Il relativismo e l’ateismo assoluti sono incompatibili [i]. Chi afferma, infatti, che sia verità la non esistenza di Dio, non potrebbe negare l’esistenza della verità. In tal modo l’ateismo assoluto ci evidenzia come il relativismo possa essere solo relativo.

Ciò è comprovato dall’affermazione secondo la quale il relativismo non nega l’esistenza della verità, piuttosto ritiene essere la verità sempre relativa. Eppure l’affermazione secondo cui “tutto è relativo” è molto comune ai giorni nostri e può significare qualcosa di equivoco come anche qualcosa di certo. Riveste un significato ambiguo poi quando si vuol affermare che due contraddizioni possono, al tempo stesso, essere vere. D’altronde chi lo afferma dovrebbe poi accettare che due affermazioni contraddittorie non possono essere contemporaneamente vere. Chi sostiene però che due affermazioni contraddittorie possono e non possono essere vere al tempo stesso, non sa realmente di cosa parla. L’intelligenza e il linguaggio umano, qualora vogliano davvero essere riconosciuti tali, non accettano contraddizioni.

Il “tutto è relativo” può voler dire anche qualcosa di ben preciso: cioè che la verità indica sempre una relazione. La verità, infatti, appare evidente affermando ciò-che-è, o negando ciò-che-non-è. La verità è quando l’intelligenza percepisce che le cose sono e le esprime in giudizi. Quindi il “tutto è relativo” significa che l’intera verità è relativa a una intelligenza: a quella di chi conosce.

E l’intelligenza può essere tanto divina quanto umana. L’intelligenza divina radica il proprio fondamento sul fatto che l’intera verità naturale esista perché Dio pensa ogni cosa per poi crearla. Posto che le cose siano mediante l’azione intelligente di Dio, emerge quindi la verità naturale di ogni cosa (res), verità intrinseca ad ognuna di esse.

L’intelletto umano, a sua volta, non conosce tutte le verità, nonostante sia in grado di poterle conoscere e riconoscere. La relazione dell’intelletto divino con le cose è pertanto: essenziale per le stesse, poiché senza tale relazione le cose non potrebbero esistere; ma è anche accidentale, giacché l’uomo non conosce le cose, eppure queste ugualmente esistono, in virtù di una razionalità e di leggi proprie conoscibili. San Tommaso di Aquino arriverà a sostenere che se non ci fosse intelligenza alcuna, non ci sarebbe neppure verità [ii].

Dunque, l’affermazione “tutto è relativo” implica che due affermazioni contraddittorie possano essere vere? Evidentemente no: affermare che proposizioni contraddittorie siano vere, implicherebbe accettare che due affermazioni contraddittorie non lo siano (vere), il che è un assurdo.

Ritenere, quindi, che ogni verità sia relativa a un intelletto, vuol dire che la verità soltanto esiste perché conosciuta da Dio e con ciò solo poi conoscibile anche dall’intelligenza umana. Senza che ciò implichi, da parte dell’intelligenza umana, la conoscenza infallibile della verità. L’intelligenza umana, infatti, non è né analoga né simile, né uguale all’intelligenza divina o a quella angelica, con la conseguenza che può benissimo confondersi. Però può riconoscere un suo errore, attributo che gli è proprio.

Così stante le cose, quando un’affermazione è vera, la sua contraddittoria sarà necessariamente falsa. Ciò vuol dire che se una persona afferma: “ciò che mi è davanti è un computer”, non può sostenere al tempo stesso che “quanto mi è qui davanti non è un computer”. Colui che è certo della verità contenuta nella prima affermazione, non può accettare la “verità” della seconda.

Colui che negasse questo principio fondamentale, diverrebbe incapace di poter sostenere una qualsiasi affermazione, così come di ragionare, di dialogare e di vivere in una società. Diverrebbe, seguendo l’esempio riportato da Aristotele, simile a un vegetale, con cui non sarebbe il “caso” di discutere.

Può succedere, anche, che due affermazioni non siano contraddittorie, ma verità complementari, o due falsità belle e buone. È doveroso quindi essere a conoscenza di quale sia il criterio ultimo perché possa dirsi che un’affermazione corrisponda a verità o a falsità.

Ciò che adesso importa è chiarire che ogni verità corrisponde a un’intelligenza. In tal senso ogni verità è relativa, anche quella divina, rispetto all’intelligenza (Logos) di Dio. Questo sarebbe il corretto senso di relativismo della verità. Dall’altro lato affermare un relativismo assoluto, cioè dire che ogni affermazione è necessariamente vera (o altrettanto falsa), includendo in ciò anche quelle contraddittorie, significa solo sostenere qualcosa di talmente illogico e antinaturale che sarebbe meglio tacere: “Su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere”[iii].

Don Anderson Alves, sacerdote della diocesi di Petropolis – Brasile. Dottorando in Filosofia nella Pontificia Università della Santa Croce a Roma.

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NOTE

[i] Cfr. http://www.zenit.org/it/articles/il-relativismo-puo-essere-assoluto Cfr. anche: http://www.zenit.org/it/articles/l-ateismo-e-una-scelta-razionale

[ii] De Veritate q. 1, a. 2.

[iii] L. WITTGENSTEIN, Tractatus logico-philosophicus, prop. 7.