"La risurrezione è la vera dirompente novità della storia"

Omelia del patriarca di Venezia nella Pasqua di Risurrezione del Signore

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Riportiamo di seguito il testo dell’omelia tenuta ieri dal patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, nella messa per la Pasqua di Risurrezione del Signore celebrata nella Basilica Cattedrale di San Marco.

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Carissimi, con vera gioia porgo a tutti l’augurio di una Santa Pasqua: il Signore è veramente risorto; tutti possiate godere la gioia dell’incontro con Lui, il Vivente!

La Pasqua – come sappiamo – segna l’irruzione, nella storia, della salvezza cristiana. La fede cristiana nasce proprio il giorno di Pasqua e si presenta, esattamente, come fede nel Signore Gesù vincitore della morte. A Pasqua accade che la “vera realtà”, quella della risurrezione, si fa strada nella nostra storia di uomini. Così – a Pasqua – il tempo, il cosmo, la stessa materia, gli eventi piccoli e quotidiani come i grandi avvenimenti della storia, assumono un significato nuovo.

A Pasqua, infatti, con la risurrezione di Cristo siamo trasportati al centro della realtà, nel cuore del reale, ove si dà la verità ultima delle cose. Ed è proprio con l’evento della risurrezione che si compie quanto afferma il libro dell’Apocalisse: “E vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi… non vi sarà più la morte… le cose di prima sono passate… «Ecco, io faccio nuove tutte le cose»” (Ap 21, 1.4-5).

I cristiani sono, alla fine, i discepoli del Risorto, coloro che sempre sono sorretti da Gesù, il Vivente – “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo…” (Mt 28,20) -, coloro che lo portano ovunque e sono mandati per annunciare la buona notizia di Gesù. La verità del nostro Battesimo sta in questa capacità di annunciare – nella ferialità della vita – il Vivente, il Risorto.

La risurrezione è la vera dirompente novità della storia perché, proprio con la risurrezione, un frammento di umanità – l’uomo concreto, Gesù di Nazareth – ha raggiunto la sua ultima dimensione, la sua definitività. Si tratta di una novità unica, mai accaduta prima, mai prima sperimentata.  Con “definitività” qui s’intende che un uomo – per usare l’espressione della prima lettera ai Tessalonicesi, primo testo scritto del Nuovo Testamento – ha raggiunto la pienezza del suo essere: spirito, anima e corpo (cfr. 1Ts 5,23).

La vera gioia cristiana – che auguro a tutti – non può prescindere da tale radicale mutazione, poiché la gioia cristiana non consiste soltanto nell’interpretare le situazioni e le cose in maniera diversa. Essa, piuttosto, apre una nuova prospettiva, totalmente diversa, e ci fa accedere ad una logica nuova o, meglio, ad una nuova sapienza, la sapienza che viene dall’alto e, quindi, la sapienza che esige principi valutativi del tutto differenti rispetto a quelli degli uomini.

Servendoci di un esempio – preso dalla geometria – si tratta, allora, di andare oltre le modalità secondo cui noi siamo abituati a cogliere il reale. È come passare dalla prospettiva della superficie piana a due dimensioni – lunghezza e larghezza – alla prospettiva della triplice dimensione, quella dei corpi solidi: lunghezza, larghezza e profondità. Tutto, ovviamente, cambia! Non si tratta di una lunghezza “più lunga” o di una larghezza “più larga”, ma di una nuova dimensione: la profondità. Una dimensione che prima era ignota, inimmaginabile. La risurrezione ci fa entrare in un mondo completamente diverso dal nostro.

E dinanzi al mondo per noi sconosciuto della risurrezione, si comprende, allora, il significato della domanda che i Sadducei avevano rivolto a Gesù: vale a dire di chi, nella risurrezione, sarà moglie la donna che, nella vita terrena, è stata sposa di sette fratelli morti senza aver lasciato prole. Di fronte a tale domanda, Gesù riconduce la questione ai suoi termini più veri ed invita a considerare sia l’obiettiva e differente situazione tra vita terrena e vita eterna sia l’onnipotenza di Dio. Ma ascoltiamo il testo di Luca: «C’erano… sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? (…)». Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano – precisa Gesù in questo che è uno dei passi che fa più chiarezza sul tema della risurrezione – lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui» (Lc 20, 29-38).

Quando siamo messi di fronte all’annuncio della risurrezione – il cuore del Vangelo – dobbiamo compiere una sorta di rivoluzione copernicana. La realtà ultima non è quella che cade immediatamente sotto i nostri cinque sensi; la realtà ultima è il Risorto, e non noi nella nostra storia ancora mutevole, incerta, caduca; è Lui la vera realtà, il primogenito di una moltitudine di fratelli.

La prima lettera di Pietro ci aiuta a comprendere il giusto senso delle cose; vi è il progetto di Dio ed è questo a sorreggere la storia. In tale prospettiva, e secondo tale logica, leggiamo allora il testo: “Egli fu predestinato già prima della fondazione del mondo, ma negli ultimi tempi si è manifestato per voi; e voi per opera sua credete in Dio, che lo ha risuscitato dai morti e gli ha dato gloria, in modo che la vostra fede e la vostra speranza siano rivolte a Dio” (1Pt 1, 20-21).   

La struttura portante, il centro, il senso e il fine di questo progetto è Gesù Cristo risorto da morte, vincitore del peccato e della morte. In questo progetto, ciò che viene prima non è quello che riscontriamo sul piano cronologico – l’Adamo della Genesi – ma Colui che – da sempre, dall’eternità – viene prima nella mente di Dio ed è prima di ogni altra realtà, anzi, la fonda. La dimensione ultima non è data dal piano storico-antropologico ma da quello teologico-valoriale che è il piano costitutivo dell’essere.

La fede nel Signore risorto è la questione decisiva e proprio su tale questione – come ricorda l’apostolo Paolo – tutto il cristianesimo sta o cade: “…se Cristo non è risorto, vuota è allora la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede… Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di tutti gli uomini” (1Cor 15, 14.19). Si comprende, quindi, come per la risurrezione non sia possibile fare alcuno sconto.

 Il teologo gesuita francese Jean Daniélou introduce un suo libro sulla risurrezione con queste parole: “[la risurrezione] E’ la soluzione dei problemi ultimi della situazione umana, quelli che interessano gli abissi della morte e del male. Ma, per la ragione, è anche ciò che il cristianesimo ha di più sconvolgente. Se, per un verso, s’inserisce nella trama degli avvenimenti della storia umana – se così non fosse, non potrebbe modificare questa situazione -, per l’altro è un’irruzione di Dio che provoca una discontinuità in questa storia e ci fa passare su un altro piano. E’ vero, anzitutto, per la risurrezione di Cristo, principio di ogni risurrezione. E’ vero anche per la risurrezione dei nostri corpi, oggetto ancora di speranza ” (J. Daniélou, La risurrezione, Borla, Torino 1970).

Colui che crede nell’evento della risurrezione come un fatto obiettivo – che ha reale rapporto con la carne e il sangue – e non come una diceria, una creduloneria (una sorta di oroscopo cristiano!) o una vuota idea, allora per questi il rapporto con le realtà penultime, in cui vive, non può non cambiare. Mi
servo di un’espressione che non appartiene al vocabolario teologico ma che è eloquente. L’espressione è: “ri-tarare”. Si tratta di “ri-tarare”, secondo parametri del tutto differenti, la logica del nostro vivere attuale. Ritorniamo, secondo tale logica o sapienza, al testo dell’Apocalisse: “E vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi… non vi sarà più la morte… le cose di prima sono passate… «Ecco, io faccio nuove tutte le cose»” (Ap 21, 1.4-5).            

A tutti auguro la gioia di una Pasqua vera, fondata nell’intelligenza della fede e nell’amore di un cuore veramente cristiano, una gioia che solo l’incontro col Risorto può donare! E’ una gioia che rimane, una gioia che va oltre le brevi felicità del mondo e che non viene meno quando queste, prima o poi, si sgretolano, per gli anni che passano, per le malattie che non riusciamo a debellare o per le delusioni degli uomini che ci feriscono. E’ la gioia fondata in Colui che ha vinto il mondo, le sue contraddizioni, le sue ingiustizie e il suo peccato. La Pasqua va colta nel suo rapporto profondo con una situazione umana che non può nascondersi il suo destino di insufficienza radicale.

Il Risorto non è un di più: è la nostra possibilità di essere uomini, di essere cristiani. A tutti auguro di incontrare nella preghiera, nella carità e nell’amicizia il Signore Risorto.

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ZENIT Staff

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