e che determinerà una grande sofferenza nella seconda parte del suo pontificato».

Ciò malgrado, la coscienza del suo compito non verrà mai meno. Il 7 dicembre 1968, in piena contestazione, agli alunni del Seminario lombardo diceva: «Tanti si aspettano dal Papa gesti clamorosi, interventi energici e decisivi. Il Papa non ritiene di dover seguire altra linea che non sia quella della confidenza con Gesù Cristo. Sarà lui a sedare la tempesta».

Il totale affidamento alla Provvidenza deriva dalla certezza che a guidare la Chiesa non è il papa, ma Gesù. Il 1968 però, è anche anno in cui si trova più isolato, per via dell’Humanae vitae: «Aveva deciso di togliere dal dibattito conciliare, e di avocare a sé, il tema della pillola. L’enciclica però, non è semplicemente un no ai contraccettivi, ma un documento che dice anche tanti sì, che pensa alla dignità della donna. Venne tuttavia attaccato anche dai cardinali elettori, e con una forza dirompente, rimanendone tanto impressionato da decidere di non scrivere più encicliche».

Eppure Paolo VI, figura forse poco conosciuta perché schiacciata da quelle del suo predecessore e del successore, fu decisivo per gli sviluppi della Chiesa nel XXI secolo: «Mi piace ricordare una frase di Andrea Riccardi – ha detto Tornielli – secondo il quale Giovanni Paolo II ha suonato lo spartito scritto da Paolo VI».

E in modo analogo, come ha sottolineato Paolo Tanduo, presidente del Circolo culturale san Benedetto, tirando le conclusioni «fin dalla sua esperienza come arcivescovo di Milano, intuì la necessità di occuparsi delle periferie, indicando quella strada che oggi sta nel cuore di papa Francesco».

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Stefano Di Battista

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