La quaresima è un tempo di conversione, nel quale Dio vuole purificarci dai nostri peccati per farci vivere bene la sua Pasqua. Dio vuole pulirci perché possiamo partecipare con gioia al banchetto di nozze del vero Agnello Pasquale: Cristo. Siamo invitati alla conversione, che non è qualcosa di superficiale: un cambiare più o meno alcuni atteggiamenti della nostra vita. Non basta smettere di fare qualche peccato, magari quello più vergognoso. La conversione è molto di più, è il cambiamento radicale del nostro modo di pensare e di vivere. Ma come è possibile farlo? Che cosa può cambiare la vita e il cuore di un uomo?
Se guardiamo alla vita ordinaria scopriamo facilmente ciò che veramente cambia una vita: un vero amore. L’amore tra un uomo e una donna li cambia veramente: il loro modo di pensare, di sentire, di agire. L’amore tra gli sposi e un figlio li trasforma veramente, cambia la loro vita, cambia anche l’organizzazione della casa e del tempo. Ciò che può cambiarci è solo un grande amore.
La Quaresima ci ricorda che il Cristianesimo è una religione di conversione, non di mera comprensione della realtà. Il Cristianesimo non è una gnosi, ma è una vita in Cristo, nata dall’incontro con un grande Amore. Ciò che cambia realmente il cuore umano è la fede in un Dio riconosciuto come Padre. “Guardate a lui e sarete raggianti, non saranno confusi i vostri volti” (Sal 34, 6). Solo chi contempla il volto di Dio, rivelato in Gesù Cristo, può essere raggianti di gioia e avere la vita trasformata.
“Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove” (2Co 5,17-21). Questo è l’origine della conversione: il vivere in Cristo, il riconoscere la sua opera, per la quale siamo stati riconciliati con Dio e siamo diventati i suoi figli. “Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione” (2Co 5, 18). Dio ci ha riconciliato a sé per mezzo di Cristo e ha dato ai suoi discepoli il ministero della riconciliazione. La voce della Chiesa allora ci dice: “Noi fungiamo, quindi, da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio” (2Co 5,20). È questo l’esortazione che Dio ci fa in questo periodo. Lui vuole la nostra riconciliazione con Lui e con i nostri fratelli.
Ma come possiamo farlo? Come avvicinarci a Dio, se tante volte abbiamo paura di Lui, un giudice severo, uno che ci sta sempre guardando e analizzando la nostra vita con rigore?
In verità, la Parabola del figlio prodigo ci rivela chi è veramente Dio e chi siamo noi per Lui (Lc 15,1-32). Conosciamo così bene questa parabola che quasi non ci rendiamo conto di ciò che essa ci dice. In quale occasione Gesù ha raccontato questa parabola? “Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo”. I pubblicani e i peccatori, cioè, i malati nello spirito si avvicinano a Gesù che poteva guarirli, perdonare i loro peccati; invece, “i farisei e gli scribi mormoravano: Costui riceve i peccatori e mangia con loro”. I farisei e gli scribi erano gli uomini religiosi, che si credevano un gruppo di persone pure, non contaminate per la religione dei greci e custodi della Parola di Dio. Si credevano puri e volevano una religione solo dei puri.
Anche oggi molti “pubblicani e i farisei” si avvicinano a Gesù per ascoltarlo, per essere perdonati. E anche oggi molti mormorano: “com’è possibile che nella Chiesa ci siano i peccatori? Come è possibile che molti toccano Gesù?” Anche oggi tanti si credono i “puri” e i “santi” che si allontano da Gesù e dai loro fratelli. Dobbiamo pensare che se la Chiesa fosse una casa solo dei santi e puri, non ci sarebbe posto in essa per nessun altro uomo. Una Chiesa solo dei santi sarebbe un’inutilità, una casa vuota, perché non c’è un uomo sulla Terra che non sia peccatore, che non abbia bisogno della misericordia di Cristo. Allora, “chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei” (Gv 11,7).
E chi sono gli uomini che hanno bisogno di Cristo, della riconciliazione con Dio? Siamo tutti noi. A volte, siamo come il figlio più giovane della Parabola, che prende la sua sostanza, cioè, tutti i doni ricevuti gratuitamente da Dio e ci allontaniamo della Casa del Padre, dalla Chiesa, per mezzo dei peccati gravi: quelli commessi in materie gravi, deliberatamente nella piena consapevolezza e libertà. Il peccato grave sfigura il nostro volto, distrugge la nostra dignità e identità. Chi vive nel peccato, non si riconosce più come figlio e allora non riconosce Dio come suo Padre.
Però, a volte ci allontaniamo dal nostro Padre come il figlio maggiore. Non siamo esplicitamente cattivi, non commettiamo peccati esterni gravi e scandalosi, ma ci allontaniamo da Dio o dai nostri fratelli con il nostro cuore, i nostri pensieri, i nostri giudizi, le nostre critiche infondate. Questo è possibile a chi sembra stare nella Casa, ma in verità vive lontano da Dio. Chi vive così fa come i farisei: si mette al posto di Dio, giudica le persone, che non sono più viste come fratelli. Questo è il peccato di tanti che si credono “puri” e “santi” e si allontanano dalla comunità ecclesiale. Sono quelli che dicono “Cristo sì, Chiesa, no”: i farisei dei nostri giorni. “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Il figlio maggiore non ha commesso dei gravi peccati, ma si è raffreddato il suo amore verso il Padre e il fratello. E questo può succedere con tutti noi.
Questo testo, pertanto, sembra parlarci di un padre e due figli; in verità, però, parla anche di una Madre e di un terzo Figlio. La Madre è la Chiesa, la casa del Padre alla quale tutti gli uomini sono chiamati a entrare, vivendo come figli di Dio. Il terzo figlio è Gesù Cristo, che non si è mai allontanato dal suo Padre ed è venuto al mondo chiamare a tutti gli uomini ad essere e a vivere come figli di Dio e come suoi fratelli. Ringraziamo Dio per i suoi doni e siamo sempre consapevoli che “nessuno può avere Dio per Padre, se non ha la Chiesa per Madre”[1].
Don Anderson Alves è sacerdote della diocesi di Petrópolis, Brasile. È dottorando in Filosofia presso alla Pontificia Università della Santa Croce a Roma.
[1] San Cipriano di Cartagine, De Ecclesiae catholicae unitate, 6: CCL 3, 253 (PL 4, 519).