La Chiesa universale celebra domani la memoria liturgica di San Francesco d’Assisi e l’Italia lo festeggia come suo patrono. Chi era tuttavia Francesco? Per quale motivo la sua figura è sempre così attuale ed affascina credenti e non credenti? Quanto c’è infine di francescano nell’attuale pontefice, il gesuita Bergoglio, primo papa a scegliere il nome di Francesco?
Un’analisi della figura del santo di Assisi è stata fornita a ZENIT da fra Domenico Paoletti OFM conv., preside della Pontificia Facoltà Teologica, “San Bonaventura – Seraphicum”, una delle più prestigiose università francescane.
Per quale motivo Francesco d’Assisi è diventato un santo?
Francesco d’Assisi è diventato santo perché fondamentalmente ha riconosciuto di essere amato da Dio da sempre e per sempre. Proprio da tale consapevolezza di “essere riconosciuto” da un Altro, la sua vita si è aperta ed è sbocciata in tutte le dimensioni: verso Dio, verso il prossimo e verso il mondo, in una relazione grata, gratuita e gioiosa. Per capire perché Francesco è diventato santo, occorre chiedersi cos’è la santità. Un vocabolo che spesso si connota di devozionalissimo fino a relegare il santo in un mondo lontano o a rinchiuderlo in una nicchia. In realtà, secondo l’autentica visione cristiana, la santità è la comunione: e comunione è il Dio che Gesù Cristo ci ha rivelato, e comunione è la vocazione di ogni persona. La santità cristiana consiste nell’unione con Cristo e Francesco è santo perché, una volta riconosciuto Cristo nella sua vita, è vissuto totalmente unito a Cristo e, quindi, a ogni fratello e sorella, fino a sentirsi in profonda comunione con tutte le creature. La vocazione alla santità, che risplende in Francesco, è questo entrare in comunione con Dio, con gli uomini e le donne. Francesco ha realizzato questa vocazione alla santità, e si è realizzato in questa vocazione, con una tale libertà, umiltà e gioia che è credibilmente affascinante e unico nella storia umana.
Dove si riscontra maggiormente la sua attualità?
L’attualità di Francesco si riscontra appunto, come dicevo pocanzi, nella sua testimonianza della santità, della comunione che è la vocazione e la verità di ogni uomo e di tutti gli uomini di ogni tempo e di ogni spazio. L’attualità di Francesco è la sua vita evangelica, e il Vangelo quando viene vissuto diventa “vita”, trasformandosi in straordinaria forza d’incontro con Dio, con i fratelli e le sorelle, e con tutte le creature. Il vangelo vissuto è pienezza di umanità. Ecco perché Francesco è uno dei pochi santi che, possiamo dire, non appartiene solo ai credenti ma a tutti gli uomini. Paradossalmente Francesco è attuale perché non era preoccupato di ‘essere attuale’ ma di seguire Gesù di Nazareth, il Verbo eterno del Padre fattosi uomo da Maria, Gesù Cristo via verità e vita, morto e Risorto. L’attualità ci viene proprio dalla sua scelta radicale evangelica di minorità che lo porta ad amare l’altro, specie il più povero, perché lo sente più importante di se stesso. L’attualità di Francesco, a mio avviso, è anche nell’aver saputo coniugare aspetti che a noi appaiono in contrasto come libertà e obbedienza, umiltà e gioia, solitudine e fraternità, tempo ed eternità.
Quali sono, a Suo avviso, i luoghi comuni da smentire su san Francesco d’Assisi?
Attorno a Francesco si sono creati diversi luoghi comuni che vanno smentiti non per ciò che affermano, ma per ciò che non dicono. Fin dall’inizio del movimento francescano assistiamo a diverse letture di Francesco, basti pensare alla “questione francescana” inerente all’autenticità delle fonti francescane. Quindi già dagli inizi, attorno alla testimonianza evangelica di Francesco, ci imbattiamo in diverse accentuazioni: chi la povertà assoluta, chi la vita eremitica, chi la fraternità in comunità e nei centri urbani, ecc.
Resta vero quanto affermato dallo storico Joseph Lortz: “Francesco è un mistero. Lo era per i suoi contemporanei, lo resta ancora oggi”. Lo è perché radicato e immerso nel mistero di Gesù Cristo.
Venendo alla Sua domanda possiamo dire che Francesco è ecologista o, per meglio dire, rispetta il creato e canta tutte le creature perché sono segni dell’amore di Dio per noi. Questa sua attenzione al creato è ancora più interessante se si tiene conto del contesto in cui viveva segnato da una certa tendenza a disprezzare il mondo, come recitava a fine XII sec. una nota opera di Lotario di Segni (poi papa dal 1198 al 1216 col nome di Innocenzo III). Ma non capiremmo nulla di Francesco se non cogliessimo la motivazione del rispetto di Francesco per il creato, ossia la sua fede nel Dio creatore che pone l’uomo, vertice della creazione, nel giardino come custode e coltivatore. Così Francesco pacifista, meglio Francesco pacifico: uomo di pace e di riconciliazione dove al centro c’è l’uomo concreto e non un’ideologia che porta a dividere e non a riconciliare. Francesco seguendo Gesù Cristo elimina la categoria di amico/nemico e pone al centro solo la categoria fratello/sorella. Ugualmente non possiamo ridurre Francesco ad animalista. È vero che rispetta gli animali e li protegge, ma anche ammansisce il lupo perché non aggredisca gli uomini. Molto diverso da una ideologia animalista che si indigna più per l’uccisione incidentale dell’orsa Daniza in Trentino che per milioni di bambini che muoiono di fame o che vengono abortiti. Francesco senza la conversione a Cristo, fino al desiderio di trasformarsi in Lui, non se ne comprende il fascino e l’attualità che non va ridotta a mode o a ideologie. Solo grazie alla conversione evangelica, Francesco ci appare così attuale anche rispetto ai grandi temi del nostro tempo, quali appunto la ricerca della pace, la salvaguardia del creato, la promozione del dialogo e della giustizia.
San Francesco è patrono d’Italia: quanto c’è di italiano in lui?
San Francesco è patrono d’Italia perché è vera l’affermazione ripetuta da papi e da governanti che Francesco d’Assisi è “il più santo tra gli italiani, il più italiano tra i santi”. Frase che va attribuita, secondo un recente studio storico, a Vincenzo Gioberti nell’opera Del primato morale e civile degli italiani del 1843. Francesco rappresenta, in una originale sintesi personale, i tratti più tipici degli italiani quali la solarità, la generosità, la sensibilità, l’affettività, la carnalità, l’empatia, la teatralità e, direi, anche un certo disordine e una imprevedibilità, terreno fecondo da cui sboccia la sua genialità che solo in Italia poteva comporsi in una simile unità particolarmente attraente. Oggi, in una fase di rassegnazione e di depressione a diversi livelli, Francesco è un forte richiamo a recuperare e a far emergere la cultura dei legami e della solidarietà, come ci dicono spesso i nostri vescovi.
L’attuale pontefice è il primo della storia ad aver preso il nome di Francesco: quanto c’è del carisma francescano nel gesuita Bergoglio?
Il gesuita Bergoglio scegliendo dopo l’elezione di chiamarsi Francesco, con esplicito riferimento a Francesco d’Assisi, ha manifestato l’umiltà e il coraggio proprio del poverello di Assisi. Nessuno finora aveva osato prendere questo nome perché “rischioso”. Mi viene da pensare che Bergoglio ha sentito ciò che sentì il suo fondatore sant’Ignazio leggendo la vita di san Francesco quando esclamò: “E se anch’io facessi quel che ha fatto san Francesco?” Ciò che accomuna Ignazio e Francesco è la relazione vitale con Gesù Cristo: lo stesso discepolato con accenti diversi in una Chiesa sinfonia di voci. In papa Bergoglio possiamo, a mio avviso, notare tre accenti francescani: la libertà che, guarda caso, è anche l’aspetto più tipico dei gesuiti: una libertà che si esprime nella semp
licità, nella immediatezza, nella gioia, nel toccare e lasciarsi toccare; la povertà evangelica come stile personale e come richiamo di una Chiesa povera, aperta e “in uscita” verso i poveri; la compassione verso il bisognoso, sacramento della presenza di Cristo. Tipica espressione di papa Bergoglio: “La carne del povero è la carne di Cristo”.
Per concludere: come si manifesta il carisma francescano nella vita accademica della vostra facoltà?
Siamo in un tempo complesso per profondi e accelerati cambiamenti, e il nostro centro accademico vive in questa complessità ricercando un nuovo paradigma teologico. Al Seraphicum siamo un’unica comunità formativa interculturale e accademica, già questo è un aspetto specifico del carisma francescano che si è concretizzato nella nostra famiglia “conventuale”. Grazie anche al Processo di Bologna, a cui come Pontificia Facoltà Teologica partecipiamo, siamo in una fase di riprogettazione. In continuità con la nostra lunga tradizione accademica francescana, stiamo tentando di ricentrare il nostro impegno di studio, di ricerca e di docenza nel fare teologia in comunità come stile teologale e teologico. L’attenzione è di promuovere e rafforzare il legame tra vita di fede e pensiero teologico, imparando a fare teologia insieme come esigenza e conseguenza della vita di fede. Alla scuola di Francesco e dei grandi maestri della tradizione francescana, siamo convinti e cerchiamo di essere coerenti con fatica e gioia, che la teologia è vera e feconda solo se è espressione e promozione di una vita teologale di comunione. La teologia così viene a recuperare l’affettività, cuore della fede intesa come relazione d’amore. E in ciò consiste la peculiarità “sapienziale” del primato dell’amore proprio del carisma di san Francesco e della Scuola francescana; carisma che cerchiamo di vivere ed esprimere nella nostra vita accademica come pensiero umile o, con le parole di papa Francesco, come pensiero incompleto: aperto, in ascolto, in dialogo ed in ricerca insieme.