Riprendiamo di seguito il testo dell’omelia tenuta questo pomeriggio nella Basilica romana di Santa Maria degli Angeli dal cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, in occasione del Pellegrinaggio delle Confraternite.
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Cari fratelli e sorelle!
Nel momento in cui il Papa Benedetto XVI promulgò la Lettera Apostolica Porta Fidei, con la quale indiceva l’Anno della Fede, delineò fin dall’inizio e chiaramente quali sarebbero state le caratteristiche essenziali e spirituali di tale evento. Ricordiamo le parole con cui inizia questo Documento: «La “porta della fede” che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa è sempre aperta per noi. E’ possibile oltrepassare quella soglia quando la Parola di Dio viene annunciata e il cuore si lascia plasmare dalla grazia che trasforma. Attraversare quella porta significa immettersi in un cammino che dura tutta la vita».
L’immagine della porta è quanto mai felice ed efficace, perché Gesù stesso la utilizzò quando disse: «Io sono la porta delle pecore» (Gv 10,7). Questa autorivelazione di Gesù ci dice che Lui è il passaggio ben definito che occorre attraversare per entrare nello spazio di Dio, nella vita di Dio. Un passaggio stretto, ma aperto sempre e per tutti. Un simbolo, questo della porta, che trova una realizzazione forte nelle Porte sante dei Giubilei. L’Anno della Fede non è un Giubileo ma, per analogia, possiamo dire che anche i pellegrinaggi di questo Anno speciale ci conducono a Cristo Porta fidei: è Lui, in effetti, la porta della fede, e se voi siete qui è perché avete scelto Lui come via e come passaggio decisivo della vostra vita, sia personale che comunitaria. In particolare, oggi manifestate questa scelta in forma associata, come Confraternite. Sì, cari fratelli e sorelle, solo in Cristo la fede umana diventa pienamente vera, perché Egli solo è la rivelazione compiuta del Padre, è il volto di Dio. Lui solo è la Via e la Porta che conduce a Dio.
Questa “pretesa” di Gesù, oggi come ai suoi tempi, è una salutare provocazione per l’intelligenza e la libertà dell’uomo. Ci parla di questo anche il Vangelo che abbiamo appena ascoltato: il celebre episodio della predicazione di Gesù nella sinagoga di Nazaret. A Nazaret, Gesù lo conoscevano bene; era cresciuto in quel piccolo villaggio della Galilea e non aveva mai fatto parlare di sé, se non da poco tempo. Un bravo giovane, religioso: andava «secondo il suo solito» di sabato alla sinagoga. Era conosciuto anche per il lavoro di Giuseppe, suo padre, che aiutava nella bottega di falegname.
Dopo i 13 anni ogni giovane ebreo aveva la possibilità di partecipare in sinagoga alla liturgia e leggere e spiegare la Parola di Dio. Di solito chi prendeva la parola, dopo aver proclamato la lettura biblica, ricordava gli insegnamenti di qualche rabbino importante. La gente di Nazaret rimane stupita perché Gesù parla con autorità propria, senza citare altri maestri. Ma ciò che soprattutto colpisce è che Egli annuncia la realizzazione delle promesse: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». I presenti comprendono bene che Gesù dichiara arrivato il tempo in cui Dio manda il Messia per liberare il suo popolo, e che questo Messia è Lui! Solo l’evangelista Luca riporta il testo del profeta Isaia che Gesù proclama. Matteo e Marco – che invece fanno riferimento alla morte di Giovanni Battista – si limitano a riferire che Gesù insegnava nella sinagoga suscitando lo stupore dei suoi concittadini. In effetti, san Luca trova in questa profezia del cosiddetto Terzo Isaia un aspetto centrale della sua cristologia: l’evangelizzazione dei poveri. Destinatari privilegiati della promessa di Dio sono coloro che dalla vita hanno ricevuto poco, e attendono che il Signore ascolti le loro invocazioni.
Questa Scrittura profetica, di cui Gesù di Nazaret ha annunciato il compimento e che ha personalmente realizzato, è una Parola programmatica per la Chiesa di ogni tempo, specialmente in questo nostro tempo di nuova evangelizzazione. E’ una Parola programmatica, in modo particolare, anche per le Confraternite, che vantano una storia gloriosa di culto e di carità. Vediamo in che senso e in che modo. Il Consacrato del Signore dice di essere stato mandato a «portare ai poveri il lieto annuncio, / a proclamare ai prigionieri la liberazione / e ai ciechi la vista; / a rimettere in libertà gli oppressi / e proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19). Penso che anche voi, ascoltando queste parole, sentiate il desiderio e la responsabilità di seguire Cristo in questa missione! Nella storia della Chiesa, le Confraternite hanno dato il loro specifico contribuito, nella grande varietà che le caratterizza e che costituisce una ricchezza, perché diffonde l’unico messaggio in molteplici forme e in diversi ambienti. L’importante è che tutto – tradizioni, consuetudini, riti, opere – tutto sia conforme a questa missione evangelizzatrice di Cristo e della Chiesa, e il Vangelo sia non solo proclamato con le parole, i simboli, le processioni, ma sia testimoniato con coerenza nella vita della stessa Confraternita e dei suoi membri. Su questo sono chiamati a vigilare i presbiteri e i Vescovi, con sollecitudine pastorale. Anch’io ho avuto la gioia di accompagnare tante Confraternite nel mio servizio pastorale a Vercelli ed a Genova, e di ammirarne lo zelo e la fedeltà.
A questo proposito giunge assai appropriata l’esortazione della Lettera agli Ebrei, nella prima Lettura, là dove dice: «Prestiamo attenzione gli uni agli altri, per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone. Non disertiamo le nostre riunioni, come alcuni hanno l’abitudine di fare, ma esortiamoci a vicenda» (Eb 10,24-25). Le Confraternite sono un’esperienza privilegiata in cui esercitare questa fraternità, questo reciproco stimolarsi e incoraggiarsi nella carità, nel servizio ai poveri, nella partecipazione alle riunioni… L’amore vicendevole, il volersi bene tra confratelli è la prima regola, la prima testimonianza che diamo agli altri, come raccomandò il Signore Gesù agli Apostoli. Papa Francesco, nel momento in cui dalla Loggia centrale della Basilica Vaticana si è presentato alla Chiesa e al mondo come Sommo Pontefice, ha esordito dicendo: “E adesso, incominciamo questo cammino […]. Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi […]. Preghiamo sempre per noi: l’uno per l’altro. Preghiamo per tutto il mondo, perché vi sia una grande fratellanza” (13 marzo 2013).
Il secondo aspetto che possiamo ricavare dalla Lettera agli Ebrei è l’importanza della formazione. Non disertare le riunioni significa anche non trascurare gli incontri formativi: le Confraternite sono ricche di tradizioni, ma sono chiamate ad offrire ai loro membri anche alcuni momenti in cui approfondire le conoscenze liturgiche, bibliche, catechistiche.
Un terzo aspetto collegato è infine quello del vivere bene la dimensione ecclesiale, sia a livello parrocchiale che diocesano. Le Confraternite devono essere esemplari nella collaborazione con i Pastori e nel servizio alla comunità, secondo le esigenze indicate dal Parroco o dal Vescovo. Questo non soltanto nelle grandi cose, nei compiti più rilevanti, ma anche e soprattutto per le necessità ordinarie, umili, nascoste.
Cari fratelli e sorelle, invoco per voi abbondanti frutti spirituali da questo pellegrinaggio. La partecipazione a questo evento di grazia possa farvi crescere sia personalmente che come associati. L’Anno della Fede spinge i movimenti e i gruppi ecclesiali a ritrovare nella nuova evangelizzazione un elemento di comune partecipazione per il cammino della Chiesa.Rivolgiamo dunque la nostra preghiera al Signore Gesù, il Risorto, che ci ha donato la pace, la vera pace. Preghiamolo, per l’intercessione della Vergine Santissima, di sostenerci nella lotta contro il male e nelle prove
della vita. Ci renda sempre il Signore, con l’aiuto dei nostri Santi Patroni, docili all’azione dello Spirito d’amore, che vive e regna con il Padre e con il Figlio nei secoli dei secoli. Amen.