Le cure palliative derivano il loro nome da pallium, che era il mantello usato dagli antichi greci e romani per coprire la tonaca sulle spalle. Con riferimento all’etimologia, il loro significato più appropriato sembra quello di proteggere il paziente, più che di nascondere la malattia.
Lo statuto dell’Associazione Europea per le Cure Palliative afferma che queste consistono “nell’assistenza attiva e totale dei pazienti terminali quando la malattia non risponde più alle terapie ed il controllo del dolore, dei sintomi, degli aspetti emotivi e spirituali e dei problemi sociali diventa predominante. Le cure palliative rispettano la vita e considerano il morire come un processo naturale. Il loro scopo non è quello di accelerare o differire la morte, ma quello di garantire la migliore qualità di vita, sino alla fine”.
Esse interessano quindi il paziente in fase terminale, cioè ormai irreversibile, sia esso oncologico, sia esso affetto da altra patologia, che non risponde più alle cure specifiche. In questa fase quindi si continua a curare il malato che ha quella determinata malattia, e non più la malattia che affligge il malato.
Infatti, quando non si può più fare niente per guarire la malattia, si può fare ancora molto per curare il malato, in particolare lenire il suo dolore fisico nell’ultimo periodo della vita. È questo il momento in cui ci si deve occupare degli aspetti psicologici, sociali e spirituali del paziente e dare il sostegno alla sua famiglia.
Vista in quest’ottica la medicina palliativa, forse ancora più di quella rivolta alla cura della patologia, presenta un altissimo rispetto della qualità della vita e della persona, che concepisce nella sua totalità. Non si tratta di una medicina estrema o spinta ad oltranza, o di accanimento terapeutico, né tanto meno di eutanasia, ma, al contrario, di una medicina di assistenza, di ascolto, di accoglienza e di accompagnamento.
Essa si pone con un approccio multidisciplinare a 360 gradi, che si rivolge a tutte le esigenze della persona in quel particolare momento. È quello che gli inglesi chiamano il passaggio dal to cure al to care for, ossia dal curare al prendersi cura di una persona. Tutto ciò può avvenire al domicilio del paziente o in ospedale o nell’hospice.
La grande attenzione a questo aspetto della medicina, che si va sempre più affermando anche nel nostro Paese, è data dalla Legge n° 38 del 15 Marzo 2010, recante le Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore. Si tratta di una disposizione legislativa che, oltre ad indicare queste cure tra gli obiettivi prioritari del Sistema Sanitario Nazionale, sancisce l’obbligo di percorsi formativi per gli operatori sanitari di questo settore, affinché nessuno possa più improvvisarsi come palliativista o terapista del dolore.
La Chiesa Cattolica ha assunto sempre una posizione estremamente chiara oltre che sui temi dello stato vegetativo e dello stato di minima coscienza, anche sull’assistenza alla condizione di fine vita. A questo proposito basta ricordare quanto affermato nel Catechismo: “Anche se la morte è considerata imminente le cure che d’ordinario sono dovute ad una persona ammalata non possono essere legittimamente interrotte. (…) Le cure palliative costituiscono una forma privilegiata della carità disinteressata” (CCC 2279).
Queste cure vengono distinte dall’accanimento terapeutico. Infatti sempre nel Catechismo si legge: “L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’«accanimento terapeutico». Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente” (CCC 2278).
Oltre a credere nella vita dopo la morte, la Chiesa e la morale ci insegna anche a credere nella vita prima della morte, quando la morte ancora non è presente, ma già prende forma quello che possiamo definire il morire.