Don Bosco, dopo essersi trasferito dalla campagna di Castelnuovo, nelle Langhe, alla città industriale di Torino, ed avervi fondato l’oratorio di corso Valdocco e la Casa Madre Salesiana di corso Ausiliatrice, scelse Genova come seconda città sede dell’opera salesiana.
Molto influì in questa decisione l’accoglienza che gli riservò il cardinale Alimonda, destinando al grande sacerdote piemontese una prima sede a Marassi e poi quella più grande ancora attiva di Sampiedarena, dove si conserva come un piccolo museo la sua stanza, tale quale quando egli era in vita.
A spingere Don Bosco sulle rive del Mar Ligure fu però uno dei suoi sogni profetici, che gli annunziò uno sviluppo della Congregazione al di là del mare.
Egli stesso raccontò di avere veduto – come in un film – l’espansione delle case dei Salesiani nelle Americhe.
Ed era proprio dal porto di Genova, come da quello di Napoli, che partivano i bastimenti degli emigranti: Genova, dunque, come introduzione all’America.
E soprattutto all’America Latina.
Le ondate migratorie dall’Italia per l’oltremare si verificarono man mano che gli antichi Stati regionali perdevano l’indipendenza, oppure venivano annessi al nuovo Regno.
Poiché la Repubblica di Genova fu la prima ad essere annessa forzosamente al Piemonte con il Congresso di Vienna, i liguri furono anche i primi ad emigrare.
E’ interessante notare che la madre del Papa si chiamava Sivori, cognome tipico della zona di Genova, ma – essendo più remota l’emigrazione dei suoi antenati – non è stato ancora possibile ricostruire la parentela.
Il padre era invece argentino di seconda generazione, essendo arrivato in America il nonno dell’ex arcivescovo di Buenos Aires.
Il quale veniva invece dal basso Piemonte, terra di contadini, ma anche terra avara, dove la parcellizzazione dei fondi non prometteva il sostentamento delle bocche in soprannumero.
Se i genovesi hanno fatto di Buenos Aires una città in cui si respira la Liguria, al punto che nel loro quartiere, la Boca, il sacerdote predicava dal pulpito nel loro dialetto, anziché in italiano, i piemontesi si spinsero nell’interno, nella Pampa e fino alle pendici delle Ande: la valle di Mendoza, colonizzata da loro con la coltivazione degli olivi, ha reso autosufficiente l’Argentina nella produzione di oli vegetali.
Il gergo argentino, o meglio bonearense, detto il “lunfardo”, reso famoso nel mondo dalle canzoni di Carlos Gardel, è pieno di termini derivati dall’italiano, ed anche la pronunzia dello spagnolo, in Argentina e in Uruguay, si è modellata sull’accento dei nostri immigrati.
E’ logico quindi che il cattolicesimo del Paese risenta di queste origini, in particolare liguri e piemontesi, della maggioranza della popolazione: una maggioranza proporzionalmente più forte nella composizione del clero, proprio in quanto le radici contadine dei nostri emigrati determinavano una proporzione più alta di praticanti e di vocazioni.
Lo spirito salesiano, essendo i sacerdoti di Don Bosco presenti con le loro opere educative in tutto il Continente, ma in particolare nel cosiddetto “Cono Sud”, ha contribuito a dare al cattolicesimo locale una impronta di impegno sociale, ha favorito con la formazione professionale il processo di industrializzazione, che è più avanzato in questa zona rispetto al resto dell’America Latina, ed ha anche aiutato molti nostri emigrati a trasmettere la cultura italiana alle generazioni dei cosiddetti hijos del País, nati cioè nella Patria di adozione.
Anche molte società sportive, che hanno dato a queste Nazioni tanti grandi campioni, sono sorte negli oratori, dove la missione educativa di Don Bosco ha permesso di inserire le grandi ondate migratorie nel tessuto sociale.
Il cattolicesimo argentino, e più in generale quello dei Paesi dell’America Latina dove la radice europea è più forte, assomiglia al nostro non soltanto per via dell’origine degli abitanti, ma anche perché la Chiesa è molto radicata nella vita civica ed associativa.
Non dimentichiamo che l’America Latina costituisce la zona del mondo dove più forte si è radicato l’urbanesimo, e quindi si vive oggi – per via delle migrazioni interne – una situazione simile a quella che chiamò Don Bosco dalle Langhe a Torino.
La Congregazione salesiana ha visto recentemente succedere al Fondatore prima Don Viganò, italiano di origine, ma cileno di adozione, poi Don Vecchi, argentino di genitori italiani ed ora Don Chavez, che è un messicano di origine orgogliosamente indigena.
L’augurio che possiamo rivolgere al nuovo Vescovo di Roma è di governare la Chiesa come degno figlio di Maria, Madre della Chiesa e particolarmente venerata sia in Italia che in America Latina. Tanti suoi connazionali, nella Patria grande formata da tante Repubbliche che è l’America Latina, lo stanno guardando e aspettando!