Papa Francesco afferma: «La vocazione del custodire, però, non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’intero creato, la bellezza del creato» [1].
In questa custodia del creato, anche l’arte a mio avviso risulta implicata. L’arte è come un grande specchio nel quale è possibile contemplare riflesse le bellezze del Creato, e attraverso di esse anche lo splendore del Creatore.
L’uomo è chiamato da Dio ad essere nel creato il custode e il coltivatore della bellezza. Questa finalità originaria è espressa fin dal racconto del Genesi: « Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente (…) Il Signore fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare (…) Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse» (Gen 2, 8-9;15.).
Il compito dell’uomo consiste dunque nel mantenere ed anche aumentare la bellezza e l’ordine del luogo che gli è affidato. Questo legame profondo tra l’uomo e l’Eden, e anche il tradimento del ruolo consegnatogli, è rappresentato da tantissime opere d’arte, quale per esempio il Paradiso Terrestre di Peter Paul Rubens (ca. 1615), in cui Adamo ed Eva beatamente riposano nell’armonia e nella bellezza del giardino, tra fiori, piante e animali di ogni specie.
L’arte si pone come ideale risposta al compito originario di custodire e incrementare la bellezza del creato, e nella creazione artistica l’uomo si rivela “più che mai immagine di Dio”, come ha scritto Giovanni Paolo II nella Lettera agli artisti: «Dio ha, dunque, chiamato all’esistenza l’uomo trasmettendogli il compito di essere artefice. Nella creazione artistica l’uomo si rivela più che mai immagine di Dio, e realizza questo compito prima di tutto plasmando la stupenda materia della propria umanità e poi anche esercitando un dominio creativo sull’universo che lo circonda. L’Artista divino, con amorevole condiscendenza, trasmette una scintilla della sua trascendente sapienza all’artista umano, chiamato a condividere la sua potenza creatrice» [2]. Questo compito eccelso diviene una profonda responsabilità per l’artista, come possiamo leggere nel Libro di pittura di Leonardo da Vinci [3]: «Per arte possiamo essere detti nipoti di Dio».
L’artista umano, a differenza di Dio, non crea dal nulla e deve sempre riferirsi alla realtà creata, innanzitutto conoscendola e rappresentandola. Il carattere mimetico dell’arte è, infatti, centrale, e diviene addirittura fondamentale e ineludibile nel caso dell’arte cristiana, interamente pervasa dalla visibilità storica del volto di Gesù: l’Incarnazione del Verbo impone il riferimento a ciò che si vede e che si può ritrarre.
Lo stesso Leonardo, all’interno della questione del primato delle arti, valorizza l’indubitabile aspetto spirituale dell’arte figurativa: «poni scritto il nome di Dio in un luogo e poni vicino ad esso la sua immagine dipinta: vedrai quale sia tra questa la più riverita».
Più profondamente, sant’Agostino afferma nel De Vera Religione che la bellezza di Dio fa belle tutte le cose le quali, confrontate a Dio risultano brutte, evidenziando anche come l’invisibile emerga come ragione del visibile: «richiamati dalle cose che giudichiamo a guardare ciò in base a cui giudichiamo, e volti dalle opere delle arti alla legge delle arti, contempleremo con la mente quella bellezza al cui confronto sono brutte quelle cose che, grazie a essa, sono belle». L’arte figurativa, che si pone il compito di scrutare la profondità del creato, può rintracciare in esso il Creatore.
In alcune opere di grandi artisti, profondi conoscitori della natura, assistiamo a una riflessione sulla causalità naturale, e, nello stesso tempo, a una indubitabile volontà di creare artisticamente in analogia con le modalità naturali. La Vergine delle Rocce di Leonardo da Vinci [4] costituisce al proposito un’opera esemplare. I santi personaggi della Vergine, di Gesù e di San Giovannino sono collocati nel ventre della natura, entro una caverna di rocce, in cui la figura di Maria è fulcro di un arco spontaneo, sorta di piedritto che sostiene la costruzione naturale. In alto, la volta della caverna è sfondata, come se si trattasse della cupola del Pantheon, recuperata nel suo prototipo naturale e primordiale. Nel luogo pur oscuro della caverna nascono piante e fiori, mentre un corso d’acqua scava la roccia.
In questo modo, con un’abilità rappresentativa tutta peculiare, Leonardo riesce a rappresentare la persona di Maria e il suo ruolo nella storia della salvezza. Maria è caverna della Vita, in quanto madre del Verbo Incarnato. Maria è collina e montagna come un’antichissima tradizione ha sempre cantato. Nella Vergine delle Rocce Leonardo riesce dunque a rappresentare l’origine della natura in tutta la sua ampiezza e profondità: l’origine che si annida nel profondo delle rocce e l’origine che ha luogo nel ventre di Maria, riuscendo con la pittura a mostrare il ricapitolarsi di tutte le cose in Cristo, vera finalità definitiva del Creato. Si tratta, dunque, di un’opera d’arte che è anche un capolavoro di spiritualità cristiana, uno splendido esempio di come l’arte possa e sappia dire la natura in quanto creata e redenta.
L’arte che si pone di fronte alla bellezza naturale, con la volontà di conoscerla e di rappresentarla, già si pone in cammino verso Dio, anche se non ne ha la diretta intenzionalità; come ricorda Giovanni Paolo II «le arti confessano Dio, e mentre ricercano la Bellezza trovano, il più delle volte, i motivi per incontrarsi con la Verità» [5]. La bellezza è una strada privilegiata per raggiungere la verità e in modo speciale la verità di Dio.
L’attenzione alla natura conduce dunque l’arte a Dio, in un percorso in cui la bellezza conduce alla Bellezza.
L’attenzione alla natura ha anche ispirato all’arte profonde riflessioni di ordine morale. La conoscenza delle leggi della natura, trasposte in forma di metafora e di paragone, ha alimentato nei secoli numerose operazioni artistiche che, attraverso la raffigurazione della natura, hanno saputo stimolare e correggere, ovvero educare l’animo dell’uomo. Innumerevoli sono gli esempi artistici che possono essere fatti. Si pensi, per esempio, alla frequenza con cui i fiori accompagnano la decorazione artistico-liturgica, andando a raffigurare la condizione dell’anima quale giardino in cui coltivare la virtù. Si pensi anche ai numerosi fiori che sono attributo iconografico di Maria e dei Santi.
È come se la natura, con la mediazione dell’arte, manifestasse la propria capacità di ammaestrare e l’arte, grazie alla conoscenza della natura, riuscisse a percorrere più efficacemente la finalità educativa. A questo proposito, la pittura ha dedicato sempre una particolare attenzione in ambito cristiano a dipinti che genericamente vengono chiamati “nature morte”, che in realtà mantengono inalterato tutto il valore allegorico morale e spirituale che è stato assegnato ai fiori e alla frutta nel corso del Medioevo.
L’arte, dunque, ha il proprio naturale luogo genetico nella bellezza, grazie ad essa perviene ad assaporare la verità e, in questo modo, riesce anche a parlare del bene. L’arte si pone dunque al servizio della Scrittura per la formazione integrale dell’uomo: “Tutta la Scrittura è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona” (2 Tm. 3,16).
L’arte forma alla giustizia innanzitutto proprio per il suo rapporto con la verità, invitando a porsi in maniera adeguata nei confronti della volontà di
Dio. L’arte può infatti farsi tramite della volontà divina, nella capacità di rappresentare il dono della vita e della Grazia: solo l’adeguazione alla volontà di Dio è piena espressione della giustizia.
La bellezza manifestata dall’arte è dunque questione fondamentale nella pedagogia e nella catechesi. Se si educa alla bellezza si educa alla vera e giusta visione del creato, tanto da rendere gli occhi capaci di cogliere la manifestazione teofanica che è lo spettacolo del Creato. Dove non c’è posto per la bellezza, non c’è posto neanche per il bene; non sapere vedere la bellezza fa chiudere gli occhi anche davanti a Cristo.
Una delle finalità principali dell’arte è proprio questo saper educare gli occhi a vedere, a guardare la realtà nella prospettiva della sua origine e della sua finalità, perché educare alla bellezza significa educare gli occhi e il cuore a riconoscere Cristo come Salvatore.
L’arte è educatrice alla contemplazione, la confidenza con le cose belle è confidenza con Dio. La bellezza educa a guardare nella realtà la volontà di Dio, la sua Grazia e la sua Provvidenza.
Ecco allora che l’arte diviene mezzo di educazione, pedagogia per il cristiano e strumento di contemplazione per tuti gli uomini. Come ripeteva san Giovanni Damasceno le immagini artistiche esemplari della vita di Cristo e dei Santi devono coprire l’intera superfice della chiesa, divenendo un grande ed unico affresco capace trasformarsi in un grande mezzo di catechesi e di predicazione.
È sempre più evidente che c’è una profonda necessità di avere le nostre chiese non spoglie, vuote, altrimenti i nostri occhi rimangono vuoti, ma al contrario ricche e piene di immagini, che suscitino attraverso la bellezza amore per Cristo, volontà di conformazione alla sua vita, riconoscenza per i doni ricevuti. Come scriveva l’allora card. Ratzinger: «La totale assenza di immagini non è conciliabile con la fede nella Incarnazione di Dio» [6].
L’arte forma alla bellezza, ed accogliere la bellezza nella nostra vita ci educa a quella custodia reciproca, che è rispetto, cura, amore. E come afferma Papa Francesco: « quando l’uomo viene meno a questa responsabilità di custodire, quando non ci prendiamo cura del creato e dei fratelli, allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce» [7].
Rodolfo Papa, Esperto della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, docente di Storia delle teorie estetiche, Pontificia Università Urbaniana, Artista, Storico dell’arte, Accademico Ordinario Pontificio.
Website: www.rodolfopapa.it Blog: http://rodolfopapa.blogspot.com e.mail: rodolfo_papa@infinito.it.
*
NOTE
[1] Francesco, Omelia, Santa Messa per l’inizio del Mistero Petrino, 19 marzo 2013.
[2] Giovanni Paolo II, Lettera agli artisti, 4 aprile 1999, n. 1.
[3] Per la teoria dell’arte di Leonardo, cfr. Rodolfo Papa, La scienza della pittura. Analisi del “Libro di pittura”, Medusa, Milano 2005.
[4] Per l’analisi delle opere di arte sacra di Leonardo, cfr. Rodolfo Papa, Leonardo teologo, Ancora, Milano 2006.
[5] Giovanni Paolo II,Discorso tenuto ai partecipanti al Congresso nazionale italiano d’Arte sacra, 1981.
[6] J. Ratzinger, Opera omnia. Teologia della liturgia, Parte a: “lo spirito della liturgia”, cap. III: “arte e liturgia”, Città del Vaticano 2010, vol. XI, p. 129.
[7] Francesco, Omelia, Santa Messa per l’inizio del Mistero Petrino, 19 marzo 2013.