Tanto tuonò che (non) piovve, in Spagna, dove l’attuale primo ministro Mariano Rajoy ha abdicato la battaglia contro il permissivismo nei confronti dell’aborto. Battaglia che il leader del Partido Popular aveva sposato fin dai tempi in cui, dagli scranni parlamentari dell’opposizione, aveva presentato ricorso alla Corte Costituzionale nei confronti della riforma sull’aborto dell’allora premier socialista José Zapatero.
Una volta eletto, Rajoy si è quindi impegnato a cambiare quella norma che consente alle donne (anche minorenni) di interrompere la gravidanza senza alcun parere medico entro la quattordicesima settimana di gravidanza e, in caso di malformazione del feto, entro la ventiduesima. La prima mossa è stata l’obbligo per le gestanti minorenni di avere il consenso dei genitori prima di decidere un aborto, la seconda è rimasta in nuce per lunghi mesi, prima di essere soffocata dallo stesso Rajoy per paura che l’intransigenza sui temi etici potesse compromettere l’esito dell’ormai imminente campagna elettorale.
Il 20 dicembre 2013 il governo aveva annunciato una proposta di legge che avrebbe reso l’aborto procurato meno agevole, giacché fissava come requisito il fatto che le malformazioni del feto, per giustificare l’interruzione di gravidanza, dovessero minare anche la salute della madre. Una proposta accompagnata sin da subito da un lungo fiume di polemiche, nel quale sovente il dibattito è stato inghiottito dall’onda dell’aggressività verbale di gruppi radicali e femministi.
Clima che ha raggiunto gli obiettivi sperati: il governo ha temuto di perdere consenso elettorale, il presidente Rajoy ha ritirato la riforma e il ministro della Giustizia Alberto Ruiz-Gallardón, estensore del provvedimento, ha rassegnato le sue dimissioni affermando coerentemente: “Non posso portare avanti con convinzione le nuove forme di regolamentazione dell’aborto annunciate”.
Eppure, anche se apparentemente meno rovente dell’opposizione pro-aborto, un ampio circuito sociale aveva sostenuto e invocato una riforma della legge Zapatero, denunciando un impressionante incremento del numero di aborti dalla sua attuazione in poi. Quello stesso movimento pro-vita ha deciso adesso – a poche ore dall’annuncio del ritiro della riforma – di non rimanere inerte nel frattempo che viene scritta una pagina di storia importante circa il destino dei concepiti in Spagna.
Il Foro de la Familia ha fissato per il prossimo 22 novembre una manifestazione – alla quale hanno aderito un elenco di sigle impegnate nella difesa della vita – per dimostrare l’impegno pubblico della società civile spagnola a tutela del nascituro e in solidarietà con le donne incinte che la legge Zapatero, dietro la patina dell’emancipazione, abbandona a sé stesse di fronte al dilemma di una gravidanza indesiderata.
Benigno Blanco, presidente del Foro e segretario di Stato per otto anni durante i governi di José Maria Aznar, parla di “profonda indignazione” da parte di molti cittadini spagnoli che hanno votato il Partido Popular credendo nelle parole del suo leader Rajoy. “Questa delusione non la dimenticheranno quando sarà il tempo di votare”, proclama Blanco.
Il presidente del Foro – che è grato al ministro Ruiz-Gallardón perché dimettendosi ha dimostrato che “gli ideali sono più importanti del potere personale” – definisce il ritiro della riforma “una piccola battuta d’arresto” della “causa a favore della vita”, pertanto promette che andrà avanti il lavoro “per costruire una maggioranza impegnata per difendere la vita e le donne”. Del resto, prosegue con fiducia Blanco, “spetta ora alla società civile fare ciò che non ha voluto fare Rajoy: eliminare una legge (quella di Zapatero, ndr) profondamente ingiusta”. Il 22 novembre sarà il primo banco di prova per verificare la consistenza del movimento dissidente a quella che viene definita una “deriva zapaterista” evidentemente ancora in atto.