Primo caso di Ebola negli Stati Uniti

Il paziente, ora in quarantena in un ospedale i Dallas, ha viaggiato via Bruxelles. Paura tra gli altri passeggeri, ma le autorità sanitarie rassicurano da inutili allarmismi

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Primo caso di Ebola negli Usa. Si tratta di un paziente adulto di cui ancora non sono state diffuse le generalità, ricoverato il 27 settembre al Texas Health Presbyterian Hospital di Dallas dopo aver presentato tutti i sintomi della febbre emorragica. L’uomo era arrivato il 20 settembre negli Usa dalla Liberia, uno dei Paesi dell’Africa occidentale insieme a Guinea e Sierra Leone maggiormente colpiti dal virus. “E’ venuto negli Stati Uniti per visitare alcuni familiari che vivono in questo Paese”, ha spiegato Thomas Frieden, Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) di Atlanta, la massima autorità sanitaria negli Usa. Frieden ha invitato a non creare allarmismi ingiustificati.

Secondo media americani, il paziente di Ebola in Texas avrebbe raggiunto Dallas con un volo che da Monrovia, capitale della Liberia, lo avrebbe portato a Bruxelles. Di lì avrebbe poi preso un altro aereo per gli Usa. Come affermato dal governatore del Texas, Rick Perry, l’uomo è stato anche in contatto con alcuni bambini in età scolastica che per il momento vengono monitorati dalle autorità sanitarie.

Il malato adesso si trova in stato di quartantena nello stesso nosocomio che il 26 settembre, dopo essersi recato al Pronto Soccorso con sintomi febbrili, lo aveva “rispedito a casa” come ha dichiarato all’Ansa Anthony Fauci, direttore dell’Istituto nazionale per le malattie infettive (Niaid).

Intanto in America sale la paura per l’Ebola, soprattutto tra i passeggeri che hanno viaggiato con il paziente. Sembra tuttavia che per loro non ci sia alcun pericolo in quanto – hanno assicurato le autorità sanitarie – i sintomi dell’Ebola si sono sviluppati 4-5 giorni dopo il ritorno dell’uomo negli Usa.

“Non c’è alcun dubbio che la situazione rimarrà sotto controllo e che la malattia non si diffonderà negli Usa”, hanno sottolineato i medici, spiegando come in queste ore la priorità, oltre a curare il malato in terapia intensiva, sia quella di individuare tutte le persone che sono state in contatto con lui da quando è arrivato sul suolo americano, a partire dai familiari.

Per ora tuttavia non risultano casi sospetti in Texas o negli Usa. Anzi, secondo il Cdc, quello del peziente di Dallas risulta il primo e unico caso diagnosticato sul territorio nazionale.

All’interno dell’ospedale dove il malato è in isolamento sono state comunque attivate tutte le procedure di massima allerta per impedire il rischio di contagio ad altri pazienti, al personale medico e sanitario, ai volontari e ai visitatori. 

Lo stesso Cdc ha poi pubblicato un video dal titolo ‘Salvare vite, proteggere le persone’, che fornisce tutte le indicazioni per prevenire la trasmissione. Il metodo utilizzato dagli esperti, definito “la chiave per fermare l’epidemia e salvare vite umane”, si chiama ‘contact tracing’, sostanzialmente una vera caccia ai possibili contagiati per rintracciare tutti coloro che entrano in contatto diretto con un paziente malato di Ebola.

I medici chiedono al paziente e ai suoi familiari di elencare tutti quelli con cui hanno interagito, i quali vengono cercati e messi in quarantena per 21 giorni in modo da verificare l’eventuale presenza di sintomi del virus. “Se uno di loro comincia a mostrare sintomi della malattia viene immediatamente isolato, tenuto sotto controllo, e curato”, spiega il filmato.

Il processo – spiega l’Ansa – richiede settimane, e deve essere ripetuto fino a quando non compaiono nuovi pazienti con sintomi. Secondo gli esperti, invece, i controlli sulla temperatura corporea negli aeroporti non sono in grado di portare a risultati soddisfacenti, in quanto il periodo di incubazione di Ebola è di 2 giorni, ma possono servirne 20 perché i sintomi si manifestino.

Anche il presidente americano Barack Obama è stato informato sul caso del Texas dal direttore del Centro, Tom Frieden. I due – ha reso noto la Casa Bianca – hanno “parlato dei rigidi protocolli di isolamento in base ai quali viene curato il paziente e degli sforzi per rintracciare i contatti del paziente per mitigare i rischi di ulteriori casi”.

Se negli Stati Uniti sembra comunque non esserci nessun pericolo, in Paesi come Liberia, Guinea e Sierra Leone l’emergenza é ai massimi livelli a causa del virus che finora ha ucciso oltre 3.000 persone e infettato migliaia di altre. Altri focolai sono stati individuati anche in Nigeria e in Congo. 

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ZENIT Staff

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