Il Vangelo di questa domenica è ricco di spunti di riflessione per vivere al meglio il tempo pasquale, il tempo in cui Cristo Risorto appare ai suoi discepoli.
Se la Chiesa ci rinnova ogni anno l’invito di celebrare il tempo della Pasqua, è perchè il Signore Risorto continua anche oggi a manifestarsi ai suoi discepoli.
Da quando Gesù è asceso al cielo per sedere alla destra del Padre, tutti i discepoli di Cristo sono chiamati a vivere l’incontro con Cristo Risorto, una esperienza differente da quella dell’apostolo Tommaso. Se la beatitudine di Tommaso deriva dall’aver visto e toccato con mano il corpo del Risorto, per noi la beatitudine significa credere nella resurrezione senza vedere.
La pericope del Vangelo di oggi spiega cosa significa credere per un cristiano.
La professione della fede non nasce da una convinzione, da una idea, da uno sforzo umano, ma scaturisce da una esperienza, da un incontro con una persona. Questo è esattamente quello che ci racconta il Vangelo.
I “Giudei” chiedono a Gesù di rivelare la sua vera identità: «Fino a quando terrai l’animo nostro sospeso? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente» (Gv 10,24).
Gesù risponde con molta chiarezza: “Ve l’ho detto e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste mi danno testimonianza “(Gv 10,25).
Le parole di Gesù sono chiare e valgono per gli uomini di tutti i tempi. La fede in Gesù Cristo, per essere autentica, deve poggiare sul riconoscimento dell’opere compiute da Dio nella vita di ognuno di noi. Le opere di Dio ci offrono la testimonianza che Gesù Cristo è il Figlio di Dio. E se Egli continua ad operare, allora significa che Egli è vivo, abbiamo la certezza che Egli è risorto, e vuole restare per sempre vicino a noi.
Ma qui nasce una domanda a cui necessariamente dobbiamo trovare una risposta per rimuovere gli ostacoli che ci impediscono di crescere nella fede.
Come faccio a distinguere le opere compiute da Dio con le opere compiute da me? E’ possibile operare un discernimento tra la mie opere e le opere di Dio?
La risposta a queste domande ci viene offerta proprie dalle parole di Gesù: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30). Essere una cosa sola non significa solo essere cunsostanziali l’uno con l’altro, ma significa soprattutto avere lo stesso Spirito, avere le stesse potenzialità, essere capaci di fare le stesse cose.
L’invito di Gesù è quello di offrire valide ragioni alla nostra fede e alla nostra speranza. Ricordiamoci che ci troviamo nel capitolo 10 del Vangelo di Giovanni, che possiamo considerare il proseguimento naturale del celebre capitolo 9, nel quale viene narrata la guarigione del cieco nato, un evento prodigioso che invita, non solo quell’uomo risanato, ma tutti i testimoni a interrogarsi sull’origine di Gesù.
Tutte le parole di Gesù del capitolo 9 e 10 del Vangelo di Giovanni sembrano suggerirci di non avere una “fede cieca”, ma una fede “giustificata” dal fatto di essere testimoni di un prodigio non attribuibile ad una opera umana.
La ragione viene in soccorso alla nostra fede domandandoci: “Può un medico della terra curare un cieco nato gettando del fango sugli occhi? Posso attribuire solo ad una coincidenza temporale gli eventi della guarigione del cieco nato e il gesto compiuto da Gesù?”
<p>Per il cieco nato il riconoscimento della divinità di Gesù è stato possibile attraverso l’obbedienza al comando che aveva ricevuto. Il cieco nato si è lasciato spargere del fango sugli occhi, e poi è andato a lavarsi alla piscina di Sìloe. Quell’uomo è stato guarito perchè ha ascoltato la Parola di Dio ed ha creduto a Colui che lo invita a credere.
“Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori, e incontratolo gli disse: «Tu credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Tu l’hai visto: colui che parla con te è proprio lui». Ed egli disse: «Io credo, Signore!».” (Gv 9, 35-38)
L’invito a credere viene rinnovato anche ai testimoni della guarigione del cieco nato: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono” (Gv 10, 27). Ascoltare la voce di Dio significa essere docili all’accoglienza della Parola di Dio che rivela le opere di Dio.
La Chiesa è il “gregge” di Cristo che ha la sua forza proprio nell’ascolto della voce del suo Pastore supremo. La forza del discepolo di Cristo è ascoltare la sua Parola che contiene l’opera che vuole compiere in noi, per noi e con noi. Gesù Cristo è il Verbo fatto carne, parola che si traduce in fatto concreto, promessa che viene sempre mantenuta.
Maria, la Madre di Dio e la Madre nostra, ci aiuta a capire cosa significa credere al compimento dell’opera di Dio.
Maria ha creduto alla venuta di Dio in questo mondo, quando ha detto il suo “si” alla promessa dell’arcangelo Gabriele. «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (LC 1,38).
Maria ha manifestato la sua piena fiducia nel Figlio quando ha chiesto di provvedere alla mancanza del vino nello sposalizio a Cana di Galilea. “La madre dice ai servi: «Fate quello che vi dirà».” (Gv 2,5)
Maria, rimanendo ai piedi della croce, ha dimostrato di credere alle parole di suo Figlio che aveva preannunziato tre volte la sua passione, morte e resurrezione. “Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala.” (Gv 19,25).
Maria, restando nel cenacolo dopo l’ascensione al cielo di suo Figlio, ha creduto fermamente alla promessa di Gesù di non voler lasciare soli i suoi discepoli, ma li avrebbe rafforzati, consolati e guidati attraverso il dono dello Spirito Santo, lo Spirito di verità. “Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e con i fratelli di lui.” (At 1,14).
La fede di Maria consiste nel credere ad ogni Parola del suo Figlio, un credere che diventa sicurezza del compimento delle sue promesse. La fede di Maria deve diventare la fede della Chiesa.
L’attegiamento opposto è l’incredulità che porta invece a “lapidare” la fede. Essere pieni di se stessi conduce a ritenere la Parola di Dio inutile per la vita, a tal punto di volerla eliminare. “I Giudei portarono di nuovo delle pietre per lapidarlo.” (Gv 10,31).
La nostra difficoltà più grande non è quella di riconoscere se una opera è buona o non è buona. La nostra vera fatica è quella di attribuire a Dio le opere buone che vengono compiute da Lui attraverso noi.
Gesù rispose loro: «Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre mio; per quale di esse mi volete lapidare?».Gli risposero i Giudei: «Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per la bestemmia e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio». (Gv 10,32-33)
Questa è la grande sfida dell’anno della fede, fare capire l’’importanza dell’annunzio della Parola di Dio, che quando viene accolta con fiducia, realizza l’opera che Dio vuole portare a compimento.
Il bene, il buono, il bello vengono da Dio e sono opere di Dio. Il grande gesto interiore di umiltà, alla quale siamo tutti chiamati, è quello di dare il primato all’ascolto del Vangelo. In questo modo acconsentiamo a Dio Padre e a Gesù Cristo di essere raggiunti dallo Spirito Santo, la brezza soave che soffia dove vuole, quando vuole e come vuole, avvolgendo con il Suo amore uomini di ogni cultura, nazione, lingua.